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Su un punto Forzon aveva ottenuto qualche informazione utile.

L’Ente Relazioni Interplanetarie aveva sempre operato più come un ordine segreto che come un dipartimento governativo. Poche persone estranee all’Ente sapevano quale fosse la sua funzione. Ma chiunque viaggiasse e lavorasse lungo le frontiere spaziali si rendeva subito conto che l’Ente vi esercitava un potere assoluto. Si diceva che perfino un ammiraglio della flotta spaziale chiedesse il permesso all’ERI se doveva manovrare oltre il confine.

Forzon ne capiva ora il perché. Il compito dell’Ente era quello di guidare i mondi verso la loro associazione alla Federazione, senza farglielo sentire. La cosa sarebbe stata impossibile se, su di essi, fossero piovuti in continuazione, dallo spazio, i commercianti, gli esploratori, gli scienziati, i vari rilevatori governativi, le astronavi in pericolo… senza parlare dei turisti smarriti. Perciò l’ERI montava la guardia alla frontiera.

Sul pianeta Gurnil c’era un continente, il Kurr, tuttora governato da un monarca. Ciò ritardava, da molto tempo, l’ammissione di mondi adiacenti perfettamente idonei. L’Ente era in un pasticcio. La situazione, chiaramente, esigeva delle misure drastiche; ma qualcuno, al Comando Supremo dell’Ente, in un momento di panico, doveva avere premuto un pulsante di emergenza.

Un intendente culturale di settore, al comando della squadra operativa del Kurr? Era esattamente come affidare a un ufficiale ERI un progetto di rilievo culturale. Forzon, da quel che aveva potuto già vedere, in merito al modo in cui l’Ente trattava le cose dell’arte, sapeva che cosa ne sarebbe venuto fuori.

Poiché non aveva la minima idea di quel che ci si aspettava da lui, era deciso a dare all’Ente l’unica cosa di cui sì intendeva veramente: un rilievo culturale. Preparò un campione dei moduli di rilievo e lo portò alla segretaria di Rastadt pregandola di tirare un migliaio di copie di ciascuno per cominciare. Il giorno dopo il campione era sempre lì, sull’angolo della scrivania. Forzon vide Wheeler, gli parlò fuor dei denti, e Wheeler, col pianto in gola, gli promise di tirare le copie lui stesso.

Forzon tornò a dedicarsi al corso di lingua, studiando con zelo, non aveva null’altro da fare; ma i suoi pensieri andavano verso la ragazza dal torru, appartenente alla Squadra B, che, secondo Wheeler, non c’era. Chissà se l’avrebbe rivista?

Venne di notte.

Una mano fredda e un sussurro svegliarono Forzon, strappandolo da un sonno agitato. Si sedette d’un balzo sul letto e cercò a tastoni l’interruttore.

«Non accendete!» gli mormorò.

Udì il fruscio della sua vestaglia e il suo respiro rapido, colse l’odore leggero di un profumo sconosciuto, ma non riuscì a vederla.

«Parto in volo domani» gli disse.

«Di giorno? Credevo che gli indigeni dovessero ignorare la presenza dell’ERI.»

«In Kurr sarà notte.»

«Naturalmente. Sapete che sono il nuovo comandante della Squadra B? Forse potrei venire con voi.»

«No!» ribatté fulmineamente. Poi aggiunse con tono di ovvia incredulità: «Il nuovo… comandante della Squadra B

«Così dicono gli ordini.»

«Molto interessante.»

Forzon cercò di evocare l’immagine della ragazza nel buio fitto della stanza. Ricordava perfettamente il suo viso, la dolce curva della guancia, la delicata perfezione del nasino voltato in su, quando l’aveva visto di profilo, china sul torru, con la fronte un po’ aggrottata per l’attenzione concentrata delle dita agili.

«Non venite con me» disse lei «sarà meglio che nessuno sappia che ci conosciamo.»

«Ci conosciamo? Non so neanche il vostro nome.»

«Ann Cory. Ufficialmente, Gurnil B-627.»

«Va bene, Gurnil B-627. Che cosa fate, nella Squadra B?»

«Fra le altre cose, sono una maestrina di musica a Kurra, capitale di Kurr. Do lezioni alle ragazze più o meno dotate della buona società.»

«Di quante persone si compone la Squadra B?»

«Circa duecento.»

«Due… cento? Non sapevo vi fossero tanti agenti in Kurr. Tutti travestiti da indigeni, suppongo?»

«I membri di una squadra dell’Ente non si travestono» disse freddamente. «Noi siamo degli indigeni quando siamo nel Kurr.»

«Capisco. Duecento… Be’ sparsi per tutto il territorio forse non è neanche tanto.»

«Il coordinatore non vi ha fornito le informazioni?»

«Wheeler mi ha portato un manuale, che gli ho restituito subito. E mi ha detto qualcosa della situazione. Ne deduco che il popolo di Kurr è perfettamente soddisfatto della sua sorte, altrimenti non si spiega perché l’ERI abbia faticato invano per quattrocento anni. So anche che Re Rovva rifiuta ostinatamente di prendere iniziative che scontentino il popolo. Io vedo le cose sotto il profilo culturale, e questo vi parrà forse un tradimento; ma mi sembra che quando un popolo è felice e contento (e i Kurriani lo sono, si vede dalla loro arte) l’ERI non abbia da intrufolarsi per obbligarli a cambiare governo.»

«Una delle cose che dovrete vedere in Kurr» disse lei dolcemente «sono le moncopoli, abitate unicamente da persone che hanno irritato il re e alle quali è stato mozzato il braccio sinistro sino al gomito. È un piacevole passatempo, al quale il re si dedica quando vuol divertire se stesso e la corte. Basta che qualcuno starnuti quando il re ha ordinato il silenzio, o lasci cadere un vassoio servendo in tavola… Non guarda in faccia a nessuno, neppure ai suoi ministri. Vi sono dei re buoni e dei re cattivi, e noi dell’Ente ci troviamo talvolta a far di tutto per rovesciare un monarca benevolo che personalmente stimiamo, È il sistema che è sbagliato. Un monarca ideale può avere per successore un mostro.»

«D’accordo. Il sistema è sbagliato e dev’essere mutato. Ma ad opera del popolo stesso. La democrazia dall’esterno…»

Si interruppe. La gonna della ragazza frusciava leggermente quando muoveva i piedi, ma lei rimaneva invisibile. «Sto studiando la lingua» disse Forzon. «Ancora un giorno e la saprò benino. Fra due giorni la parlerò correntemente. È una lingua facile. È più facile imparare la lingua che imparare a camminare con gli abiti sacerdotali che i vostri colleghi mi hanno affibbiato. Inciampo continuamente. Anche quell’orrendo naso falso, non mi va proprio. Però se i Kurriani sono afflitti da un’appendice nasale così monumentale, temo che senza di quella mi si noterebbe troppo.»

Forzon non avrebbe voluto dirglielo, ma ciò che più temeva nel presente incarico, era di incontrare Ann Cory con quel naso kurriano che sfigurava il viso.

«Quali abiti sacerdotali?» gli chiese Ann.

Forzon sospirò. «Laggiù sarò una specie di santone errante. Rastadt mi ha detto che ce ne sono molti nello stato del Kurr, e questo travestimento mi darà una tranquillità assoluta perché nessun indigeno oserà guardarmi in faccia due volte e ancor meno rivolgermi la parola. Immagino sappiate tutto di queste cose.»

«Tutto no, veramente. A Kurra non se ne vedono molti.»

«Esatto. Evitano le città che considerano cloache di miscredenti. Prima di potermi recare a Kurra mi occcorrerà una seconda identità. Anche voi avete una seconda identità?»

«Naturalmente. Ogni agente della Squadra B ha varie identità.»

«È consolante, perlomeno mi potrò disfare di quegli ingombranti paludamenti. Mi toccherà purtroppo portare quel naso durante tutto il tempo in cui sarò nel Kurr.»

«Vorrei sentire come ve la sbrigate a parlare» gli disse.

Forzon le lanciò un saluto in kurriano: «Salve cittadina!» Poi si dilungò sul tempo, sul prossimo raccolto e sul previsto arrivo dell’esattore delle imposte. Lei lo lasciò finire e non aggiunse alcun commento.

«Che cosa c’è» le chiese «il mio accento non va?»

«No, l’accento va benissimo, anzi è notevole, considerato il poco tempo che avete avuto a disposizione. Vi consiglio di attendere tre giorni prima di farvi portare in Kurr.»