Un giorno, pensò Alvin, qualcuno potrebbe salire su un battello come l’Orgoglio dell’Hio, e partire alla ventura. All’Ovest, verso territori ancora selvaggi, e magari gettare da lontano lo sguardo sui luoghi dove vivono Ta-Kumsaw e Tenska-Tawa. Oppure risalire il fiume fino a Dekane, e di qui prendere il nuovo treno a vapore che correva sulle rotaie fino all’Irrakwa e al canale. A quel punto tutto il mondo gli si spalancherebbe davanti. O forse potrebbe restare su quella riva e un giorno scoprire che tutto il mondo gli è passato davanti.
Ma Alvin non era tipo da abbandonarsi a oziose riflessioni. Anche se gli sarebbe piaciuto farlo, non si attardò sulla riva del fiume. Poco dopo entrò negli uffici della capitaneria e consegnò al direttore il biglietto di Makepeace Smith che lo autorizzava a ritirare il ferro contenuto nelle nove casse in fila sul molo.
«Preferirei non vederti usare i miei carrelli a mano per trasportare quella roba» disse il direttore. Alvin annuì. Sempre la stessa storia. Tutti avevano bisogno di quel ferro, direttore compreso, e ben presto quest’ultimo avrebbe fatto capolino alla fucina per ordinare questo o quello. Ma, nel frattempo, Alvin avrebbe dovuto sollevare di peso tutte le casse, per non sciupare i carrelli con un carico così gravoso. Makepeace, dal canto suo, non dava mai ad Alvin il denaro per ingaggiare qualche ratto di fiume che gli desse una mano a caricare. Però Alvin in fondo ne era contento. Quei tipi che trascorrevano la vita sul fiume non gli andavano a genio. Anche se il traffico fluviale era diventato troppo intenso perché pirati e briganti potessero agire indisturbati, ciò non significava che fossero venuti meno i furti e i loschi traffici. Quella gente Alvin la disprezzava profondamente. A suo modo di vedere, una persona del genere contava sulla fiducia delle persone oneste per poi tradirla; e quale risultato si sarebbe ottenuto, se non la scomparsa della fiducia reciproca? Preferisco affrontare un violento e restituirgli colpo su colpo, piuttosto che trovarmi davanti un bugiardo matricolato.
Così avvenne che, inaspettatamente, Alvin conobbe la nuova maestra e dovette misurarsi con un ratto di fiume, tutto nel breve volgere di un’ora.
Il ratto di fiume con cui si scontrò faceva parte di una combriccola che oziava sotto il portico della capitaneria, forse in attesa che aprisse una casa da gioco. Ogni volta che Alvin usciva chino sotto il peso di una cassa, quelli cominciavano a schernirlo. All’inizio era una specie di bonaria presa in giro, del tipo: «Ehi, ragazzo, com’è che fai tanti viaggi? Perché non prendi due casse alla volta?» E Alvin si limitava a sorridere, perché sapeva bene che quegli uomini si rendevano conto di quanto fossero pesanti le casse. Quando le avevano scaricate dal battello, il giorno prima, sicuramente c’erano voluti due uomini per ognuna. Perciò, in un certo senso, gridargli che era debole o pigro era una sorta di complimento, uno scherzo evidente, giacché il ferro era pesante e Alvin era davvero molto forte.
Poi Alvin si recò all’emporio a comprare le spezie richieste da Gertie, e certi attrezzi da cucina, prodotti nell’Irrakwa e nella Nuova Inghilterra, il cui uso egli poteva intuire solo molto vagamente.
Quando uscì dalla bottega con entrambe le braccia occupate, trovò i ratti di fiume che continuavano a oziare all’ombra del portico, solo che stavolta bersaglio dei loro lazzi era cambiato, e la faccenda sembrava decisamente meno gradevole. Per quanto Alvin potesse giudicare, si trattava di una donna di mezza età, più o meno sulla quarantina. Aveva i capelli severamente legati in una crocchia, e il vestito nero aveva le maniche lunghe e il collo completamente abbottonato come se lei temesse che la luce del sole danneggiasse la pelle. Mentre i ratti di fiume le rivolgevano le loro attenzioni, teneva lo sguardo fisso dinanzi a sé, come impietrita.
«Ehi, ragazzi, secondo voi quel vestito se lo sarà cucito addosso?»
Gli altri la ritennero un’ipotesi plausibile.
«Per me non se l’è mai tolto per nessuno.»
«No, ragazzi, è che sotto quella gonna non c’è nulla, solo imbottitura, con la testa e le mani cucite sopra.»
«Una donna vera non è di sicuro.»
«Guardate che io una donna vera la vedo subito. Non appena mi posano gli occhi addosso, le donne vere si tirano su le sottane e allargano le gambe.»
«Forse se le dai una mano potresti aiutarla a trasformarsi in una donna.»
«Quella lì? Ma quella è fatta di legno. A remare in certe acque si rischia di spaccare i remi.»
Be’, Alvin non riuscì a sopportare oltre. Già era abbastanza brutto che un uomo pensasse cose del genere di una donna che se le andava a cercare… Le ragazze delle case da gioco, per esempio, che se ne andavano in giro per la strada con quegli scolli che lasciavano scoperto mezzo petto e ancheggiando in modo tale da scoprire le gambe fino alle ginocchia. Ma quella donna era evidentemente una signora, e avrebbe avuto ogni diritto di non udire le sporche allusioni di quella marmaglia. Alvin immaginò che la donna attendesse qualcuno, perché la diligenza per Hatrack non sarebbe partita che un paio d’ore più tardi. Non pareva impaurita… probabilmente sapeva che quei tali erano più portati alle vanterie che all’azione, per cui la sua virtù poteva considerarsi al sicuro. Dalla sua espressione fredda e distaccata, Alvin non riusciva neanche a capire se li stava ascoltando. Tuttavia le parole dei ratti di fiume suscitarono in lui un tale imbarazzo che non fu in grado di sopportarlo. Non gli sembrava giusto andarsene col suo carro lasciandola in loro balia. Perciò, deposti nel carro pacchi e pacchetti, si avvicinò ai ratti di fiume rivolgendosi a quello che aveva parlato più forte e in maniera più volgare.
«Forse dovresti parlarle più educatamente» disse. «O forse non dovresti parlarle affatto.»
Alvin non restò sorpreso scorgendo il bagliore che si era acceso negli occhi di quei bravi ragazzi non appena lui aveva aperto bocca. Punzecchiare una donna sola era già abbastanza divertente, ma Alvin capì che adesso lo stavano soppesando per capire con quanta facilità avrebbero potuto sopraffarlo. Dare una bella lezione a un ragazzo di città era per loro il massimo del divertimento, anche se quel ragazzo era grande e grosso come Alvin.
«Forse sei tu che non dovresti parlare affatto» ribatté il più loquace del gruppo. «Anzi, forse hai già detto abbastanza.»
Uno dei suoi amici non capì, e pensò che il gioco consistesse ancora nel rivolgere volgarità alla signora in nero. «È solo geloso. In quel fiume, la pertica vuole infilarcela soltanto lui.»
«No, non ho detto abbastanza» rispose Alvin «almeno finché voi non mostrate di aver capito come ci si rivolge a una signora.»
Solo a quel punto la donna aprì bocca. «Non ho bisogno di protezione, giovanotto» disse. «Andatevene pure per la vostra strada.» Aveva un accento strano. Un accento coltivato come quello del reverendo Thrower, che pronunciava ogni sillaba ben staccata dalle altre. Come una persona che avesse frequentato le scuole dell’Est.
La donna avrebbe fatto molto meglio a non dir nulla, perché quell’accento parve mandare in sollucchero i ratti di fiume.
«Ah, ma allora tra questi due c’è del tenero!»
«Non vedi come lo invita?»
«E lui non vede l’ora di farsi una remata!»
«Facciamole vedere chi è il vero uomo!»