Выбрать главу

— È nata, se non sbaglio, alla fine della guerra. Una… — Jan van Hoeidonck si interruppe, consultando il dizionario olandese-inglese che aveva in mano. — Una madre ritardata mentale… si dice così in inglese?

— Va benissimo, — disse Catherine, restia a spiegare il politically correct a uno straniero. — Continui.

— Una madre ritardata mentale scappò da Martinekerke col figlioletto quando l’esercito, l’esercito di liberazione, stava arrivando. Non capiva che quei soldati non l’avrebbero ammazzata. Così scappò, e nessuno riuscì a trovarla. A partire da quel momento, nel corso degli anni si è sentito spesso dire che un bambino grida nel bosco, o uno… uno spirito, sì?

— Affascinante, — disse Catherine, chinandosi a deporre la tazza in terra senza staccare gli occhi da Jan van Hoeidonck. Lui, da parte sua, abbassò leggermente lo sguardo, e Catherine si accorse, con una certa sorpresa, che le stava guardando il seno.

Sono una donna, pensò.

Roger intervenne con voce stentorea riportando la conversazione su Pino Fugazza e la sua collocazione nella musica europea contemporanea. A proposito, il direttore aveva mai sentito qualcosa del compositore?

— Ho sentito il suo primo brano importante, — replicò Jan senza entusiasmo. — Precipizio, per voci e percussioni… quello che ha vinto il Prix d’Italia. Non lo ricordo benissimo, perché tutti gli altri brani in concorso sono passati la stessa sera, e anche quelli erano per voci e percussioni. Tranne uno dell’ex Unione Sovietica, per flicorno e modulatore elettronico…

— Sì, ma ricorda niente del brano di Fugazza? — insistette Roger.

Il direttore si accigliò: per lui, indugiare su eventi musicali relegati al passato anziché proiettati verso il futuro era ovviamente quanto di più innaturale.

— Ricordo solo il pubblico, — ammise, — che è rimasto seduto lì per quattro ore a sentire canti e bisbigli e rumori che erompevano senza preavviso, finché tutto tace, e loro non sanno se è il momento di applaudire, dopodiché se ne vanno a casa.

Roger si stava lasciando prendere da un’educata esasperazione.

— Be’… se non ha sentito il Partitum Mutante, che cosa le fa credere che sarà molto meglio?

Jan agitò mollemente una manciata di dita intorno alla tempia destra.

— Da allora ha avuto un grosso tracollo mentale, — disse. — Questa può essere un’ottima cosa per la musica. E poi, l’interesse pubblico per Fugazza è notevolissimo, il che è ottimo per le vendite al botteghino. È molto famoso presso la stampa italiana per aver aggredito la moglie con una scarpa dal tacco a spillo al ritiro bagagli dell’aeroporto di Milano.

— No! — fece Catherine incredula. — E ora lei come sta?

— Benissimo. Credo che presto sarà una divorziata piena di soldi. Ma, naturalmente, è la qualità della musica a decretarne il valore.

— Naturalmente, — sospirò Roger.

Più tardi, quando il direttore se ne fu andato, Roger rimase alla finestra a guardare il minibus giallo rimpicciolire in lontananza sul lungo nastro d’asfalto nero che conduceva a Bruxelles. Nel frattempo, il sole splendeva sui vetri della finestra come un riflettore da un milione di watt, rendendo bianchi i capelli d’argento e la carne il colore di una mela sbucciata. Ogni ruga e grinza venute con l’età, ogni minuscola cicatrice e buchetto risalenti all’adolescenza, erano illuminati e implacabilmente definiti. Alla fine la luce si fece troppo intensa per lui; che si allontanò, esausto, sbattendo gli occhi e asciugandoseli.

Accorgendosi che Ben Lamb era ancora seduto nell’angolo in ombra della stanza, e che Catherine sonnecchiava tutta sudata sul divano, si sbottonò sul dubbio che lo attanagliava circa il valore del progetto in cui si erano impegnati.

— Sai, sono veramente stufo di tutto questo fascino che dovrebbe esercitare la pazzia, tu no? — disse, rivolto a Ben. — Sono quei segnetti sullo spartito che dovrebbero avere qualcosa di sensazionale, non il comportamento di qualche italiano svitato all’aeroporto.

Catherine, che non gradiva tanta mancanza di rispetto nel trattare l’argomento follia, ribatté:

— Non sarà che questo Pino è semplicemente giovane e impetuoso? Io non mi arrogherei mai il diritto di dare del matto a qualcuno. Soprattutto a un italiano che ho visto una sola volta. Di sicuro non sarà tanto squinternato se guida una Porsche e veste Armani.

— Una visione molto poetica, cara… anche se la logica risulta un po’ oscura, — osservò Roger.

— No, volevo dire che ovviamente non è… um… di un altro mondo, no?

Ci fu una pausa durante la quale i due uomini meditarono sul significato di quell’espressione.

— Tu che ne pensi, Ben? — chiese Roger.

— Penso che dovremmo cantare quanto più possibile nei prossimi quattro giorni, — rispose lui. — Così, al momento della prima, avremo se non altro la certezza di essere meno confusi del signor Fugazza.

♫♫

E così cantarono, mentre il sole risplendeva in cielo e la temperatura all’interno del castello si inerpicava verso i 30 gradi. Era peggio che stare sotto un intero impianto di luci di scena; tutti e cinque bollivano dentro i vestiti.

— Finiremo per cantare nudi, — suggerì Julian. — Così metteremmo un po’ di sensualità in questo brano!

Gli altri lasciarono correre, capendo che il poveretto era in calore.

Quando, alla fine, furono tutti troppo stanchi per proseguire, Roger e Julian andarono a letto — non insieme, naturalmente, anche se negli ultimi tempi Julian dava l’impressione di considerare chiunque, perfino i compagni di Coro, come un possibile oggetto sessuale. Il disgusto che aveva provato sulle prime vedendo Dagmar allattare, col trascorrere dei giorni si era stemperato in una sorta di tolleranza, salvo poi inasprirsi in una forma di curiosità così acuta da mettere in imbarazzo tutti fuorché lui. Dagmar, di norma indifferente alle misere brame di uomini indesiderati, si sentiva sempre più a disagio, e l’allattamento divenne un atto via via più segreto, perpetrato al riparo di porte chiuse. In presenza di Julian, tendeva a incrociare le braccia sul petto, in un gesto protettivo, aggressivo. Dopo una mezz’ora passata a fissare Julian per fargli abbassare lo sguardo, balzava in piedi e si metteva a camminare su e giù, una fascia scura sul petto dove gli avambracci sudati avevano inzuppato la stoffa dei vestiti che indossava.

La sera della visita del direttore, dopo aver finito con il Partitum Mutante ed essersi assicurata che Julian fosse andato a letto, Dagmar si sbracò sul divano con Axel attaccato al seno. Ben era seduto vicino alla finestra a fissare un cielo che, alle undici meno un quarto, serbava ancora qualche brandello di luce. Stava calando di nuovo quel silenzio soprannaturale, che dal salotto permetteva di sentire perfino il gocciolio di un rubinetto in cucina.

Stranamente ringalluzzita dopo che il figlio le aveva succhiato il latte, Dagmar decise di portare Axel a fare una passeggiata nel bosco. Non invitò Catherine; la donna più anziana immaginò che dovesse essere uno di quei momenti in cui Dagmar voleva scorrazzare per il mondo sola con il suo piccino, spiegandogli le cose in tedesco.

— Sta’ attenta, — disse Catherine mentre uscivano. — Ricordati della leggenda.

— Quale leggenda?

— Una volta una madre e il figlioletto sono spariti in quel bosco, alla fine della guerra. Certi dicono che il bambino sia ancora là fuori.

Dagmar si soffermò un attimo a fare un calcolo mentale.

— Be’, se dovessimo incontrare un bambino di settantacinque anni lungo la strada, magari Axel sarà contento di giocare con lui, — disse, e se ne andò a zonzo nel buio.