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«Sbagliate» disse Forzon. «Sono increduli… spero.»

«Increduli che qualcuno osi presentare al re una supplica?»

«Increduli sul fatto che il re abbia messo al bando i trombettieri. Non vogliono crederlo.»

«Lo sperate» aggiunse Ann asciutta.

«Forzon annuì, «Lo spero.»

Un lontano rumore di applausi giunse alle loro orecchie. La piazza divenne bianca per i visi che si voltavano. Stavano arrivando i trombettieri.

Avanzavano con tortuosa lentezza. La gente si spingeva e si schiacciava per lasciare aperto uno stretto corridoio che si richiudeva subito dietro i musicisti. Andavano a due a due, le cappe rosse svolazzanti, i lucidi strumenti alzati. Gli applausi non cessarono per tutto il tempo che occorse loro per attraversare la piazza. Sebbene la folla si scansasse per aprire un passaggio, la loro marcia già lenta si fece ancora più esitante in vicinanza del castello.

Si fermarono davanti a una facciata imponente. A quella distanza, parevano una piccola macchia scarlatta in un mare di colori misti. Il silenzio della folla era come un silenzio di morte. Leblanc guardava con il binocolo e mormorò: «Vedo il re. Nella grande finestra centrale. È il suo podio durante le sfilate.»

Non udirono la voce di Tor quando pronunciò la supplica, ma solo, quando ebbe finito, l’improvviso mormorio di approvazione della folla circostante. Il re apparentemente pronunciò una breve risposta. Ma di là della piazza non giunse sino a loro alcun suono. I musicisti quindi fecero dietro-front e cominciarono ad aprirsi un varco nella folla.

La miccia era bruciata fino in fondo facendo solo pfff!

«Ebbene, ho fatto cilecca» disse rassegnato.

«Cilecca!» esclamò Leblanc. «Ma vi rendete conto che questa è la prima volta, in quattrocento anni, che siamo riusciti a ottenere almeno una dimostrazione pubblica? Che cosa succederà poi?»

«Non lo so, a meno che…» Forzon si chinò più che poté fuori della finestra e gridò con tutto il fiato che aveva in gola:

«Musica!»

Leblanc gli fece eco immediatamente, urlando nell’orecchio di Forzon e facendolo sussultare al punto che quasi perdette l’equilibrio. Gridarono insieme: «Musica! Musica!» La folla sottostante seguì subito l’esempio e in un attimo l’urlo era diventato un tuono, un ritmico ruggito che riempiva la piazza.

«Musica! Musica!»

I trombettieri che tornavano indietro avevano raggiunto il centro della piazza, con i loro strumenti sempre alzati. Forzon li guardò con intensa aspettativa. Avrebbero sfidato il re mettendosi a suonare? In caso affermativo la dimostrazione avrebbe potuto ancora salvare qualcosa? O avrebbero rinunciato? Tor avrebbe osato?

Il cancello del palazzo si spalancò, riversando i ruff del re. Facendosi largo con le spade e le lance entrarono nella folla. Sul momento i cittadini sbigottiti si fecero da parte poi, con un clamore rabbioso, si lanciarono in avanti e cominciarono ad afferrare i ruff, gettandoli a terra, calpestandoli. Le armi catturate furono scagliate con gesto di sfida sulle finestre del castello. Per un po’ gli uomini di Tor rimasero immobili al loro posto, come un’isola scarlatta sperduta in un’alluvione, e guardavano la folla che correva intorno a loro.

Poi abbassarono i loro strumenti e al disopra del clamore pulsante della folla si udì il suono delle trombe.

Forzon si ritrovò solo nella stanza. Questo era il momento che da quattrocento anni la Squadra B aveva atteso, la crisi che si era preparata ad affrontare. Leblanc era già sceso in strada, a esortare la folla. Sotto la finestra di Forzon, Joe agitava le braccia e urlava a squarciagola, ma nessuna delle sue parole giungeva fino a Forzon. Il frastuono era diventato così assordante che copriva perfino le trombe. Gli uomini di Tor abbassarono i loro strumenti e rimasero in piedi, intontiti davanti al riversarsi di quella folla.

Al di là della piazza l’avanguardia furiosa dei cittadini aveva gremito il cortile del palazzo. Forzon dubitò che potesse forzare le robuste porte interne col solo peso del numero, ma toccava a Leblanc risolvere quel problema. Aveva la sua desiderata rivolta, ora la doveva utilizzare. Forzon si voltò e vide Ann in piedi accanto a lui. Scosse il capo e per un attimo rimasero a guardarsi sorridendo, poi la prese fra le sue braccia.

Improvvisamente un’ombra si stese sulla piazza e in quel momento la folla si immobilizzò e ammutolì. Migliaia di volti pallidi si alzarono a guardare il cielo.

Forzon si staccò da Ann e rimasero alla finestra a guardare ammutoliti la folla immobile e silenziosa.

L’ombra tornò. Un aereo scese lentamente sulla piazza a bassa quota, uno degli aerei silenziosi con i quali l’ERI manteneva i contatti con il Kurr. Alle orecchie di Forzon non giungeva neppure un ovattato ronzio mentre passava su di loro. Un momento dopo tornava e riprendeva a salire lentamente. Descrisse un cerchio al disopra del castello poi scese in picchiata.

La folla fuggì in preda a un indescrivibile panico. Una densa massa di popolo adunatasi in molte ore scomparve in pochi minuti. Quelli già entrati nel castello, troppo intenti a smantellare le porte, non avevano notato l’aereo; ma intuirono l’improvvisa mancanza di appoggio dal lato della piazza. Rinunciarono all’impresa e furono buttati dai ruff fuori del cancello. L’aereo si tuffò nuovamente e tutti si misero disperatamente a correre in cerca di riparo verso i vicoli stretti di Kurra. I ruff erano spaventati quanto i cittadini. Corsero come dannati verso il castello. Con rapidità sbalorditiva la piazza si svuotò interamente, tranne per alcune persone cadute durante la corsa. Rimasero a terra, immobili, e nessuno tornò indietro a soccorrerle.

L’aereo continuò a descrivere larghi cerchi e a scendere in picchiata. Per molto tempo, dopo che si fu svuotata la piazza, esso incrociò sulla città scendendo a bassa quota per inseguire i Kurriani in fuga sino alla soglia delle loro case. Infine risalì come una freccia, scosse le ali e scomparve.

Leblanc arrivò a casa senza fiato, con l’abito strappato e, sul viso, una brutta contusione che lo sfigurava. «Wheeler!» ansò. «È al castello; oppure ha qualcuno lì.» Tacque per riprendere fiato. «Wheeler…»

«I trombettieri si sono salvati?» chiese Forzon.

«Credo di sì. Wheeler…»

«È questo l’interesse che l’ERI mostra per la gente?» gli buttò in faccia Forzon. «Pedine che si muovono e poi si scartano quando il gioco è finito! Potreste avere ancora bisogno di quei trombettieri.»

Leblanc disse umilmente: «Certo che ce ne interessiamo. Ho mandato qualcuno a vedere se stavano bene. Ma Wheeler…» La sua voce si spezzò.

Erano arrivati gli altri: Joe, Hance Ultman, Sev Rawner. Tutti erano contusi e feriti, ma non avevano avuto il tempo di accorgersene. Avevano l’espressione stravolta di chi ha visto la fine del mondo.

Il mondo dell’ERI. Dopo quattro secoli di astuta clandestinità, un ufficiale traditore aveva improvvisamente e irrevocabilmente svelato la presenza dell’ERI, in pieno giorno, sulla capitale del Kurr, davanti agli occhi attoniti dell’intera popolazione.

«Mi spiace» disse Forzon. «Ho parlato senza pensare. I trombettieri non vi possono più aiutare. Al Kurr non serve più aiuto. Nessuna rivoluzione potrà mai riuscire fintanto che il re ha l’appoggio di Wheeler e dei suoi aerei.»

CAPITOLO XVI

La notte discese su una città morta.

Hance Ultman, inviata in rapida ricognizione, non incontrò anima viva nei vicoli e non vide nemmeno una taverna con la torcia accesa. Le guardie avevano disertato le porte cittadine. Le case erano senza luce. Tranne il castello reale, dove i piani superiori erano illuminati a giorno. Tutti i cittadini di Kurra si rannicchiavano tremanti nell’oscurità.