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Certo, i suoi anni da fiaccola le avevano insegnato molto riguardo alla natura umana, al genere di pensieri che si celano dietro certe parole, espressioni, gesti o toni di voce, tanto che non le era difficile immaginare ciò che gli altri pensavano veramente. Ma le persone di buon cuore non se la prendevano quando Peggy sembrava indovinare i loro pensieri. Era una conoscenza che lei non doveva nascondere. Quelli che non poteva conoscere erano i loro segreti più riposti… e quelli adesso le restavano invisibili, a meno che lei stessa non decidesse di vedere.

Ma ora Peggy non decideva più di vedere. In quel suo nuovo distacco, infatti, scopriva una libertà che in vita sua non aveva mai avuto occasione di assaporare. Adesso poteva prendere gli altri alla lettera. Poteva rallegrarsi in loro compagnia, senza sapere e di conseguenza senza sentirsi responsabile per i loro appetiti nascosti o, cosa ancor più terribile, per i loro pericolosi futuri. Ciò conferiva al suo modo di ballare, di ridere, di conversare, una sorta di trascinante sfrenatezza; al ballo nessun altro si sentiva così libero come la giovane amica di Modesty, Margaret, perché nessun altro aveva mai conosciuto una prigionia soffocante come quella da lei sopportata fino a poco tempo prima.

La serata di Peggy al Ballo del Governatore fu dunque un successo. Non un trionfo, attenzione, perché non sconfisse nessuno… Ciascuno degli uomini che conquistarono la sua amicizia non fu sconfitto, bensì liberato, addirittura vittorioso. Ciò che ella provava era pura gioia, e coloro che si trovavano con lei non potevano che rallegrarsi. Emozioni così gradevoli non potevano essere contenute. Persino le signore e le signorine che malignavano di lei al riparo dei ventagli non poterono fare a meno di percepire l’atmosfera gioiosa della festa; molte di loro dissero alla moglie del governatore che era stato il più bel ballo che si fosse mai visto a Dekane, o forse in tutto lo Stato del Suskwahenny.

Alcune giunsero addirittura a rendersi conto di chi fosse stato a dare alla serata quell’atmosfera gioiosa. Tra queste c’erano Modesty e la moglie del governatore. A un certo punto, Peggy le vide conversare, mentre lei piroettava con grazia sulla pista tornando dal suo cavaliere con un sorriso che indusse l’uomo a ridere di gioia per la fortuna di ballare con lei. La moglie del governatore sorrideva e annuiva, indicando col ventaglio la pista da ballo, e per un istante il suo sguardo incontrò quello di Peggy. Peggy sorrise con calore; la moglie del governatore ricambiò il sorriso con un cenno del capo. Quel gesto non passò inosservato. Peggy sarebbe stata la benvenuta a qualsiasi festa cui volesse partecipare nella città di Dekane… due o tre per sera, se avesse voluto, ogni sera dell’anno.

Eppure Peggy non si gloriò di quel successo, perché sapeva quanto in realtà fosse insignificante. Si era conquistata un posto nella vita mondana di Dekane… Però Dekane era soltanto la capitale di uno Stato di frontiera. Se veramente ambiva alle vittorie mondane, avrebbe dovuto farsi strada fino a Camelot, per conquistarsi l’approvazione dei reali, e di lì in Europa, per farsi ricevere a Vienna, Parigi, Varsavia o Madrid. E comunque anche allora, anche se fosse riuscita a ballare con ogni testa coronata d’Europa, questo non avrebbe significato nulla. Un giorno sarebbe morta, e anche loro, e che cosa ne avrebbe guadagnato il mondo da tutti quei balli?

La vera grandezza Peggy l’aveva vista nella fiamma vitale di un neonato, quattordici anni prima. Aveva protetto il bambino perché amava il suo futuro; aveva finito con l’amare il ragazzo per quello che era. Sopra ogni cosa, tuttavia — e questo era ancor più importante dei suoi sentimenti verso Alvin — sopra ogni cosa Peggy amava l’opera che lo attendeva. I sovrani edificavano regni o li perdevano; i mercanti accumulavano fortune o le dilapidavano; gli artisti creavano opere che il tempo faceva sbiadire o dimenticare. Solo Alvin l’Apprendista aveva in sé il seme della Creazione che avrebbe potuto resistere al tempo, all’ininterrotta azione del Distruttore. Perciò, quella sera, Peggy ballava per lui, sapendo che se avesse saputo conquistarsi l’amore di quegli estranei avrebbe potuto conquistarsi anche l’amore di Alvin, e guadagnarsi un posto accanto a lui sulla via verso la Città di Cristallo, il luogo in cui tutti gli abitanti vedono come fiaccole, edificano come Creatori, e amano con la purezza di Cristo.

Al pensiero di Alvin, Peggy rivolse la propria attenzione verso la sua lontana fiamma vitale. Sebbene si fosse addestrata a non guardare nella fiamma vitale di chi stava vicino a lei, non aveva mai rinunciato a guardare in quella di Alvin. Forse questo le rendeva più difficile controllare il proprio dono… Ma che senso avrebbe avuto qualsiasi progresso se avesse reciso il suo legame con quel ragazzo? Perciò non aveva neanche bisogno di cercarlo; sapeva sempre, in un angolo riposto della sua mente, dove ardesse la sua fiamma vitale. In quegli anni aveva imparato a non vederselo continuamente davanti, ma trovarlo era pur sempre questione di un istante. E così fece in quell’occasione.

Alvin stava scavando una buca sul retro della fucina. Tuttavia Peggy non fece caso al suo lavoro, perché non ci faceva caso neanche lui stesso. Quella che divampava più forte nella sua fiamma vitale era la rabbia. Qualcuno l’aveva trattato ingiustamente… Ma quella non era certo una novità, vero? Makepeace, uno dei padroni più giusti che si potessero desiderare, era diventato sempre più invidioso del talento di Alvin nel lavorare il ferro, e a causa di quella gelosia aveva cominciato a trattarlo ingiustamente, negando i talenti del suo apprendista con tanta maggiore veemenza quanto più se ne vedeva superato. Alvin conviveva quotidianamente con l’ingiustizia, eppure Peggy non aveva mai avvertito in lui una rabbia così divorante.

«Qualcosa non va, signorina Margaret?» L’uomo che stava ballando con lei sembrava preoccupato. Margaret si era fermata all’improvviso nel bel mezzo della pista. La musica continuava a suonare, e ogni coppia a ballare, ma vicino a lei qualcuno s’era fermato a guardarla.

«Non posso… continuare» mormorò Peggy. Lei stessa fu sorpresa nello scoprire di essere senza fiato dalla paura. Ma di cosa?

«Volete uscire dalla sala?» le chiese il suo cavaliere. Come si chiamava? Nella mente di Peggy c’era un solo nome: quello di Alvin.

«Vi prego» disse. Si appoggiò a lui e insieme uscirono da una delle porte spalancate che davano sulla veranda. La folla si divise; Peggy non se ne accorse.

Era come se la rabbia accumulata da Alvin negli anni di apprendistato sotto Makepeace Smith adesso avesse trovato modo di sfogarsi tutta insieme… e ogni colpo di vanga fosse un fendente di vendetta. Un rabdomante, un cercatore d’acqua ambulante… era stato questi a farlo arrabbiare, ed era a questi che Alvin voleva fare del male. Ma il rabdomante era l’ultima delle preoccupazioni di Peggy; né la turbava il modo in cui egli aveva provocato Alvin, per quanto subdolo fosse. No, si trattava di Alvin. Non capiva che scavare con odio era un atto di distruzione? E che quando si lavora per distruggere, si attira il Distruttore? Quando fatichi per disfare, il Distruttore può impadronirsi di te.

All’aperto l’aria era più fresca mentre le ombre della sera si infittivano, e l’ultimo scampolo di sole gettava una luce rossastra sui prati della villa del governatore. «Signorina Margaret, se vi siete sentita svenire spero non sia stato per mia colpa.»