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Floyd aveva veduto una volta Chandra piangere; ora lo vide ridere e si trattò di un fenomeno ugualmente sconcertante.

«Suvvia, dottor Floyd! Mi spiace che lei mi attribuisca un così basso quoziente di intelligenza. Fu ovvio sin dall’inizio che lei aveva installato in qualche punto un interruttore di disinserimento. Lo staccai mesi fa.»

* * *

Nessuno saprà mai se l’allibito Floyd sarebbe riuscito a escogitare una risposta adeguata. Stava ancora imitando in modo assai credibile un pesce fiocinato quando, sul ponte di volo, Sascia gridò: «Comandante! Tutti a bordo! Correte ai monitor! BOZHE MOI! GUARDATE LÀ!»

51. IL GRANDE GIOCO

Ora la lunga attesa stava giungendo al termine. Su un altro mondo ancora l’intelligenza era nata e stava fuggendo dalla propria sulla planetaria. Un antico esperimento si avvicinava al momento culminante.

Coloro che avevano iniziato questo esperimento, tanto tempo prima, non erano stati uomini… o nemmeno remotamente umani. Ma trattavasi di esseri fatti di carne e di sangue e, contemplando le profondità dello spazio, avevano provato timore reverenziale, e meraviglia, e solitudine. Non appena impadronitisi dell’energia, erano partiti verso le stelle. Nel corso delle loro esplorazioni, avevano incontrato la vita in molte forme diverse e osservato il corso dell’evoluzione in mille mondi. Avevano constatato come, non di rado, le prime fioche scintille dell’intelligenza baluginassero e si spegnessero nella notte cosmica.

E poiché, nella galassia non erano riusciti a trovare nulla di più prezioso della Mente, ne avevano incoraggiato il sorgere ovunque. Erano divenuti coltivatori nei campi delle stelle; avevano seminato, e talora mietuto.

E a volte, spassionatamente, dovevano estirpare.

I grandi dinosauri si erano estinti da tempo quando l’astronave esplorante aveva penetrato il sistema solare, dopo un viaggio già protrattosi per mille anni. Una volta rasentati i gelidi pianeti esterni, l’astronave si era soffermata brevemente sopra i deserti del morente Marte, per portarsi poi verso la Terra.

Esteso sotto di loro gli esploratori avevano veduto un mondo brulicante di vita. Per anni si erano dati da fare, studiando, collezionando, catalogando. E, una volta imparato tutto quello che era possibile, avevano cominciato a modificare, armeggiando con i destini di molte specie sulla terraferma e negli oceani. Ma quale dei loro esperimenti avrebbe avuto successo non sarebbero riusciti a saperlo prima di almeno un milione di anni.

Erano pazienti, ma non ancora immortali. Troppe cose rimanevano da fare in quell’universo formato da cento miliardi di soli, e altri mondi li chiamavano. Una volta di più si erano inoltrati nell’abisso, sapendo che mai più sarebbero tornati lì.

E non era affatto necessario. I servi da essi lasciati indietro avrebbero fatto il resto.

Sulla terra i ghiacciai avanzarono e indietreggiarono, mentre in alto l’immutabile Luna continuava a conservare il suo segreto. Con un ritmo ancor più lento del ghiaccio polare, le maree della civiltà fluirono e defluirono nella galassia. Strani e meravigliosi e terribili imperi sorsero e caddero e tramandarono le loro conoscenze ai successori. La Terra non era stata dimenticata, ma una nuova visita sarebbe servita a poco. Quel mondo era soltanto uno tra un milione di altri mondi silenziosi, pochi dei quali avrebbero mai parlato.

E ora, lontano tra le stelle, l’evoluzione stava puntando verso nuove mete. I primi esploratori della Terra già da lungo tempo avevano raggiunto i limiti delle capacità della carne e del sangue; non appena le macchine da essi costruite furono migliori dei loro corpi, giunse il momento di agire. Trasferirono dapprima i loro cervelli, poi soltanto i loro pensieri, nelle lucenti nuove dimore di metallo e di plastica.

In esse vagarono tra le stelle. Non costruirono più astronavi. Erano essi stessi astronavi.

Ma l’èra delle Entitàmacchine tramontò rapidamente. Grazie al loro continuo sperimentare, essi avevano imparato ad accumulare la conoscenza nella struttura dello spazio stesso e a conservare in eterno i loro pensieri entro congelate trame di luce. Ora potevano tramutarsi in creature fatte di radiazione, libere finalmente dalla tirannia della materia.

Per conseguenza, a questo punto, si tramutarono in pura energia; e, su un migliaio di mondi, i vuoti gusci che essi avevano scartato guizzarono per qualche tempo nella stupida danza della morte, poi si sgretolarono tramutandosi in ruggine.

Quanto a loro, erano ormai i Signori della galassia, al di là della portata del tempo. Potevano vagare a piacer loro tra le stelle e insinuarsi come nebbia sottile negli interstizi stessi dello spazio. Ma, nonostante i loro poteri divini, non avevano dimenticato del tutto la propria origine nella calda melma di un mare scomparso.

E continuavano a seguire gli esperimenti iniziati dai loro antenati, tanto tempo prima.

52. ACCENSIONE

Non si era mai aspettato di tornare di nuovo lì, e meno che mai per una missione così strana. Quando rientrò nella Discovery, l’astronave si trovava molto più indietro della Leonov in fuga e stava salendo sempre più adagio verso l’ipogiove, il punto più alto della propria orbita tra i satelliti esterni. Non poche comete catturate, nel corso delle ere trascorse, avevano girato intorno a Giove seguendo ellissi altrettanto lunghe, in attesa che il gioco delle gravità rivali decidesse il loro destino ultimo.

Ogni essere vivente aveva abbandonato quei corridoi e quei ponti familiari. Gli uomini e le donne, dai quali l’astronave era stata fatta rivivere fuggevolmente, avevano ascoltato il suo avvertimento; poteva darsi che si trovassero ormai al sicuro… sebbene questo fosse tutt’altro che certo. Ma, mentre gli ultimi minuti trascorrevano ticchettando, egli si rese conto che coloro dai quali era dominato non sempre potevano prevedere l’esito del loro gioco cosmico.

Non avevano ancora conseguito la noia, che istupidisce, dell’onnipotenza assoluta; i loro esperimenti non sempre riuscivano. Sparpagliate nell’universo si trovavano le prove di molti insuccessi — taluni così poco vistosi da essersi già perduti nello spazio cosmico, ma altri talmente spettacolari da intimorire e da eludere gli astronomi di un migliaio di mondi. Mancavano ormai soltanto pochi minuti prima che l’esito venisse deciso, in quel caso; e, in questi ultimissimi minuti, egli si trovava solo, una volta di più, con Hal.

Nella sua precedente esistenza, avevano potuto comunicare soltanto grazie al goffo tramite delle parole, battute su una tastiera o pronunciate in un microfono. Ora i loro pensieri si raggiungevano e si fondevano con la velocità della luce.

«Mi leggi, Hal?»

«Sì, Dave. Ma dove sei? Non riesco a vederti su nessuno dei miei monitor.»

«Questo non è importante. Ho nuove istruzioni per te. La radiazione infrarossa da Giove sui canali da R23 a R35 sta aumentando rapidamente. Ti darò adesso una serie di valori limite. Non appena saranno raggiunti, devi orientare la tua antenna a lunga portata verso la Terra e trasmettere il seguente messaggio, il maggior numero di volte possibile…»

«Ma questo significherà interrompere il contatto con la Leonov. Non potrò più riferire le mie osservazioni di Giove, secondo il programma fornitemi dal dottor Chandra.»

«Esatto. Però la situazione è cambiata. Devi accettare la Precedenza Assoluta Alpha. Ecco le coordinate dell’unità AE-35.» Come era strano che dovesse occuparsi una volta di più dell’unità di puntamento dell’antenna AE-35, il cui riferito difetto di funzionamento aveva causato la morte di Frank Poole! Questa volta tutti i circuiti si rivelavano al suo esame, chiari come le linee che aveva avuto un tempo sul palmo della mano. Non potevano più esservi falsi allarmi; e, per conseguenza, essi non potevano causare alcun pericolo.