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Qual era il segreto? Peggy ne aveva una vaghissima idea. Sapeva soltanto che in realtà sfruttava i poteri dello stesso Alvin, lo straordinario dono con cui questi era nato. Nel corso degli anni, anche lui aveva imparato qualcosa riguardo al proprio talento per fare le cose e dar loro una forma e tenerle insieme e separarle. Finalmente, nel corso dell’ultimo anno, trascinato a forza nella guerra tra Rossi e Bianchi, aveva cominciato a proteggersi da solo, per cui a Peggy era rimasto ben poco da fare. Una bella fortuna. Di quel cappuccio infatti non era rimasto granché.

Peggy richiuse il coperchio. Non voglio vederlo, pensò. Non voglio sapere più niente di lui.

Ma le sue stesse dita tornarono ad aprire la scatola, perché lei doveva sapere. Aveva trascorso metà della sua esistenza, o almeno così le pareva, a toccare quel cappuccio e a cercare la sua fiamma vitale laggiù a nordovest, nella lontana città di Vigor Church, a sincerarsi che Alvin stesse bene, a frugare i sentieri del suo futuro in cerca dei pericoli che vi si potevano celare. E quando era sicura che stesse bene, guardava innanzi, e lo vedeva giungere un giorno nella cittadina di Hatrack, nello stesso luogo in cui era venuto al mondo, lo vedeva tornare, guardarla negli occhi e dire: «Sei stata tu a salvarmi tutte quelle volte, tu a capire che ero un Creatore molto prima che chiunque altro potesse immaginare una cosa del genere». E poi lo vedeva penetrare i segreti più profondi del suo potere, l’opera che lo attendeva, la Città di Cristallo che doveva edificare; lo vedeva generare dei figli insieme a lei, e lo vedeva carezzare i bambini che ella stringeva al seno; vedeva quelli che insieme avrebbero seppellito e quelli che avrebbero continuato a vivere; e in ultimo vedeva…

Le lacrime le rigarono il volto. Non voglio saperlo, disse. Non voglio conoscere tutte le strade del futuro. Le altre ragazze della mia età sognano soltanto l’amore e le gioie del matrimonio, sognano di partorire bambini sani e robusti; ma tutti i miei sogni contengono anche morte, e dolore, e paura, perché i miei sogni sono veri, io so più di quanto sia concesso a un essere umano che voglia nutrire in cuor suo un filo di speranza.

Eppure Peggy sperava. Sissignori potete starne certi… Restava aggrappata a una sorta di disperata speranza, perché, pur sapendo che cosa l’attendeva sui sentieri della vita, ogni tanto coglieva un rapido barlume, una radiosa visione di certi giorni, di certe ore, di certi fuggevoli momenti di gioia così travolgente che per provarla valeva anche la pena di soffrire.

Il fatto è che, nell’ampio panorama del futuro di Alvin, quei barlumi erano così rari e fuggevoli che Peggy non riusciva a trovare una strada per arrivarci. Tutti i sentieri che riusciva a trovare con facilità, quelli più evidenti, quelli che avevano più probabilità di realizzarsi, conducevano immancabilmente al giorno in cui Alvin l’avrebbe sposata senza amarla, solo per gratitudine e senso del dovere: un matrimonio infelice. Come nella storia biblica di Lea, detestata dal bellissimo marito Giacobbe anche se lei lo amava teneramente e gli partoriva più figli delle altre mogli e si sarebbe fatta ammazzare per lui se solo Giacobbe glielo avesse domandato.

Dio ha proprio reso un bel servizio a noi donne, pensò Peggy, facendoci desiderare con tutte noi stesse un marito e dei figli: il che ci condanna poi a una vita di sacrifici, patimenti e sofferenze. Possibile che Eva avesse commesso un peccato così grande da far sì che Dio gettasse su tutte le donne quella terribile maledizione? «Tu partorirai con dolore» aveva detto Dio, onnipotente e misericordioso. «Ti sentirai attratta verso tuo marito con ardore, ed egli dominerà su di te.»

Ecco che cosa le bruciava dentro… un ardore appassionato verso suo marito. Anche se questi era soltanto un ragazzino di undici anni che non andava in cerca di una moglie, bensì di un maestro. Può darsi che sia solo un ragazzo, pensò Peggy, ma io sono una donna, e ho visto l’uomo che egli diventerà, e spasimerò per lui. Si portò una mano al seno; era grande e morbido, eppure in qualche modo ancora fuori posto sul suo corpo che, fino a poco tempo prima, era tutto angoli e spigoli come una baracca di assi, e ora si stava arrotondando come il vitello messo a ingrassare in attesa del figliol prodigo.

Peggy rabbrividì, pensando a ciò che era accaduto al vitello grasso, e ancora una volta toccò il cappuccio e guardò.

Nella lontana cittadina di Vigor Church, il giovane Alvin stava facendo colazione per l’ultima volta alla tavola dei suoi genitori. Lo zaino che avrebbe dovuto portarsi dietro nel suo viaggio verso il fiume Hatrack giaceva sul pavimento accanto alla sedia. Il volto di sua madre era rigato di lacrime che ella non cercava di nasconderle. Il ragazzo amava sua madre, ma non provava il minimo dispiacere all’idea di andarsene. La sua casa e il suo paese erano diventati luoghi tristi e cupi, macchiati di troppo sangue innocente perché un ragazzo potesse desiderare di restarvi. Non vedeva l’ora di andarsene, d’incominciare una nuova vita come apprendista del fabbro di Hatrack River, e di trovare la giovane fiaccola che gli aveva salvato la vita quando era venuto al mondo. Non avrebbe potuto inghiottire un solo boccone in più. Allontanò la sedia dal tavolo, si alzò, baciò la madre…

Peggy lasciò andare il cappuccio e chiuse il coperchio della scatola con la stessa sveltezza che avrebbe impiegato nel tentativo di chiudervi dentro una mosca.

Viene a cercare me. Viene per incominciare una vita di patimenti insieme a me. Su, Faith Miller, sciogliti in lacrime, ma non perché il tuo piccolo Alvin stia per iniziare il suo viaggio verso est. Piangi per me, per la donna che vedrà la sua vita rovinata dal tuo bambino. Versa le tue lacrime per il dolore solitario di un’altra donna.

Peggy rabbrividì, si scosse di dosso la tetraggine di quell’alba grigiastra e si vestì in fretta e furia, chinando la testa per evitare le lunghe travi inclinate del tetto. Nel corso degli anni, aveva imparato vari trucchi per scacciare dalla propria mente il pensiero di Alvin Miller Junior, almeno per il tempo sufficiente a fare il suo dovere di figlia in casa dei genitori, o per svolgere i suoi servizi di fiaccola a beneficio della gente dei dintorni. Se voleva, poteva trascorrere ore intere senza pensare a quel ragazzo. E, sebbene adesso fosse più difficile, poiché sapeva che proprio quel mattino Alvin stava per intraprendere il cammino che l’avrebbe condotto sino a lei, riuscì ugualmente a mettere da parte ogni pensiero che lo riguardasse.

Peggy aprì le tende e si mise a sedere davanti alla finestra, con i gomiti appoggiati al davanzale. Spinse lo sguardo oltre la foresta che dalla locanda ancora si estendeva verso meridione fino ai fiumi Hatrack e Hio, interrotta solo da qualche rado allevamento di maiali. L’Hio non poteva vederlo, si capisce, a tante miglia di distanza, nemmeno in quella limpida, fresca aria primaverile. Ma ciò che i suoi occhi non riuscivano a vedere, la fiaccola che era in lei poteva scorgerlo con facilità. Per vedere l’Hio, non doveva far altro che andare in cerca della fiamma vitale di qualcuno che si trovasse laggiù, entrarvi a sua volta, e guardare attraverso gli occhi dell’ospite proprio come se anche lei si trovasse sul posto. E una volta laggiù, una volta impadronitasi della fiamma vitale di un altro, poteva scorgere anche altre cose, non solo ciò che quella persona vedeva con gli occhi, ma addirittura ciò che pensava, provava e desiderava. E non solo, perché, guizzanti nelle parti più luminose della fiamma, spesso coperti dal fragore dei pensieri e dei desideri, poteva individuare i sentieri che le si aprivano davanti, le decisioni che avrebbe dovuto prendere, la vita che avrebbe fatto se avesse scelto questo o quest’altro o quest’altro ancora nelle ore e nei giorni che l’attendevano.