«Vuoi che me ne vada?» chiese Modesty, che l’aveva seguita.
«Restate con me, vi prego» disse Peggy. «Per tenermi compagnia. O per consolarmi, se dovessi fallire.»
«Non fallirai» la rincuorò Modesty. «E nemmeno lui fallirà, se è l’uomo che mi hai descritto.»
Peggy non l’ascoltava più. Seduta sul bordo del letto, esplorava la fiamma vitale di Alvin in cerca di un modo per svegliarlo. In un momento poteva usare i suoi sensi anche mentre lui dormiva, udendo ciò che lui udiva, utilizzando il suo ricordo di ciò che lo circondava. Ma adesso che il Distruttore si insinuava dentro di lui, i suoi sensi si andavano spegnendo, e Peggy non poteva fidarsene. Si guardò disperatamente intorno in cerca di un’altra soluzione. Un forte rumore? Usando quel poco che restava del senso della vita che lo circondava, trovò un albero, poi si strofinò fra le dita un minuscolo frammento di cappuccio e tentò — come aveva visto fare ad Alvin — di immaginare il legno del ramo che si spezzava. Tutto accadeva con terribile lentezza — Alvin ci riusciva così in fretta! — ma alla fine riuscì a farlo cadere. Troppo tardi. Alvin lo udì a malapena. Il Distruttore aveva alterato a tal punto l’aria intorno a lui che le vibrazioni sonore non riuscivano ad attraversarla. Forse Alvin ne ebbe coscienza; forse si accostò di un brevissimo tratto alla veglia. O forse no.
Come svegliarlo, se è così insensibile che niente riesce a scuoterlo? Una volta ho tenuto fra le dita questo stesso cappuccio mentre una trave di colmo gli rovinava addosso; e quella volta sono riuscita ad aprire nel legno un foro grande come un bambino, così che non gli è stato torto neanche un capello. Una volta gli è caduta addosso una macina da mulino, e io sono riuscita a spezzarla in due. Una volta suo padre si trovava nel fienile con un forcone in mano e, spinto dalla follia del Distruttore, stava per uccidere il più amato dei suoi figli; e anche in quella circostanza ho fatto in modo che Scambiastorie scendesse dalla collina proprio in quel momento, distogliendo il padre dal suo fine tenebroso e scacciando il Distruttore.
Ma come? Come aveva fatto Scambiastorie a scacciare il Distruttore? C’era riuscito perché, arrivando al fienile, il vecchio aveva visto quell’odiosa bestiaccia e aveva pronunciato contro di lui una certa parola… ecco perché al suo arrivo il Distruttore se n’era andato. Ora che Scambiastorie non si trova nei pressi, sicuramente troverò qualcuno da svegliare e spingere fino a lui; qualcuno che sia pieno di amore e di bontà al punto da riuscire a mettere in fuga il Distruttore.
Attanagliata dalla paura, Peggy si ritrasse dalla fiamma vitale di Alvin — anche se la tenebra del Distruttore minacciava ormai di soffocarla -, e si allontanò nella notte in cerca di un’altra fiamma vitale, qualcuno da poter svegliare e mandare in tempo da lui. E mentre cercava avvertì nella fiamma vitale di Alvin un certo movimento, un accenno di ombre dietro altre ombre, non quel vuoto completo che poco prima aveva visto al posto del suo futuro. Se Alvin aveva qualche possibilità, essa stava in quella sua ricerca. Anche se avesse trovato qualcuno, Peggy non aveva la minima idea di come svegliarlo. Ma doveva trovare un modo, o la Città di Cristallo sarebbe stata travolta dall’alluvione causata dalla rabbia sciocca e infantile di Alvin.
IX
PETTIROSSO
Alvin si svegliò dopo qualche ora, la luna ormai bassa a occidente, un vago chiarore a oriente. Non aveva avuto intenzione di addormentarsi. Ma in fin dei conti era stanco, e il lavoro era finito, perciò era naturale che, chiudendo gli occhi, non avrebbe potuto pretendere di restare sveglio. Aveva ancora tutto il tempo di attingere un secchio d’acqua e portarlo a casa.
Ma aveva veramente gli occhi aperti? Il cielo lo vedeva, grigio chiaro a sinistra, grigio chiaro a destra. Ma gli alberi dov’erano? Non avrebbero dovuto agitarsi lievemente sotto la brezza del mattino, proprio ai margini del suo campo visivo? In quanto a ciò, non c’era nessuna brezza; e oltre a quello che vedeva con gli occhi e toccava con. la pelle, c’erano altre cose che non riusciva a percepire. La verde musica della foresta vivente. Se n’era andata. Nessun mormorio di vita degl’insetti addormentati nell’erba, nessun battito del cuore dei cervi in giro a brucare alle prime luci dell’alba. Nessun uccello appollaiato fra gli alberi, in attesa che il calore del sole mettesse in movimento gl’insetti.
Tutto morto. Sparito. La foresta non c’era più.
Alvin aprì gli occhi.
Ma non erano già aperti?
Alvin aprì di nuovo gli occhi, e anche questa volta non riuscì a vedere; senza chiuderli, li riaprì ancora una volta, e ogni volta il cielo sembrava più scuro… No, non più scuro, semplicemente più lontano, si allontanava precipitosamente da lui come se egli stesse precipitando in un abisso così profondo che il cielo stesso vi si perdeva.
Alvin gettò un grido di paura, e aprì gli occhi già aperti, e vide…
L’aria tremolante del Distruttore che scendeva su di lui e gli s’insinuava nelle narici, fra le dita, nelle orecchie.
Non che Alvin riuscisse a sentirla, nossignore. Riusciva solo a sentire quello che non c’era più; lo strato più esterno della sua pelle, ovunque il Distruttore lo toccasse, il suo stesso corpo che si disfaceva, le minuscole particelle del suo essere che morivano, si seccavano, si squamavano.
«No!» esclamò. Ma quel grido venne inghiottito dal silenzio, mentre il Distruttore gl’irrompeva nella gola e nei polmoni, e Alvin non riusciva a stringere i denti e a serrare le labbra con forza sufficiente per impedire a quel viscido guastatore d’insinuarglisi dentro, di corroderlo dall’interno.
Alvin cercò di curarsi come aveva fatto con la gamba la volta che la macina di mulino gliel’aveva spezzata di netto. Ma stavolta era come nella fiaba di Scambiastorie. Lui ricostruiva, e il Distruttore distruggeva a velocità doppia. Per ogni punto che riusciva a guarire, c’erano mille punti guastati e perduti per sempre. Stava per morire, ormai c’era quasi, e non sarebbe stata semplicemente la morte, perdere la carne e sopravvivere con lo spirito. Il Distruttore intendeva consumare corpo e anima, carne e mente insieme.
Uno scroscio d’acqua. Alvin udì uno scroscio. Il semplice fatto di udire un rumore fu la cosa più bella che avesse mai udito in vita sua. Significava che al mondo c’era qualcosa oltre al Distruttore che lo avviluppava penetrando all’interno del suo essere.
Alvin udì quel rumore echeggiare e riverberare nella sua memoria: adesso aveva qualcosa cui aggrapparsi, un frammento di mondo reale cui appigliarsi. Alvin aprì gli occhi.
Questa volta capì di averli aperti davvero, perché vide di nuovo il cielo orlato di alberi. E in piedi davanti a lui, con un secchio fra le mani, vide Gertie Smith, la moglie di Makepeace.
«Penso che sia la prima acqua attinta da quel pozzo» disse la donna.
Alvin aprì la bocca e sentì l’aria fresca e umida irrompergli nei polmoni.
«Lo penso anch’io» sussurrò.
«Non ti avrei mai creduto capace di scavarlo e foderarlo di pietre come si deve, tutto in una notte» disse lei. «Quel ragazzo, Arthur Stuart, mi è venuto in cucina mentre infornavo i biscotti per la colazione, dicendomi che il pozzo era finito. Non ho potuto fare a meno di venire a vedere.»
«Si sveglia presto, il ragazzino» commentò Alvin.
«E tu fai parecchio tardi la sera» ribatté Gertie. «Se fossi un uomo grande e grosso come te, gliela farei vedere a mio marito, Alvin, apprendista o non apprendista.»