Finalmente concluse il suo lavoro. La luna aveva oltrepassato lo zenit; il sapore che Alvin si sentiva in bocca gli ricordava quello di una vecchia coperta da cavallo, ma l’opera era compiuta. Si arrampicò fuori della buca, puntellandosi contro la parete di pietra che aveva appena finito di costruire. Via via che saliva, lasciò la presa sulla terra che abbracciava il pozzo, dissuggellandola, e l’acqua, ormai domata, cominciò a gocciolare rumorosamente nel profondo bacino di pietra che Alvin aveva costruito per contenerla.
Alvin tuttavia non si diresse verso la casa, né andò al ruscello a bere un sorso d’acqua. La prima acqua che avrebbe bevuto sarebbe stata quella del pozzo, proprio come aveva detto Makepeace Smith. Sarebbe rimasto ad aspettare che l’acqua avesse raggiunto il suo livello naturale e, dopo che il fango si fosse depositato, avrebbe attinto un secchio d’acqua. Quindi si sarebbe diretto a casa, e avrebbe tracannato una tazza di quell’acqua e di fronte al suo padrone. Successivamente avrebbe portato Makepeace Smith a vedere il pozzo scavato nel punto indicato da Hank Dowser, là dove il fabbro lo aveva colpito, e infine avrebbe mostrato l’altro pozzo, quello in cui si poteva gettare un secchio e udire un tonfo, non un rumore di ferraglia.
In piedi sul bordo del pozzo, Alvin immaginò le bestemmie e le imprecazioni di Makepeace Smith. Si mise a sedere, tanto per dare un po’ di sollievo ai piedi doloranti, pregustando la faccia di Hank Dowser quando sarebbe tornato a vedere il suo pozzo. Poi si distese per riposare la schiena indolenzita, e chiuse gli occhi per un istante soltanto, per non dover prestare attenzione alle ombre svolazzanti della distruzione che continuavano a infastidirlo ai margini del campo visivo.
VIII
IL DISTRUTTORE
Modesty si mosse nel sonno. Peggy udì il suo respiro cambiare ritmo. Poi si svegliò tirandosi di scatto a sedere sul letto. Subito cercò con lo sguardo Peggy nell’oscurità della stanza.
«Sono qui» mormorò Peggy.
«Che succede, mia cara? Non riesci a prender sonno?»
«Temo di no» disse Peggy.
Modesty uscì sulla veranda accanto a lei. La brezza da sudovest gonfiava le tende damascate alle loro spalle. La luna giocava a nascondino dietro una nuvola; la città di Dekane era un mutevole disegno di tetti ai piedi della collina. «Riesci a vederlo?» chiese Modesty.
«Non lui» rispose Peggy. «Vedo la sua fiamma vitale; posso vedere con i suoi occhi le stesse cose che vede lui; posso vedere i suoi futuri. Ma lui no, non lo posso vedere.»
«Povera cara. In una notte così bella, essere costretta ad abbandonare il Ballo del Governatore per tener d’occhio un ragazzo in pericolo.» Era la maniera caratteristica di Modesty per informarsi di quale pericolo si trattasse senza chiederlo direttamente. In questo modo Peggy avrebbe potuto decidere se rispondere oppure no, e in entrambi i casi nessuna delle due si sarebbe offesa.
«Vorrei potervelo spiegare» disse Peggy. «È il suo nemico, quello senza faccia…»
Modesty rabbrividì. «Senza faccia! Che orrore!»
«Ah, per certuni una faccia ce l’ha. Una volta per esempio c’era un pastore, un uomo che si piccava di essere uno scienziato. Lui il Distruttore l’ha visto, ma non nel suo vero aspetto, come lo vede Alvin. Con l’immaginazione gli ha dato la forma di un uomo ed un nome: lo chiamava ‘il Messo’, convinto che fosse un angelo.»
«Un angelo!»
«Sono convinta che quando la maggior parte di noi incontra il Distruttore non sia in grado di capire ciò che vede perché non ha le capacità intellettuali per farlo. Perciò la nostra mente lavora per approssimazione. La forma che vediamo è quella che per ciascuno di noi rappresenta la distruzione allo stato puro, una forza spaventosa e irresistibile. Coloro che amano quella forza malefica vedono il Distruttore come un essere meraviglioso. Altri, che la odiano e la temono, lo vedono come la cosa più brutta del mondo.»
«E il tuo Alvin, che cosa vede?»
«Qualcosa di così vago che da sola non avrei mai capito che cosa fosse. Persino guardando con i suoi occhi non me ne sarei accorta, se non se ne fosse accorto lui. Ho capito che vedeva qualcosa, e solo allora ho capito che cosa stava vedendo. A ripensarci… è come quando ti sembra di aver individuato qualcosa con la coda dell’occhio, ma se ti volti non vedi niente.»
«Come qualcuno che sia continuamente in agguato alle tue spalle» disse Modesty.
«Proprio così.»
«E in questo momento è in agguato alle spalle di Alvin?»
«Povero ragazzo, non si rende conto che è stato lui a chiamarlo. Nel suo cuore ha scavato una voragine oscura, la miglior porta d’ingresso per il Distruttore.»
Modesty sospirò. «Ah, bambina mia, queste cose sono al di là della mia comprensione. Non ho mai avuto doni, io; e anche quello che fai tu riesco a intuirlo solo vagamente.»
«Voi? Niente doni?» Peggy era stupefatta.
«Lo so; è difficile che qualcuno ammetta di non avere nessun dono, ma sicuramente non sono l’unica.»
«Mi avete frainteso, padrona Modesty» mormorò Peggy. «Quello che mi ha stupita non era il fatto che non aveste nessun dono, ma che pensaste di non averlo. Ma certo che l’avete.»
«Ah, mia cara, guarda che non ne sono affatto dispiaciuta…»
«Voi avete il dono di vedere la bellezza possibile come se fosse già presente, e vedendola la portate alla luce.»
«Che bellissima idea» disse Modesty.
«Dubitate di me?»
«Non dubito che tu sia convinta di ciò che hai detto.»
Discutere sarebbe stato inutile. Modesty le credeva, ma al tempo stesso aveva paura di crederle. La cosa tuttavia non aveva grande importanza. Ciò che le stava a cuore più di ogni altra cosa era Alvin, che in quel momento stava terminando il secondo pozzo. Già una volta si era salvato; e adesso credeva che il pericolo fosse alle sue spalle. Si era messo a sedere sul bordo del pozzo, tanto per riposarsi un momento; poi si era disteso. Non vedeva il Distruttore avvicinarglisi sempre più? Non capiva che quello stesso torpore lo rendeva accessibile all’influsso del Distruttore?
«No!» sussurrò Peggy. «Non addormentarti!»
«Ah» disse la signora Modesty. «Gli stai parlando. Può sentirti?»
«No» mormorò Peggy. «Neanche una parola.»
«Allora che puoi fare?»
«Niente. Che io sappia, niente.»
«Mi hai raccontato che usavi il suo cappuccio…»
«Fa parte dei suoi poteri, ed è a quelli che attingo. Ma nemmeno il suo dono può scacciare ciò che egli stesso ha evocato. E comunque non ho mai posseduto le conoscenze necessarie a scacciare il Distruttore in persona, anche se avessi un braccio di tessuto del suo cappuccio, e non soltanto un misero brandello.»
In un silenzio disperato, Peggy osservò gli occhi di Alvin che si chiudevano. «Dorme» commentò.
«Se il Distruttore vince, Alvin morirà?»
«Non lo so. Forse. O forse sparirà, divorato dal nulla. O forse il Distruttore si impadronirà di lui e…»
«Tu, una fiaccola, non puoi prevedere il futuro?»
«Tutti i sentieri conducono nell’oscurità, e nessuno ne emerge.»
«Allora è finita» mormorò Modesty.
Peggy si sentì qualcosa di freddo sulle guance. Ah, certo: le sue stesse lacrime asciugate dalla brezza fresca della notte.
«Ma se Alvin fosse sveglio, non potrebbe lui stesso sventare l’assalto di questo nemico invisibile?» chiese Modesty. «Scusa se ti importuno con le mie domande, ma se capissi come funziona magari potrei aiutarti a escogitare qualcosa.»
«No, no, è al di là delle nostre possibilità, possiamo solo stare a guardare…» Eppure, nel momento stesso in cui Peggy respingeva il suggerimento di Modesty, la sua mente avanzava a lunghi balzi in cerca di qualche modo per utilizzarlo. Devo svegliarlo. Non posso contrastare il Distruttore, ma se sveglio Alvin sarà lui a combatterlo. Per quanto stanco e indebolito, potrebbe pur sempre trovare il modo di sconfiggerlo. Peggy si voltò di scatto, corse in camera sua e rovistò freneticamente nel cassetto del comò finché non trovò la scatola intagliata che conteneva il cappuccio.