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«Ancor più strano che non siano arrivati.»

«Non tanto. Aspettiamo una spedizione di rifornimenti e gli ordini giungeranno senz’altro con la posta normale. Li avete preceduti perché avete viaggiato a mezzo incrociatore. In generale l’ERI ne affida all’interessato una copia, da esibire quando si presenta a rapporto per prendere servizio. Nel vostro caso, poiché provenite da un altro organismo, vi sarà stata un po’ di confusione.» Volse il capo verso il muro e parlando nel vuoto disse: «Qualunque sia il vostro incarico, avrete bisogno di istruzione.»

«No» disse Forzon, che parlava con una calma molto maggiore di quella che provava. «Io no, ma voi sì. Dite: gli ufficiali ERI usano considerare i loro superiori come un mucchio di ignoranti? Nessuno tranne un idiota sceglierebbe uno specialista altamente qualificato in un campo di conoscenza molto complesso e definito, per affidargli un incarico estraneo alla sua specialità. I vostri superiori, Coordinatore, non sono idioti, e non l’hanno fatto. L’ERI non si sarebbe preso un ufficiale della Cultura, se non si fosse trovato di fronte a un problema che solo uno specialista di quella disciplina sia in grado di risolvere.»

«Sono certo che quando arriveranno i vostri ordini…»

«Non mi occorrono ordini per sapere quel che ho da fare.» Forzon si sedette con disinvoltura sull’angolo della scrivania del Coordinatore, e con l’indice puntato gli disse: «Vi sono dei quadri nella vostra anticamera, dei dipinti indigeni, splendide opere d’arte, e un cretino le ha attaccate al muro con del cellex, il che le rende praticamente inamovibili. Se sapessi chi è stato lo ammazzerei. Uno dei quadri rappresenta un musicista. Lo ricordate?»

«Sì, mi pare…»

«Benissimo. Il suo strumento a corde è un cordofono a pizzico che chiamerò arpa in mancanza di termine più adatto, sebbene non somigli a nessun’arpa che io abbia visto o di cui abbia sentito parlare. Ha un telaio curvo, bellissimo. Le corde sono tese a partire dal perimetro di una cassa di risonanza, convergendo verso una specie di testa di drago che orna la mensola, nella parte superiore dello strumento.» Fece una pausa. Il Coordinatore lo guardava a bocca aperta. «Vorrei sapere questo: qual è la scala musicale adoperata da quello strumento?»

«Io…» la gola del suo interlocutore si gonfiò nel tentativo di inghiottire. «…Non so.»

«Lo temevo. Vi spiace far portare nel mio quartiere una serie di registrazioni e un apparecchio per suonarle?»

«Registrazioni

«Sì, di musica suonata con quello strumento. Ne avete qui, non è vero?»

«Temo di no.»

«Capisco. Allora, me le farò da me. Mi potete procurare uno strumento come quello e dei musicisti che lo sappiano adoperare, o devo cercarmeli io?»

«Ma questo è…» la voce del Coordinatore si spezzò.

«Nulla è impossibile» annunciò Forzon con una calma implacabile. «Quei dipinti mi interessano, voglio l’analisi chimica dei colori, e voglio dei colori per fare alcuni esperimenti.»

Il Coordinatore era ammutolito. «Neanche l’analisi chimica…?» chiese Forzon rassegnato.

«No, che io sappia.»

«Non dovrebbe essere difficile farla fare. C’è un laboratorio in sede. Datemi un po’ di quei colori e li farò analizzare.»

«Temo che…»

«Niente laboratorio?»

«Niente colori.»

«Non è un problema. Procurateveli. Meglio ancora, invitate dei pittori. Mi piacerebbe vederli al lavoro.»

«Ma è impossibile. Capite…»

«Capisco perché qualcuno ha ritenuto opportuno mandare un ufficiale della Sovrintendenza Culturale.»

Il viso del Coordinatore si era fatto di brace. La sua pressione sanguigna in costante aumento e il suo autocontrollo in continua diminuzione parevano avviati su una rotta di collisione. Quando finalmente ritrovò la parola, c’era nella sua voce una sfumatura di dolore. «Voi non capite niente. Non possiamo fare gran che, finché i vostri ordini non arrivano, ma dirò al mio vice di istruirvi un poco. Il vostro alloggio va bene? Allora arrivederci, Forzon… Scusate: Intendente Forzon.»

Si alzò goffamente, fece un secco saluto militare. Forzon stupefatto rispose al suo saluto e uscì dall’ufficio con la sconcertante impressione di essere stato sconfitto.

Tornò nell’atrio e si sedette a contemplare ancora un po’ i dipinti. Doveva farsi fare l’analisi di quei colori. Doveva procurarsi delle registrazioni. La sola vista di quello strano strumento evocava abbaglianti fantasmagorie di cascate sonore.

L’impiegata lo guardava come se lo credesse infestato dei più schifosi pidocchi indigeni. Forzon non vi diede alcun peso e le chiese: «Forse potete dirmi con quale scala musicale, si suona quello strumento?»

L’ostilità della ragazza svanì e per un istante, un solo istante di panico assoluto, il suo viso mutò espressione. Da attraente divenne attonito, vacuo, antipatico. Non rispose. E Forzon che odiava le cose antipatiche si voltò dall’altra parte.

Amava la bellezza in sé, ed era affascinato dalla bruttezza che quasi sempre è una forma di bellezza a rovescio. Purtroppo la vita gli offriva pochi esempi sia dell’una sia dell’altra, e molti esempi di quella paurosa mediocrità che gli faceva ribrezzo.

Questo pianeta, però, possedeva un complesso culturale di una ricchezza quasi incredibile. I dipinti testimoniavano dell’esistenza di altre arti, pari o forse superiori a quella pittorica: lo strumento musicale, con il suo telaio magistralmente intagliato, che proclamava un livello altissimo di abilità artigianale nel campo delle arti plastiche; o l’architettura insolita, quelle case dalle mura sporgenti, dagli splendidi colori, che parevano funghi quadrati e multicolori. Se ciò che gli rimaneva da vedere era all’altezza di questo abbagliante preambolo, il pianeta Gurnil doveva essere uno di quei mondi che di solito tutti gli ufficiali della Cultura sognavano invano d’incontrare.

L’euforia di Forzon era mitigata da un acuto presentimento: l’Ente Relazioni Interplanetarie poteva farsi fare quanti rilievi culturali voleva, senza far trasferire nei quadri di comando un ufficiale generale SC. Ed essendoselo annesso, non avrebbe mai inoltrato i suoi ordini a piccola velocità.

L’impiegata dell’ingresso continuava a fissarlo con diffidenza. Forzon si mise a guardarla con curiosità e lei rispose con un’occhiata. Forzon lanciò un ultimo sguardo all’abbagliante ritratto di una meravigliosa fanciulla di Gurnil. I suoi lunghi capelli erano annodati in grosse trecce, e le vesti splendenti dagli abbondanti fronzoli celavano le sue belle forme senza però tradirle.

Quell’impiegata invece aveva le spalle della giacca imbottite in modo da formare un angolo retto con le braccia. Nessun disegnatore di moda che sapesse il fatto suo avrebbe commesso l’errore di deturpare con angoli taglienti una bellezza naturale curvilinea. I calzoni a metà gamba erano uno sbaglio ancora peggiore, ammesso che fosse possibile. Il colore della stoffa ricordava il fango secco. Vicino ad esso il colorito sano delle gambe, anche di gambe bellissime, assumeva un pallore cadaverico.

Il contrasto era così brutale e sconvolgente che Forzon abbandonò senza rimpianto la sala dei dipinti e si diresse verso il suo alloggio per poter meditare indisturbato sull’enigma che gli si poneva dinanzi. Intuiva con un’inquietante certezza che, quando avrebbe finalmente scoperto che cosa stava accadendo sul pianeta Gurnil, non gli sarebbe piaciuto per niente.