In men che non si dica la pietra era così bianca e lucente che si sarebbe detta una pozza d’acqua che rifletteva gli ultimi raggi di sole. Tra gli alberi cantavano gli uccelli della sera. Alvin sudava così copiosamente che le gocce di sudore cadevano sulla roccia lasciando piccole chiazze nere.
Arthur era in piedi sul bordo della buca. «Acqua» disse.
«Sta’ indietro, Arthur Stuart. Anche se la buca non è molto profonda, tu devi sempre girare alla larga. Se ci caschi dentro puoi anche ammazzarti.»
Un uccello passò a volo radente, agitando rumorosamente le ali. In un punto imprecisato della foresta, un altro uccello lanciò un grido disperato.
«Neve» fece Arthur Stuart.
«Non è neve, è pietra» lo corresse Alvin. Issatosi fuori dalla buca si tirò in piedi, ridendo fra sé. «Ecco il tuo pozzo, Hank Dowser» disse. «Perché non torni a vedere dov’è che la tua bacchetta s’era conficcata nel terreno?»
Hank Dowser si sarebbe pentito di aver fatto punire Alvin dal suo padrone. Lo sganassone di un fabbro non era uno scherzo, specialmente trattandosi di Makepeace che non aveva la mano leggera neanche con i ragazzini, figuriamoci con un apprendista grande e grosso come Alvin.
Adesso avrebbe potuto tornare a casa e dire a Makepeace Smith che il pozzo era finito. Poi avrebbe condotto il suo padrone sul posto e gli avrebbe mostrato la buca, con la pietra che lo guardava dal fondo, solida come il cuore del mondo. Già si sentiva dire al suo padrone: «Spiegatemi come posso berla, e io la berrò». Udire le imprecazioni di Makepeace sarebbe stato un autentico godimento.
Adesso avrebbe potuto far vedere a quei due quanto fossero stati ingiusti a trattarlo così… Però, in quel momento, Alvin comprese che impartir loro una lezione non sarebbe servito a niente. La cosa importante era che Makepeace Smith aveva veramente bisogno di quel pozzo. Ne aveva un bisogno tale da essere disposto a ricompensare il rabdomante lavorando gratis per lui. Era del tutto indifferente che il pozzo venisse scavato nel punto indicato da Hank Dowser oppure altrove… Alvin capì che doveva essere lui a scavarlo.
A ripensarci, questa soluzione solleticava ancor di più il suo amor proprio. Sarebbe arrivato a casa con un secchio d’acqua, proprio come gli era stato ordinato da Makepeace… ma quell’acqua sarebbe stata attinta dal suo pozzo.
Si guardò intorno nella luce rossastra del tramonto, chiedendosi dove iniziare le ricerche. Udì Arthur Stuart che si faceva strada in mezzo all’erba del campo; il coro degli uccelli era diventato così assordante da far pensare che si esercitassero in un canto di chiesa.
O forse erano soltanto spaventati. Perché, mentre si guardava intorno, Alvin comprese che il Distruttore era in piena attività. A rigore, scavare quella prima buca avrebbe dovuto farlo scappare a gambe levate, tenendolo alla larga per giorni. Invece il Distruttore seguiva Alvin passo passo mentre questi cercava il punto in cui scavare il pozzo vero, mantenendosi appena fuori dal suo campo visivo. Quell’inseguimento assomigliava sempre più a uno di quegli incubi in cui Alvin non riusciva a scacciare il Distruttore, qualsiasi cosa facesse. Tanto bastò a suscitare in lui un fremito di paura, a farlo rabbrividire in quella calda serata estiva.
Alvin scacciò la paura con un’alzata di spalle. Sapeva che il Distruttore non l’avrebbe toccato. In tutti quegli anni aveva cercato più volte di ucciderlo provocando qualche incidente, per esempio facendo gelare l’acqua dove lui stava per mettere il piede, o rendendo friabile il terreno della riva di un fiume perché lui cadesse nell’acqua e venisse inghiottito dai gorghi. Ogni tanto aveva perfino fatto sì che qualcuno provasse a ucciderlo, come il reverendo Thrower o quei Rossi della tribù dei Choc-Taw. Tuttavia, da quando Alvin era nato, il Distruttore non era mai intervenuto direttamente su di lui tranne che in sogno.
E non lo farà neanche adesso, si disse Alvin. Devo continuare la mia ricerca, in modo da poter scavare il vero pozzo. Quello falso non è bastato a scacciare il vecchio imbroglione, ma quello vero non potrà fallire, e poi per almeno tre mesi non sarà più lì a tremolare dove lo posso vedere solo con la coda dell’occhio.
Con questo pensiero, Alvin si accovacciò a terra indirizzando la sua mente alla ricerca di qualche frattura nello strato di roccia nascosto sotto la superficie del terreno.
Il modo in cui Alvin esplorava il sottosuolo non si poteva propriamente definire vedere. Era un po’ come se avesse avuto un’altra mano che sfrecciava tra terra e sassi alla velocità di una goccia d’acqua su una piastra rovente. Chi sapeva di queste cose la chiamava «pulce». Sebbene non avesse mai conosciuto uno scandagliatore, Alvin era convinto che una persona con quel dono non potesse comportarsi diversamente da lui, inviando la sua pulce in esplorazione sotto la superficie del suolo, tastando e saggiando tutto ciò che incontrava. E se scandagliare era veramente così, allora gli veniva da chiedersi se per caso non avessero ragione quelli che sostenevano che fosse l’anima dello scandagliatore a insinuarsi nel sottosuolo, e a questo proposito narravano storie agghiaccianti, nelle quali l’anima si perdeva e l’uomo era costretto ad aspettare la morte rimanendo immobile e muto. Ma Alvin non si lasciava spaventare da quei racconti. Se qualcuno aveva bisogno di una pietra, lui andava in cerca delle incrinature naturali così da staccarla dalla parete rocciosa senza vibrare un solo colpo di martello. Se qualcuno aveva bisogno d’acqua, avrebbe trovato il modo di scavare fino a farla affiorare.
Alla fine trovò un punto in cui lo strato di roccia era sottile e friabile. Lo strato di terreno era più alto, la vena d’acqua più profonda, ma ciò che contava era poter attraversare lo strato di roccia.
Il nuovo pozzo si sarebbe trovato a mezza strada tra la casa e la fucina, meno a portata di mano per Makepeace, ma più comodo per sua moglie Gertie, che avrebbe dovuto usare la stessa acqua. Alvin si mise al lavoro di buona lena, perché si stava facendo buio, ed era fermamente deciso a non smettere finché il lavoro non fosse terminato. Senza pensarci un istante, stabilì di usare i suoi poteri come aveva fatto nelle terre di suo padre. La vanga ora non urtava mai contro un sasso; era come se la terra si trasformasse in farina e saltasse fuori della buca da sola, senza che lui dovesse sollevarla. Se qualche adulto avesse potuto vederlo scavare a quella velocità, avrebbe pensato che Alvin fosse ubriaco o avesse un attacco di convulsioni. Ma a guardarlo non c’era nessuno, tranne Arthur Stuart. Senza contare che si stava facendo notte e Alvin non aveva lanterna, per cui nessuno avrebbe potuto far caso alla sua presenza; al buio poteva quindi usare il suo dono senza paura di essere scoperto.
Dalla casa si udì gridare, ma da così lontano Alvin non riuscì a capire che cosa stessero dicendo.
«Arrabbiata» disse Arthur Stuart. Guardava fisso la casa, immobile come un cane da punta.
«Riesci a sentire quello che dicono?» chiese Alvin. «La vecchia Peg Guester sostiene che hai due orecchie come quelle di un cane, sempre dritte ad ascoltare.»
Arthur Stuart chiuse gli occhi. «Non hai nessun diritto di far morire di fame quel ragazzo» scandì.
Ad Alvin quasi scappò da ridere. Arthur aveva imitato perfettamente la voce di Gertie Smith.
«È troppo grosso per suonargliele, e in qualche modo deve imparare la lezione» disse Arthur Stuart.
Stavolta aveva parlato nell’esatto tono di voce del padrone di Alvin. «Che mi prenda…» mormorò Alvin.
Il piccolo Arthur continuò. «Se Alvin non viene a mangiare questo piatto di minestra, Makepeace Smith, te lo ritroverai in testa come un cappello… Provati a farlo, vecchia strega, e ti spezzo tutte e due le braccia.»