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Quando le tenebre lo avvolsero completamente, egli vide una luce vacillante molto in là sulla strada. Si mise a correre e aveva quasi raggiunto il carro quando si rese conto che uno dei soldati camminava in testa al gruppo brandendo una fiaccola. Gli altri marciavano ai lati del carro, tre per parte, e le loro figure si stagliavano contro quel debole chiarore.

La piccola luna era come un puntino luminoso sull’orizzonte del mare, ancora troppo bassa nel cielo perché il suo debole chiarore potesse contare. Forzon non perdeva di vista il carro e mentre col pensiero cercava di organizzare un piano di attacco, col piede inciampò proprio sull’arma di cui aveva bisogno: un sasso. Immaginò subito un piano veloce. I soldati erano come ipnotizzati dall’oscurità, dal lampeggiare della fiaccola, dal costante, assordante cigolio del carretto, dalla monotonia di una missione che assegnava sette soldati a far la guardia a due prigionieri legati. Nell’impossibilità perfino di parlare fra loro senza gridare, camminavano con passo uniforme, meccanico, gli occhi fissi davanti a sé, la mente rivolta chissà dove tranne che sulla strada buia alle loro spalle.

Uno di quei soldati era a tal punto immerso nei suoi pensieri che si era staccato dal gruppo ed era rimasto un po’ indietro.

Forzon gli balzò addosso senza esitare, lo colpì alla nuca e si buttò su di lui, disteso, per colpirlo ancora se si fosse mosso. Gli altri continuarono la loro marcia. Anche se fossero stati all’erta, non avrebbero udito nulla, a causa del continuo frastuono del carro, né avrebbero veduto ciò che accadeva nell’oscurità assoluta che cominciava a pochi passi dalla fiaccola. Ad ogni modo non erano all’erta.

Forzon sfilò i lacci dai sandali della sua vittima, e con quelli legò ben stretti mani e piedi dell’uomo. Lo fece rotolare oltre il ciglio della strada su un piccolo prato. Raggiunto poi il carro, abbatté un’altra vittima, e l’abbandonò come la prima, inconscia e legata.

La cosa pareva fin troppo facile. Quando ebbe liquidato quattro membri della scorta, egli era inzuppato di sudore, tutto agitato per la paura di causare, con il suo nervosismo, qualche stupido incidente a pochi minuti dalla riuscita. Gli altri soldati camminavano vicino alla luce e dubitò di poterne attaccare uno senza che gli altri se ne accorgessero. Roteò il sasso. Il soldato cadde. Forzon aspettò che il carro lo oltrepassasse e si precipitò sui suoi lacci.

Con sole due probabilità contro una, Forzon si sentì troppo sicuro, colpì a striscio e dovette colpire una seconda volta quando l’uomo piroettò su se stesso e Forzon si trovò a faccia a faccia con lui. Il soldato con la fiaccola, abbagliato dalla luce quanto gli altri, non si volse minimamente a guardare.

E se lo avesse fatto nel momento cruciale? Forzon si issò nel carro arrampicandosi dalla parte posteriore, strisciò vicino all’uomo disteso e con sicurezza applicò il coltello sui lacci che tenevano legate le mani di Ann. Perlomeno, se egli non fosse riuscito ad annientare l’ultimo avversario, Ann sarebbe stata in grado di fuggire per conto suo.

Lei non mostrò alcuna sorpresa, non fece alcun movimento, si chinò solo all’indietro e avvicinando il suo labbro all’orecchio di Forzon gli disse:

«Chi sei?»

Le rispose col labbro sull’orecchio: «Forzon.»

«Forzon?»

La mani erano ormai libere. Allungò il braccio e cercò le caviglie. Tagliò i lacci e si voltò verso il suo compagno. Il respiro del poveretto era così debole che sulle prime Forzon pensò fosse morto. Non si mosse neppure quando Forzon gli ebbe liberato le mani e i piedi.

Ann gli pose di nuovo le labbra all’orecchio e pronunciò soltanto: «Fate presto.»

Forzon si lasciò calare sulla strada e corse in avanti per sferrare ciò che sperava fosse il suo ultimo colpo. Il soldato stramazzò. La fiaccola cadde e si mise a crepitare, l’animale si fermò. Lo scricchiolio del carro cessò così improvvisamente che le orecchie di Forzon vibrarono per l’inatteso silenzio.

«Non lasciate spegnere la fiaccola!» gridò Ann.

Egli la piantò nel terreno mentre legava il soldato, poi raggiunse la ragazza che stava già emettendo una chiamata per mezzo di un comunicatore portatile, tolto da una cavità segreta sul fondo del carro. «Sei-due-sette. Emergenza» disse.

«Parla, sei-due-sette.»

«Ho il pacco. Occorre contatto medico di emergenza.»

«Il pacco è…»

«No, non il pacco.»

«Capisco. Io al momento sono solo. È molto grave?»

«Situazione critica» disse senza espressione. «Domani sera sarebbe troppo tardi.»

«Cerco uno spiazzo per l’atterraggio. Arrivo.»

Il doppio fondo del carro conteneva anche un corredo di pronto soccorso e una bottiglia d’acqua. Ann tagliò gli abiti dell’uomo, intrisi di sangue, ripulì e fasciò una ferita aperta nel suo costato.

«Che cos’è successo?» chiese Forzon.

«Un soldato l’ha trafitto con la lancia. Ha bisogno di una trasfusione. Per il momento io non posso fare di più.»

Scese dal carro e si guardò intorno, aggrottando la fronte e pestando il piede con impazienza. Il suo aspetto e il suo comportamento erano quelli di una massaia contadina, rozza e risoluta. Forzon che ricordava perfettamente la femminile fragilità della ragazza al loro primo incontro alla base, si accorse di guardarla con curiosità stupita.

«Non è prudente far scendere l’aereo in uno spazio aperto così vicino alle abitazioni» disse lei. «Dobbiamo tornare indietro.»

«Abitazioni?» Con l’attenzione tutta rivolta al carro, egli non le aveva notate. Avevano attraversato fertili campagne e la luce di una fattoria vacillava debolmente a breve distanza davanti a loro.

«Spero che i soldati che ho legato non si liberino da soli e non diventino vendicativi» disse Forzon.

«Dobbiamo slegarli» annunciò Ann.

«Slegarli…?»

«Questa strada è poco frequentata e se non liberiamo quegli uomini nessuno forse li ritroverà. D’altra parte se qualcuno li trova verranno castigati e spediti con un ordine di andata senza ritorno in uno di quei villaggi dei monchi cari a Re Rovva. Le sue vittime sono già abbastanza numerose senza la collaborazione della Squadra B.»

«Se lo ritenete prudente…»

«Andranno immediatamente a sud» disse con sicurezza. «Vi si trova una giungla acquitrinosa dove i fuggiaschi possono nascondersi finché i loro delitti siano dimenticati. La Squadra B vi mantiene un agente che li aiuterà. In quanto a noi, più fuggiaschi ci sono e meglio è.» Andò in testa al carro e colpì la bestia sul fianco. «Questo animale è un esg. Di notte non cammina se non vi è qualcuno che gli faccia strada con una luce.»

Voltarono il carro facendogli fare dietro-front in un cerchio ristretto. Forzon liberò l’ultimo soldato colpito, sempre inconscio, poi camminò innanzi con la fiaccola, scrutando il ciglio della strada per ritrovare le sue vittime. Erano tutte inconsce salvo due, che, rassicurate dalle parole che Ann disse loro in Kurriano, si diressero verso sud più speditamente che potevano.

Arrivati al mare, Ann cercò una striscia di spiaggia adatta, poi spogliarono il carro di tutto il suo materiale segreto. Forzon lasciò Ann col ferito e condusse l’esg nella foresta, spinse l’animale più che poté nel folto del bosco e lo lasciò libero. All’alba, avrebbe vagato finché qualche contadino non se ne fosse appropriato.

Tornò correndo alla spiaggia e trovò l’aereo che lo aspettava col ferito già imbarcato. Decollarono immediatamente e volarono bassi sul mare. La costa pareva una lunga macchia oscura nel punto ove finiva la fosforescenza del mare. Ann si volse bruscamente verso di lui. «Come vi siete salvato?»

«Non lasciandomi catturare» rispose Forzon.

Lo guardò, incredula. «La lingua che vi hanno fatto imparare era il Larnoriano. Indossavate la veste di un sacerdote larnoriano, e i sacerdoti larnoriani sono gli orchi di tutte le favole kurriane. Vi avevano affibbiato un finto naso larnoriano, e anche se la zona non fosse stata infestata di soldati, non sareste rimasto in libertà più di un’ora. Dove vi siete procurato gli abiti di contadino?»