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Gli occhi di Varn lampeggiarono.

«Imparerete a conoscerne la potenza. Le navi spaziali del Controllo giungeranno sulla Terra prima che possiate dar corso al vostro esperimento.»

Kenniston, esasperato oltre misura, l’afferrò alle spalle, con l’impulso brutale di scuoterla.

In quel momento accadde un fatto assolutamente inatte­so. Varn Allan scoppiò a piangere.

L’ira di Kenniston svanì di colpo. Varn Allan gli era sempre apparsa così fredda e padrona di se stessa, che si sentiva as­solutamente sconvolto nel vederla in lacrime.

Dopo un attimo, Kenniston le accarezzò una spalla, imba­razzato.

«Mi dispiace moltissimo, Varn. So che avete cercato di aiutarmi, là, al Centro di Vega. E potrà sembrarvi che io mi dimostri ingrato. Ma non è vero! È che debbo, debbo tentare quell’esperimento, per non vedere gli abitanti di Middletown umiliarsi combattendo contro la vostra Federazione.»

Varn Allan lo guardò, con occhi umidi, e mormorò: «Mi sto comportando come una stupida...»

Anche Kenniston la guardò, ma lei lo respinse. Sembrava volesse evitare gli occhi di lui.

«So che siete sincero, Kenniston. Ma so pure che avete torto, e che non potete sfidare con successo la potenza di tut­te le stelle.»

Kenniston si sentì stranamente depresso, quando la la­sciò. Cercò di non pensare... cercò di scacciare il ricordo di quel contatto con lei, il ricordo della fugace emozione che lo aveva afferrato quando le aveva accarezzato le spalle.

«È una cosa pazza...» mormorò fra sé. «E poi, c’è Carol...»

Non andò più da lei, in tutte le ore e i giorni in cui il picco­lo incrociatore spaziale varcava a piena velocità il vuoto im­menso della Galassia. La evitava. Temeva il momento in cui l’avrebbe nuovamente incontrata.

La tensione crebbe nell’animo di Kenniston; intanto la lu­ce rossa del sole si ingrandiva nello spazio. Mentre l’incrocia­tore rallentava la sua corsa al di là degli altri pianeti esterni senza vita, Arnol gli si avvicinò.

«Dovremo lavorare in fretta, una volta giunti» gli disse Arnol. Anch’egli aveva il viso contratto dallo sforzo. «Le na­vi spaziali della Federazione debbono già essere in viaggio per arrestarci.»

Kenniston non rispose. Il dubbio che lo tormentava da tempo gli s’ingrandiva nel cuore mentre vedeva il grigio glo­bo della vecchia Terra ingigantirsi sulla loro direttrice di corsa.

Il suo popolo era là, in attesa. Che cosa portava a loro e al loro pianeta morente? Una nuova vita, o la morte definitiva?

19

Middletown decide

Coi nervi tesi, Kenniston attraversò la polvere e la desolazio­ne della pianura, verso la lucida cupola di Nuova Middle­town. Erano con lui Arnol e il grosso Gorr Holl. Tutto era come prima, come lo ricordava: il vento gelido e il sole rossa­stro, con la sua orbita cinta da una breve corona di raggi.

«Perfetto!» mormorò Arnol. «Perfetto! Proprio il mondo che io ho sempre sognato per compiere la mia prova!»

«Eccoli! Vengono!» disse Gorr Holl, indicando la gran­de porta della città.

Le guardie armate avevano riconosciuto Kenniston e Gorr Holl. La notizia si era immediatamente diffusa, e gli abitanti si riversavano fuori della porta, per andare loro incontro.

Dopo pochi secondi erano già circondati da una grossa folla che gridava e acclamava, tutta eccitata. Kenniston ri­conobbe visi a lui noti... Bud Martin, John Borzak, Lauber, e altri.

La figura torreggiante di McLain si avvicinò a lui, tra la folla.

«Che è accaduto lassù, Kenniston?» domandò.

«Sì! Sì. Qual è il verdetto?» gridò un’altra voce. E un’al­tra ancora: «Ci lasceranno star qui, dunque?»

Kenniston alzò la voce per farsi udire dalla folla.

«Tutti alla piazza!» gridò. «Passate la parola anche agli altri. Vi dirò tutto sulla piazza, quando sarete riuniti.»

«In piazza! In piazza!» gridarono allora tutti.

Alcuni cominciarono a tornare di corsa verso la città, per portare la notizia attraverso le strade. Altri circondarono Gorr Holl, lieti di rivederlo. Molti guardarono curiosamente Jon Arnol, chiedendo chi fosse, ma Kenniston scosse il capo. Quella storia sarebbe stata tutt’altro che facile da spiegare, e non voleva ripeterla due volte.

Cercò nella folla il viso di Carol. Desiderava molto veder­la... eppure, nel profondo della sua mente, in qualche modo indistinto, provava una strana riluttanza a incontrarla, a tro­varsi nuovamente con lei, e non ne capiva il perché. Ma non la vide. Avrebbe dovuto sapere che non si sarebbe avventura­ta in mezzo a quella folla eccitata.

Il sindaco Garris si precipitò verso di lui sulla porta della città, precedendo Hubble e alcuni membri del consiglio mu­nicipale.

«Avete messo a posto le cose, Kenniston?» gridò. «Hanno capito, lassù, ciò che volevamo?»

«Farò il mio rapporto nella piazza, dove tutti potranno udire» rispose Kenniston.

Il sindaco gli diede un’occhiata ansiosa e preoccupata, quasi spaventata, e si fece in disparte. Kenniston afferrò Hubble per un braccio.

«Ho bisogno di parlarti, Hubble» disse. «Ho fatto qualche cosa, e non so...»

Parlò rapidamente, a bassa voce, allo scienziato anziano, mentre percorrevano le strade che conducevano alla piazza.

La reazione di Hubble fu identica a quella di Kenniston quando aveva udito per la prima volta il progetto. Arretrò spaventato, impallidendo di colpo.

«Per l’amor del Cielo, Ken! È una cosa... pazzesca, peri­colosa...»

Ma, mentre ascoltava ulteriori chiarimenti, la sua espres­sione di allarme si mutò in un’altra, di grave attenzione, e in­fine in un acuto interesse.

«Sì, sembra una cosa perfettamente logica, anche secon­do i principi della nostra stessa scienza fisica.» Guardò Jon Arnol. «Se potessi soltanto parlargli chiaro...»

«Non servirebbe a nulla» disse Kenniston seccamen­te. «È proprio questo il punto più terribile. La sua scienza è milioni di anni più avanti di ogni nostra concezione scientifica.»

Hubble si volse a Gorr Holl. Aveva lavorato a fianco di quel grosso gigante peloso, lo conosceva e aveva fiducia nella sua abilità e perizia come tecnico atomico.

«Riuscirà Arnol nel suo procedimento?» gli domandò, ansioso.

«Credo nel suo procedimento quanto basta per rischiare la mia vita per aiutarlo» disse Gorr Holl semplicemente.

Kenniston tradusse la frase, e Hubble parve rassicurato.

«Mi sembra ancora un grosso rischio, Ken» disse. «Ma... a ogni modo vale la pena di tentare.»

Dopo pochi minuti Kenniston salì i gradini del Municipio e rimase zitto, davanti al microfono.

Di fronte a lui, a migliaia, erano affollati gli abitanti di Middletown... era tutto un caleidoscopio di visi ansiosi, ecci­tati, frementi nell’attesa.

Quello era il momento a cui aveva tanto pensato... il mo­mento che aveva spesso temuto di non poter sopportare. Di­re quella cosa era assai più duro di quanto immaginasse. Ep­pure occorreva dirle, quelle parole.

Non sarebbe servito a nulla usare precauzioni, dire la ve­rità a poco a poco. La disse, invece, quasi brutalmente.

«La decisione è contro di noi. Hanno detto che dobbia­mo andarcene.»

Ascoltò il clamore furente che accolse quelle parole, le gri­da irate di tutta quella folla esasperata fino al parossismo.

Il sindaco Garris espresse con la sua voce, alta e tremante, l’appassionata reazione di tutta Middletown.

«Non lasceremo la Terra! E se vogliono spingerci a com­battere, combatteremo!»

Kenniston alzò le mani, chiedendo silenzio.

«Aspettate!» gridò nel microfono. «Ascoltate! Forse non vi sarà alcun bisogno che ve ne andiate dalla Terra, e for­se non vi sarà alcun bisogno che combattiate. Vi è ancora una possibilità...»