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«Guarda, hai ripulito anche le pareti» esclamò Horace.

«È stato Arthur Stuart» chiarì Alvin. «Le ha ripassate tutte con la raspa.»

«E la stufa… Ascolta, Makepeace, francamente non avevo pensato anche di comprare una stufa nuova.»

«Non è nuova» intervenne Alvin. «Voglio dire, forse non dovevo, ma era una vecchia stufa che tenevamo lì come rottame, e quando l’ho guardata bene ho visto che si poteva ancora aggiustare, e allora perché non metterla qui?»

Makepeace lanciò ad Alvin una occhiata gelida, poi si rivolse di nuovo a Horace. «Questo non significa che sia gratis, naturalmente.»

«Certo che no» disse Horace. «Se l’avevi comprata a prezzo di rottame, però…»

«Oh, sul prezzo vedrai che ci troveremo d’accordo.»

Horace ammirò la giunzione tra il tubo e il soffitto. «Un lavoro perfetto» commentò. Si voltò. Ad Alvin parve un po’ triste, o forse solo rassegnato. «Dovremo ricoprire il resto del pavimento, naturalmente.»

«Di questo genere di lavori noi non ci occupiamo» precisò Makepeace Smith.

«Stavo solo parlando tra me e me, non preoccuparti.» Horace si avvicinò alla finestra di levante, la spinse con le dita, poi la sollevò. Trovò i cavicchi sul davanzale, l’infilò nel terzo buco da una parte e dall’altra, quindi lasciò andare il telaio che scivolò verso il basso fino ad arrestarsi contro i cavicchi. Guardò i cavicchi, poi fuori dalla finestra, poi di nuovo i cavicchi, molto a lungo. Alvin dentro di sé tremava all’idea di dover spiegare come avesse fatto, lui che non era mai stato a bottega da un falegname, a costruire una finestra così precisa. Peggio ancora, che cosa sarebbe successo se Horace avesse intuito che si trattava della finestra originale, e non di una nuova? Una cosa del genere si poteva spiegare soltanto con il dono di Alvin… Nessun falegname avrebbe saputo entrare nel legno di una finestra fissa per ritagliarne una scorrevole.

Ma Horace si limitò a dire: «Hai fatto anche qualche lavoretto in più».

«Mi è sembrato che ce ne fosse bisogno» spiegò Alvin. Se Horace non gli chiedeva come avesse fatto, lui era ben felice di non dirglielo.

«Non pensavo che il lavoro potesse essere finito così in fretta» rifletté Horace. «Né che tu facessi tante cose. La serratura ha l’aria di costare un occhio, e la stufa… Spero soltanto di non dover pagare tutto in una volta.»

Alvin stava per dire che non avrebbe dovuto pagare neanche un centesimo, ma naturalmente non sarebbe stato il caso. Una decisione del genere spettava a Makepeace Smith.

Ma quando Horace si voltò in cerca di una risposta, non si rivolse a Makepeace Smith, bensì guardò Alvin diritto negli occhi. «Se Makepeace Smith fa pagare il tuo lavoro a prezzo intero, anch’io immagino di non poterti pagare di meno.»

Solo allora Alvin si rese conto di aver commesso un errore affermando di aver portato a termine quel lavoro nel suo tempo libero, perché tutto ciò che un apprendista faceva fuori delle ore di lavoro ufficiali veniva pagato direttamente a lui, e non al padrone. Makepeace Smith non aveva mai concesso ad Alvin del tempo libero: se qualcuno voleva qualcosa, Makepeace ordinava ad Alvin di farlo, e questo era un suo diritto, previsto nel contratto di apprendistato. Tuttavia, siccome Alvin aveva parlato di tempo libero, ora sembrava che Makepeace l’avesse autorizzato a lavorare anche per conto proprio.

«Signore, io…»

Makepeace intervenne prima che il ragazzo potesse spiegare l’equivoco. «Pagarlo a prezzo intero non sarebbe giusto» disse. «Visto che Alvin era così vicino al termine del suo contratto ho pensato che avrebbe dovuto cominciare a fare esperienza per conto proprio, anche per imparare a maneggiare il denaro. Ma anche se a te il lavoro può sembrare ben fatto, a me pare senz’altro scadente. Perciò possiamo accordarci sulla metà del prezzo normale. Per fare tutto questo penso che ci saranno volute una ventina di ore… Eh, Alvin?»

Più probabile che fossero state dieci, ma Alvin si limitò ad annuire. Non avrebbe saputo comunque che cosa obiettare, visto che il suo padrone evidentemente non aveva intenzione di dire la verità. E a un fabbro senza i poteri segreti di Alvin quel lavoro avrebbe richiesto almeno venti ore, cioè due giornate complete di lavoro.

«Perciò» continuò Makepeace «tra il lavoro di Alvin a metà prezzo, il costo della stufa, del ferro e tutto il resto… Be’, facciamo quindici dollari.»

Horace fischiò dondolandosi sui talloni.

«Il mio lavoro potete averlo gratis. A me basta l’esperienza» disse Alvin.

Makepeace gli lanciò uno sguardo di fuoco.

«Nemmeno per idea» protestò Horace. «Il Salvatore ha detto che ogni lavoratore deve ricevere una giusta mercede. È l’improvviso aumento del prezzo del ferro che mi lascia un po’ perplesso.»

«È una stufa» precisò Makepeace Smith.

Non lo era, finché non l’ho aggiustata, pensò Alvin.

«L’hai comprata come rottame» disse Horace. «Se vale lo stesso ragionamento che hai fatto a proposito del lavoro di Alvin, anche in questo caso pagarla a prezzo intero non sarebbe giusto.»

Makepeace sospirò. «In nome dei vecchi tempi, Horace, visto che sei stato tu a chiamarmi qui aiutandomi a mettere su bottega quando sono venuto all’Ovest diciott’anni fa… Nove dollari.»

Horace non sorrise ma annuì. «D’accordo. E siccome quando mandi Alvin a lavorare fuori di solito ti fai pagare quattro dollari al giorno, direi che le sue venti ore a metà prezzo vengono quattro dollari. Vieni stasera a casa mia, Alvin, e te li darò. In quanto a te, Makepeace, ti pagherò il resto quando avrò la locanda piena all’epoca del raccolto.»

«Mi pare giusto» acconsentì Makepeace.

«Sono contento di sapere che adesso lasci ad Alvin Un po’ di tempo libero» disse Horace. Un sacco di gente aveva cominciato a criticarti perché ti mostravi così rigido con un bravo apprendista, ma io ho sempre detto: Makepeace sta solo aspettando il momento giusto, aspettate e vedrete.»

«È vero» borbottò Makepeace. «Stavo solo aspettando il momento giusto.»

«Non ti dispiace, vero, se spargo la voce che il momento giusto è arrivato?»

«Alvin deve pur sempre lavorare per me» lo ammonì Makepeace.

Horace annuì con aria comprensiva. «Direi di sì» disse. «La mattina lavora per te, il pomeriggio per sé… non è così? La maggior parte dei padroni si comporta in questo modo quando l’apprendista è ormai sul punto di mettersi in proprio.»

Il viso di Makepeace cominciò a farsi di porpora. Alvin non ne fu sorpreso. Capiva fin troppo bene che cosa stava succedendo… Horace Guester si era messo dalla sua parte come un avvocato, sfruttando quell’occasione per far leva sull’amor proprio di Makepeace e costringerlo a trattare Alvin equamente per la prima volta in più di sei anni di apprendistato. Quando Makepeace aveva deciso di fingere che Alvin disponesse veramente di tempo libero, la porta si era schiusa di un pollice, e adesso Horace la stava spalancando a forza di spintoni. Costringere Makepeace a concedergli metà giornata, figuriamoci! Decisamente un boccone troppo grosso perché Makepeace riuscisse a inghiottirlo.

Ma Makepeace lo inghiottì. «Metà giornata mi sta bene. Era qualche tempo che ci stavo pensando.»

«Perciò nel pomeriggio adesso alla fucina ci starai tu, eh, Makepeace?»

Ah, Alvin fu costretto a guardare Horace con pura ammirazione. In questo modo Makepeace non avrebbe più potuto battere la fiacca, lasciando che fosse Alvin a mandare avanti la fucina.

«Quando lavoro è affar mio, Horace.»

«Be’, è tanto per far sapere alla gente quand’è che in bottega troverà il padrone, e quando l’apprendista.»

«Sarò qui tutto il giorno.»

«Ah, sono felice di saperlo» sorrise Horace. «Bene, proprio un bel lavoro, Alvin, non c’è che dire. Il tuo padrone ha tirato su un fabbro coi fiocchi, e tu sei stato ancor più preciso del solito. Vedi di passare da noi stasera per i quattro dollari.»