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Alcuni membri della Squadra B si riunirono nel sottoscantinato e si misero metodicamente a stilare rapporti; di tanto in tanto facevano un raffronto fra le loro osservazioni. Ma neanche questo sfoggio di ferrea disciplina poteva nascondere il fatto che tutti erano, chi più chi meno, scossi.

«Come stanno i trombettieri?» chiese Forzon.

«Stanno bene» disse Leblanc. «Qualche contusione, qualche strumento ammaccato, ma nulla di grave. Avete qualche messaggio da far pervenire?»

«Dite a Tor che continui a suonare.»

«Re Rovva non è uno stupido, mi pare di avervelo accennato. Non è tipo da ripetere due volte lo stesso sbaglio. Lascerà suonare le trombe.»

«Temo che abbiate ragione» disse Forzon.

«Non ho mai sentito dire che una rivoluzione si estingua così presto. D’altra parte… non ho mai sentito che un ufficiale dell’ERI tradisse. Se avete qualche asso nella manica è meglio lo tiriate fuori adesso, prima di trovarci di fronte una totale sconfitta.»

Forzon, con gli occhi di tutti fissi su di lui con espressione di attesa, poté solo alzare le spalle e disse ancora una volta:

«Dite a Tor di continuare a suonare.»

I venditori provenienti dalle campagne, che non erano stati a Kurra il giorno prima, varcarono all’alba le porte incustodite e si installarono sulla piazza del mercato. Non videro un solo cliente. Ma quando il sole fu più alto e il brutto Uccello del Male, con la sua ombra minacciosa, non tornò a volare sulla città, la gente gradatamente riprese coraggio e uscì di casa. Non si videro crocchi di passanti agli incroci, ma la gente si riunì nelle strade coperte e nelle botteghe per parlare di quel fenomeno. I venditori cercarono riparo con le loro merci sotto i muri sporgenti degli edifici, e i cittadini acquistarono in fretta ciò di cui avevano bisogno con un minimo di discussione sui prezzi.

A mezzogiorno, dei gruppi di trombettieri si recarono sulle piazze dei mercati. Mentre lanciavano le loro note di sfida, sorvegliavano furtivamente che l’Uccello del Male non apparisse in cielo, e che non apparissero i ruff dalle strade adiacenti. Non suonarono bene e non attirarono le folle alle quali erano abituati.

Leblanc disse a Forzon per l’ennesima volta:

«Se avete qualche asso nella manica…»

«Riattivate i collegamenti» disse Forzon.

«Non oseremo usarli. Non si sa mai, Wheeler potrebbe essere in ascolto.»

«L’arrivo tempestivo di quell’aereo non può essere stato una semplice coincidenza, Wheeler deve usare lui stesso qualche mezzo di comunicazione. Perché non lo ascoltiamo noi?»

Leblanc si batté la mano sulla fronte e uscì brontolando qualcosa.

Forzon trovò Joe Sornel intento a sorbirsi placidamente un bicchiere di vino, pur sorvegliando i trombettieri che suonavano nella piazza vuota del mercato, cosa che rivelò a Forzon un’altra qualità da aggiungere all’elenco dei requisiti essenziali dell’agente dell’ERI: la facoltà di rilassarsi.

«Mi scordavo quasi del coordinatore Rastadt. Come sta?»

«Delira sempre. L’abbiamo dovuto trasportare in una stanza isolata acusticamente. Si sveglia urlando qualcosa a proposito di una scatola nera.»

«Ne ha ben donde. Non credo sappia niente di utile; ma vorrei parlargli appena si sveglia.»

«Lo dirò ad Ann» promise Joe. «È lei che lo veglia. Nient’altro?»

«Ditele…» Forzon si fermò. «Non importa.»

Joe sorrise con indulgenza. «Le donne! Sapete, è stata proprio una bella rivolta. Non credevo di riuscire a vederne una a Kurra. Ne abbiamo parlato tutti e non comprendiamo ancora come avete fatto a farla scoppiare,»

«Cercate un po’ di scoprire come si fa a farla scoppiare un’altra volta.»

Joe scosse la testa con buon umore. «Comunque, è stato divertente. Vado a parlare con Ann.»

Nel lasciare la stanza si scontrò quasi con Leblanc, che lo aggirò, si sedette con esagerata ponderazione e disse:

«Preparatevi a una sorpresa.»

«Non faccio altro, dacché sono sceso qui.»

«Wheeler vuole parlare con voi.»

«Davvero? Alla radio?»

«In persona. Ha lanciato un messaggio su tutte le linee disponibili dicendo che desiderava che lo chiamaste sul primo canale. Allora ho chiamato l’addetto al primo canale e Wheeler è arrivato in linea in meno d’un minuto. Vuole avere con voi un dialogo personale.»

«Disinvolto, eh? O dovrei dire audace?»

«L’ho tenuto in linea abbastanza a lungo per fare un paio di rilevamenti. Si trova al castello, e questo non è certo una sorpresa. Gli ho detto che non era facile trovarvi lì per lì, ma che vi avrei fatto pervenire il messaggio appena foste tornato. Attende la vostra risposta. Insiste che ci vuole entro questa sera. Se questo non suona come un ultimatum, egli probabilmente lo considera tale.»

«E dove mi vuole incontrare?»

«È stato educatamente vago su questo punto; ha detto però che garantisce la vostra incolumità nel luogo d’incontro compresa l’andata e ritorno.»

«La sua parola d’onore?» chiese Forzon con un sorriso ironico.

Leblanc annuì sorridendo. «Speravo che l’avreste presa così. Ora gli potrò dire tutto ciò che penso di lui.»

«Un momento. Mi interessa sapere che cosa vuole, ma non al punto di andare a ficcare le mani in una scatola nera. Non potremmo essere noi a garantire la sua sicurezza?»

«Sì…»

«Allora mettiamola così. Sarà lui a doversi fidare della nostra parola, perché nessuna moneta della zecca di Re Rovva è di conio sufficientemente piccolo per valutare la sua. Gli dica così.»

Leblanc andò, un po’ accigliato e scettico, a trasmettere il messaggio, e tornò con un largo sorriso. «Ci tiene davvero a vedervi!»

«Avete preso gli accordi?»

«Sì, per questa sera. E gli ho anche detto che se avvistiamo un solo ruff l’immunità è annullata.»

«Questo non è giusto» osservò Forzon. «Non può rispondere di tutti i ruff del re.»

«Ah, no? Eppure ha accettato senza batter ciglio. Vuol dire che Re Rovva approva questa mossa, o che Wheeler ha più influenza su di lui di quanto ritenevo possibile. Ora, vi prego di scusarmi… Se questa è una trappola voglio essere sicuro che si chiuda dalla parte giusta.»

Forzon che guardava da una finestra-feritoia vide Wheeler attraversare con fare disinvolto la piazza del castello ed entrare in un vicolo secondario. Il vice-coordinatore aveva tuttora l’aspetto del pagliaccio. Pareva così grottesco, mal travestito nel costume kurriano, che se Forzon non l’avesse conosciuto prima avrebbe pensato lo facesse apposta per far ridere la gente. Hance Ultman uscì da un portone e gli si mise a fianco, accordando il passo al suo, poi tutti e due voltarono l’angolo e sparirono.

Leblanc studiava i passanti con il binocolo. «Mi sembra tutto tranquillo» annunciò «ma eseguiremo il nostro programma come stabilito. Appena sarà notte gli metteremo una benda sugli occhi e lo condurremo a fare il giro di Kurra, con in più un paio di gallerie. Poi lo riporteremo qui. È probabilmente una precauzione inutile; ma la camminata lo renderà forse meno arrogante.»

Era quasi mezzanotte quando Wheeler finalmente arrivò, scortato da Ultman e Joe Sornel. Forzon li sospettò di essersi divertiti a fargli fare un giro molto più lungo di quanto Leblanc avesse stabilito. Wheeler che sudava abbondantemente si tolse la benda e chiese:

«Era proprio necessario?»

«Kurra è un luogo molto pericoloso in questo momento» disse Joe cordialmente. «La prudenza non è mai troppa.»

Wheeler salutò freddamente Leblanc con un cenno del capo, poi esclamò: «Ah! Forzon!» Avanzò con la mano tesa; Forzon lo ignorò.

«Volevate parlare con me» disse Forzon. «Parlate.»

«Da solo» disse Wheeler.