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Winston non riusciva assolutamente a ricordare un periodo in cui il paese non fosse stato in guerra, ma di certo durante la sua infanzia vi era stato un periodo di pace abbastanza lungo, perché fra le sue prime memorie vi era un’incursione aerea che sembrò aver colto tutti di sorpresa. Si trattava forse della volta in cui su Colchester era caduta la bomba atomica. Non ricordava l’attacco aereo nei dettagli, ma ricordava perfettamente la mano di suo padre che teneva stretta la sua mentre scendevano di corsa in un posto imprecisato sottoterra, sempre più giù, per una scala a chiocciola che risuonava sotto i piedi e che a un certo punto gli fece talmente dolere le gambe, che lui cominciò a piagnucolare e dovettero fermarsi per un po’. La madre, per quel suo modo lento e sognante di camminare, era rimasta molto indietro. Teneva in braccio la sua sorellina, o forse si trattava solo di un fagotto di coperte. Non era sicuro, infatti, che la bambina fosse già nata. Infine erano emersi in un luogo rumoroso e affollato, nel quale aveva riconosciuto una stazione della metropolitana.

Ovunque sul lastricato c’erano persone sedute, mentre altre se ne stavano ammassate su quelli che sembravano letti a castello in metallo. Winston e la madre avevano trovato posto per terra, accanto a una coppia di vecchi che sedevano invece su un lettino. Il vecchio indossava un vestito nero di buon taglio e un cappello di panno con la visiera, un po’ calato all’indietro, sì da mostrare i capelli bianchissimi. Aveva la faccia paonazza, gli occhi azzurri e pieni di lacrime. Puzzava di gin. Pareva che il lezzo gli uscisse dai pori della pelle al posto del sudore: si poteva perfino immaginare che quelle lacrime fossero gin puro. E tuttavia, pur essendo alticcio, stava soffrendo di una qualche pena vera e insopportabile. Nella sua innocenza di bambino, Winston comprese che doveva trattarsi di qualcosa di terribile, di irrimediabile, qualcosa che non era possibile perdonare. Ebbe anche l’impressione di sapere che cosa fosse. Qualcuno che quel vecchio amava, forse una nipotina, era rimasto ucciso. L’uomo continuava a dire, senza quasi fermarsi:

«Non ci dovevamo fidare di loro, te l’avevo detto. Ecco che ci abbiamo ricavato a fidarci di loro. Lo dicevo da tempo, che non dovevamo fidarci di quei bastardi.»

Ma chi fossero i bastardi di cui non avrebbero dovuto fidarsi, ora Winston non riusciva a ricordarlo.

Da allora in poi la guerra era stata, letteralmente, continua, anche se a voler essere precisi non si era trattato sempre della medesima guerra. Per parecchi mesi, durante la sua infanzia, per le strade della stessa Londra si era svolta una confusa guerriglia urbana, di cui egli serbava in qualche caso un vivo ricordo. Tracciare la storia di quel periodo, precisare chi fossero, di volta in volta, gli antagonisti, sarebbe stato assolutamente impossibile, perché non esistevano documenti scritti, né testimonianze orali, che facessero menzione di schieramenti diversi da quello ora al potere. In questo momento, per esempio, nel 1984 (sempre che si trattasse del 1984), l’Oceania era in guerra con l’Eurasia e alleata con l’Estasia. In nessun discorso pubblico o privato si faceva riferimento a momenti in cui le tre potenze fossero state allineate diversamente, eppure Winston sapeva bene che solo quattro anni prima l’Oceania era stata in guerra con l’Estasia e alleata con l’Eurasia. Si trattava, comunque, di una nozione casuale, furtiva, dovuta solo al fatto che la sua memoria non era del tutto sotto controllo. A livello ufficiale, il cambiamento nelle alleanze non si era mai verificato: l’Oceania era in guerra con l’Eurasia, quindi l’Oceania era stata sempre in guerra con l’Eurasia. Il nemico contingente incarnava sempre il male assoluto; ne conseguiva che qualsiasi intesa con lui era impossibile, tanto nel passato che nel futuro.

La cosa terribile, pensò per la milionesima volta mentre spingeva dolorosamente le spalle all’indietro (le mani sui fianchi, stava ora ruotando il corpo attorno alla vita, un esercizio che si presupponeva giovasse ai muscoli della schiena), la cosa terribile era che poteva essere tutto vero. Se il Partito poteva ficcare le mani nel passato e dire di questo o quell’avvenimento che non era mai accaduto, ciò non era forse ancora più terribile della tortura o della morte?

Il Partito diceva che l’Oceania non era mai stata alleata dell’Eurasia. Lui, Winston Smith, sapeva che appena quattro anni prima l’Oceania era stata alleata dell’Eurasia. Ma questa conoscenza, dove si trovava? Solo all’interno della sua coscienza, che in ogni caso sarebbe stata presto annientata. E se tutti quanti accettavano la menzogna imposta dal Partito, se tutti i documenti raccontavano la stessa favola, ecco che la menzogna diventava un fatto storico, quindi vera. “Chi controlla il passato” diceva lo slogan del Partito “controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato.” E però il passato, sebbene fosse per sua stessa natura modificabile, non era mai stato modificato. Quel che era vero adesso, lo era da sempre e per sempre. Era semplicissimo, bastava conseguire una serie infinita di vittorie sulla propria memoria. Lo chiamavano “controllo della realtà”. La parola in neolingua era: “bipensiero”.

«Riposo!» sbraitò l’istruttrice, anche se con voce un po’ più cordiale.

Winston lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e inspirò piano. La mente gli scivolò nel mondo labirintico del bipensiero. Sapere e non sapere; credere fermamente di dire verità sacrosante mentre si pronunciavano le menzogne più artefatte; ritenere contemporaneamente valide due opinioni che si annullavano a vicenda; sapendole contraddittorie fra di loro e tuttavia credendo in entrambe, fare uso della logica contro la logica; rinnegare la morale proprio nell’atto di rivendicarla; credere che la democrazia sia impossibile e nello stesso tempo vedere nel Partito l’unico suo garante; dimenticare tutto ciò che era necessario dimenticare ma, all’occorrenza, essere pronti a richiamarlo alla memoria, per poi eventualmente dimenticarlo di nuovo. Soprattutto, saper applicare il medesimo procedimento al procedimento stesso. Era questa, la sottigliezza estrema: essere pienamente consapevoli nell’indurre l’inconsapevolezza e diventare poi inconsapevoli della pratica ipnotica che avevate appena posto in atto. Anche la sola comprensione della parola “bipensiero” ne implicava l’utilizzazione.

Dall’istruttrice era venuto di nuovo l’ordine di mettersi sull’attenti. «E ora vediamo chi di noi riesce a toccarsi le punte dei piedi!» disse in tono entusiasta. «Su, compagni, senza piegare le ginocchia! U-uno, due! U-uno, due!…»

Winston odiava quell’esercizio, che gli causava fitte di dolore dai talloni fino ai glutei e che spesso finiva per scatenare un altro accesso di tosse. Il piccolo senso di piacere che fino a quel momento aveva accompagnato le sue riflessioni scomparve. Il passato, rifletté, non era stato solo modificato, era stato distrutto completamente. E difatti, com’era possibile fissare perfino i fatti più evidenti quando ne esisteva traccia solo nella propria memoria? Cercò di ricordare in quale anno aveva sentito parlare per la prima volta del Grande Fratello. Doveva essere successo durante gli anni Sessanta, ma esserne certi era impossibile. Nelle cronache del Partito, ovviamente, il Grande Fratello figurava come il leader e il guardiano della Rivoluzione fin dai suoi primordi. A poco a poco le sue imprese erano state sempre più spostate indietro nel tempo ed erano ormai ascritte ai favolosi anni Trenta e Quaranta, quando i capitalisti, coi loro strani cappelli a cilindro, ancora percorrevano le strade di Londra in macchinoni sfolgoranti o in carrozze con gli sportelli di vetro. Non vi era modo di sapere quanto di questa leggenda fosse vero e quanto inventato. Winston non ricordava nemmeno l’anno in cui il Partito stesso aveva cominciato a esistere. Era convinto di non aver udito la parola Socing prima del 1960, ma poteva anche darsi che fosse stata di uso corrente già prima di quella data nella sua forma in archelingua, e cioè “Socialismo inglese”. Tutto si perdeva nella nebbia. A volte, tuttavia, si poteva mettere il dito su qualche bugia clamorosa. Per esempio, non era vero, come sostenevano le cronache del Partito, che il Partito aveva inventato gli aeroplani. Lui gli aeroplani se li ricordava fin dalla più remota infanzia, ma non si poteva dimostrare nulla. Non esistevano prove. Una sola volta, in vita sua, aveva avuto fra le mani la prova inconfutabile della falsificazione di un fatto storico e in quella circostanza…