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Rastadt scattò in piedi e rimase fermo come se si concentrasse per far scoppiare tutta la sua rabbia in faccia a Forzon. Poi si accasciò. «Lo… chiederò io» mormorò.

«Grazie» disse Forzon.

Rispose ai loro saluti militari, e uscì.

Wheeler lo raggiunse, affannato, nel corridoio, davanti alla sua camera. «Tutto a posto» ansimò. «Ti faccio approntare il trasporto quando lo desideri.»

«Dopodomani?»

«Se vuoi.»

«Come mai quest’improvviso mutamento?»

Asciugandosi la fronte, Wheeler gli disse con aria irrequieta: «Andiamo dove si possa parlare.»

Forzon lo precedette in camera, lo fece accomondare e notò: «Hai bisogno di un bicchiere di qualcosa. Mi dispiace di non avere da offrirtelo.»

Wheeler si asciugò di nuovo la fronte. «In questa base è proibito. Ordini del coordinatore.» Guardò Forzon con aria contrita ed entrambi scoppiarono a ridere.

«Desidero chiederti un favore» disse a un tratto Wheeler. «Le squadre operative dell’ERI sono autonome; ma il comandante agisce sotto la supervisione del coordinatore del pianeta. Ciò solleva un problema piuttosto arduo. Tu sei l’ufficiale più elevato in grado di questo pianeta. D’altra parte, le tabelle organiche ti pongono in sottordine del coordinatore in quanto comandante di una squadra operativa. È una situazione un po’ speciale e le tue istruzioni, come avrai notato, non sono chiare in proposito.»

«Che cosa suggerisci?»

«Che tu non ne faccia una questione. Rispetta la trafila gerarchica abituale e sottoponi i tuoi piani all’approvazione del coordinatore, come farebbe qualsiasi altro comandante di squadra. Il coordinatore li approverà senz’altro, ne sono sicuro. Non c’è niente di male a lasciargli l’illusione. È un bravo vecchio, in realtà, con una bella carriera alle spalle; ma ha avuto la sfortuna di essere destinato a questo posto spinosissimo.»

«Mi dà l’impressione di essere tremendamente irascibile.»

«Naturalmente, si sente frustrato. Il Kurr è un osso duro sul quale si sono rotti i denti vari coordinatori, e lui non vuole chiudere la sua carriera con uno scacco sul suo stato di servizio.»

Forzon disse educatamente: «Visto che non so nulla dei regolamenti dell’ERI non mi sembra irragionevole che qualcuno con maggiore esperienza di me esamini attentamente i miei piani.»

«Splendido!» Come per magia, era rispuntato il clown Wheeler. «Ma insisto sul fatto di andarmene dalla base» continuò Forzon. «Non lavorerei bene, qui. Fra l’altro, c’è una specie di complotto per tenermi lontano dal salone da pranzo e il personale della base rifiuta di parlarmi.»

Wheeler fece un gesto di indifferenza. «Probabilmente gli fai paura. Sei l’ufficiale di grado più elevato che molti di loro abbiano mai visto. Allora d’accordo. Dopodomani. Non puoi portarti via nulla, sai.»

«Proprio nulla?»

«Nulla» disse Wheeler con fermezza. «Non puoi avere addosso nulla che un sacerdote kurriano non avrebbe, ed è ben poco. Usiamo aerei speciali per le comunicazioni col Kurr. Non molto rapidi, ma praticamente silenziosi. Dobbiamo sbarcare i nostri agenti su tratti di costa scarsamente abitati, dove vi sia poca probabilità di far nascere qualche superstizione locale. Portarli a terra e scappare… vi sono dei pescatori notturni che lavorano nelle acque costiere molto vicino a terra e sarebbe seccante che qualcuno si imbattesse nell’aereo. Il coordinatore sta ora avvisando la Squadra B affinché qualcuno ti venga incontro. Un’altra cosa. Il coordinatore non è d’accordo che tu vada; ma poiché vuoi andare, vuole venire con te.»

«Non c’è niente di male.»

«Forse no.»

«Perché il coordinatore non dovrebbe andare in Kurr?» insisté Forzon.

«Nessun motivo in particolare. Mi sentirei più tranquillo se tu avessi con te un agente esperto. Speravo venire io. Ho appartenuto alla Squadra B e conosco il Kurr. Non che importi, in realtà. Verrai sbarcato vicino a un distaccamento campale della Squadra B e sarai accolto. Tuttavia il coordinatore insiste che tocca a lui.»

«Non è così?» disse Forzon educatamente.

«Forse sì. Ma, capisci… non è mai stato in Kurr.»

CAPITOLO IV

Giunti sulla costa a bassa quota, girarono in tondo una volta. La brezza di mare della sera era svanita; a tratti le rade nuvole disseminate nel cielo oscuravano la piccolissima luna di Gurnil e dapprima la terra sottostante apparve spaventosamente scura e ostile. Circuitarono una seconda volta e, mentre tornavano sul mare, Forzon, guardando indietro, scorse una luce isolata e più in là, in una valle, il chiarore un po’ incerto di un villaggio avvolto nella nebbia.

Rastadt parlava a voce bassa col pilota. «Sembra a posto» annunciò. «Scendi.»

Calarono in verticale con un boato, e si fermarono. Forzon saltò fuori, per ritrovarsi su una stretta spiaggia sabbiosa. Le onde si frangevano ritmicamente, risalendo la spiaggia fino a lambire i suoi sandali.

Rastadt scese pesantemente accanto a lui, impacciato dalla lunga veste che gli svolazzava addosso, ed emettendo dal lungo naso finto strani suoni sibilanti. «Non c’è molta marea» disse. «Appena quanto occorre per cancellare le tracce sospette.» Si allontanò dall’aereo e mandò cautamente una voce. «Qualcuno dovrebbe essere qui ad attenderci» borbottò.

S’incamminò lungo la riva, girò, tornò indietro. La sua veste, un lungo camicione bianco, raccogliendo la debole luce lunare, lo faceva somigliare a un fantasma ballonzolante. «Siamo in anticipo» disse «ma avrebbero dovuto essere qui. Accidenti! Sarebbe antipatico se capitasse un pescatore.»

Parlò brevemente al pilota e gli voltò le spalle con un gesto di impazienza. «Andiamo» disse a Forzon.

Un basso strapiombo dominava la spiaggia. Rastadt, brontolando che da qualche parte ci doveva essere un sentiero, vagò un poco a tentoni nel buio pesto e infine attaccò un’incerta salita. Forzon raccolse intorno a sé la veste e lo seguì. Arrivato in cima, Rastadt si fermò per riprendere fiato e attese che Forzon lo raggiungesse. Gli sbarrava la vista la profonda oscurità di una densa foresta: oltre questa, su una collina distante, la luce isolata, scorta da Forzon, brillava sempre vivacemente.

«Una fattoria» annunciò Rastadt. «Base campale della Squadra B. Avrebbero dovuto essere qui a riceverci.»

Forzon osservò quel lume, calcolando. Le distanze, nel buio, sono ingannevoli; stimò la distanza a due miglia, tre al massimo, augurandosi che non fossero più di quattro. Dietro di sé poteva scorgere vagamente la spiaggia vuota. L’aeroplano era sparito silenziosamente.

«Ma voi non tornate indietro?» esclamò Forzon.

«Dovevo; ma non posso lasciare un dannato novellino come voi, a vagare da solo in un paese sconosciuto. Dovevano accoglierci, maledizione!» Era ancora ansante. «L’aereo tornerà a prendermi domani sera. Non dovrebbe essere difficile trovare il luogo. È la sola casa fra qui e il villaggio. E laggiù c’è una luce. Andiamo.»

Forzon fece un passo avanti, s’impigliò nella veste e inciampò. «State attento, perbacco!» sbottò Rastadt.

«Scusate» disse Forzon.

«Dovete solo dare al vostro viso un’espressione astratta e nessuno oserà discutere la vostra presenza. Ma se cominciate a inciampare nella vostra veste come se non l’aveste mai indossata prima…»

«Ci riuscirò» disse Forzon.

«Andiamo. Li incontreremo probabilmente per strada.»

Si voltò, inciampò anch’egli nella sua veste e procedettero in silenzio.

Cercarono la loro strada alla cieca fra gli alberi e finalmente arrivarono in un piccolo spazio aperto segnato dai solchi dei carri. La luce distante era nascosta dallo spessore del fogliame e Forzon non vedeva proprio nulla.