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Jase emise un brontolio. Sentì che i piacevoli fumi della birra gli abbandonavano piano piano il cervello, lasciandolo alla deriva nelle ore piccole, senza riposo e con la barba lunga, con addosso gli stessi vestiti sporchi che portava da 7 mila chilometri. Spostò a malincuore lo sguardo dagli ottoni lustri e il legno tutt’attorno al palco dove il Mago suonava ancora.

— Quindi di solito non si comporta così? Non passa ore intere a suonare.

— No.

— Lo sta facendo adesso.

Sidney si mosse a disagio sullo sgabello. — Sono le cinque passate — disse sorpreso.

— Guardava Averno orbitare?

— È quello che ha detto.

Tutt’e due osservarono il Mago, che si muoveva instancabile, aggrottando lievemente le sopracciglia per concentrarsi, o come qualcuno tutto preso da un sogno avvincente. Jase disse a caso: — Forse gli piace semplicemente suonare il piano.

Sidney raccolse fra le dita dei bicchieri vuoti, li sollevò in aria e li lasciò cadere. Jase sobbalzò al fracasso. Nonostante ciò gli occhi del Mago non ebbero nessuna reazione.

— Signor Restak! — gridò Jase, pregando che la testa del Mago sobbalzasse, che le sue dita inciampassero sui tasti. Il Mago, sordo come un ologramma, rimase impassibile.

— Potrebbe essere qualsiasi cosa — mormorò Sidney. — Potrebbe essere…

— Potrebbe essere qualsiasi cosa — disse Jase in tono sinistro — tranne che per un piccolo particolare. Io mi trovo qui.

Sidney gli lanciò un’occhiata. Si alzarono contemporaneamente. Sul palco, in piedi ai lati del Mago che continuava a suonare, erano ancora fuori del suo campo visivo periferico. Sidney toccò il Mago, lo chiamò per nome. Finalmente, con gentilezza, Jase allungò la mano e gli afferrò la sinistra nel bel mezzo di un arpeggio, staccandola dalla tastiera.

— Signor Restak.

Anche la destra si arrestò. Il Mago sollevò su Jase lo sguardo, pallido, ansante, mostrando la stessa sorpresa di chi viene bruscamente strappato da un sogno, non ancora sveglio del tutto.

— Ci guarda orbitare — disse.

FINE