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Intorno ai due s’era ormai raccolta una folla di spettatori. Tra di loro non c’erano solo i ratti di fiume che Alvin aveva visto all’ombra del portico, ma una quantità di gente della stessa risma, ed era evidente che tutti si aspettavano una vittoria di Mike Fink. Alvin si rese conto che, sul fiume, quel Fink doveva essere una specie di leggenda, e non c’era da stupirsene, protetto com’era da quel misterioso talismano. Poteva immaginare qualcuno che indirizzava una coltellata a Fink solo per vedersela deviare all’ultimo momento, o perdere la presa sull’impugnatura, o comunque fallire il colpo. Era molto più facile vincere ogni scontro se i denti dell’avversario non potevano affondarti nella carne, e il suo coltello non ti lasciava mai più di un graffio.

Naturalmente all’inizio Fink tentò tutte le mosse più prevedibili, anche perché erano quelle più spettacolari: ruggì, si precipitò addosso ad Alvin come un bisonte, cercò di agguantarlo in un abbraccio mortale, tentò di afferrarlo per un braccio o una gamba per poi farlo roteare come un sasso legato a uno spago. Ma Alvin non glielo permise. Per sfuggirgli non dovette nemmeno far ricorso ai suoi poteri segreti. Era più giovane e svelto, e si sottraeva alle sue mosse con tanta agilità che il ratto di fiume non riusciva neanche a toccarlo. All’inizio gli spettatori fischiarono e si misero a gridare: «Vigliacco!» all’indirizzo di Alvin. Dopo un po’, invece, cominciarono a ridere alle spalle di Fink, il quale, per quanto ruggisse e si avventasse, non aveva messo a segno neanche un colpo.

Nel frattempo Alvin andava in cerca del talismano di Fink. Se non fosse riuscito a eliminare quella rete protettiva, non avrebbe avuto nessuna speranza di vincere il combattimento. Alla fine lo trovò: era un esagono colorato profondamente impresso nella pelle della natica. Col trascorrere degli anni, la pelle aveva un po’ ceduto e non era più un esagono perfetto, ma era un bel disegno, dotato di legami e congiunzioni di tutto rispetto. Un disegno abbastanza potente da circondare tutto il corpo con una robusta rete protettiva.

Se non si fosse trovato nel vivo dello scontro con Fink, Alvin avrebbe potuto agire in maniera più sottile, magari limitandosi a indebolire il talismano senza privare completamente l’avversario dell’incantesimo che l’aveva protetto per tanti anni. Una volta privo del talismano, Fink avrebbe anche potuto morire, specialmente se avesse abbassato la guardia facendo affidamento sulla protezione dell’esagono.

Alvin però non aveva alternative. Fece dunque in modo che la tintura nella pelle di Fink cominciasse a sciogliersi, defluendo nella circolazione sanguigna. Era qualcosa che Alvin poteva fare senza nemmeno concentrarsi, semplicemente avviando il processo e poi lasciando che procedesse senza intoppi, mentre badava a scansare gli assalti di Fink.

Ben presto Alvin avvertì che il potere del talismano s’indeboliva, vacillava, e infine spariva completamente. L’altro non lo sapeva ancora, ma Alvin sì… Ecco, adesso, Fink era diventato vulnerabile come qualsiasi altro essere umano.

A quel punto, tuttavia, Fink aveva smesso di avventarsi su di lui con cieca stupidità. Ora gli girava intorno e fintava, cercando un’occasione per allacciare le braccia a quelle di Alvin e poi sfruttare il proprio peso per scaraventare a terra l’avversario. Ma Alvin aveva un allungo maggiore e braccia più forti, per cui, ogni volta che Fink tendeva le braccia per agguantarlo, Alvin si liberava facilmente di lui allargando di scatto le proprie.

Tuttavia, ora che Fink non era più protetto dal talismano, Alvin non cercò più di sottrarsi alla sua presa. Allungò invece le braccia all’interno di quelle dell’avversario, cosicché quando questi lo afferrò all’altezza dei bicipiti, si trovò nella posizione giusta per allacciare le mani dietro la nuca di Fink.

Alvin spinse con forza verso il basso, costringendo l’altro a chinarsi fino ad avere la testa all’altezza del suo torace. Era troppo facile… L’energumeno stava assecondando il suo movimento, e Alvin ne intuì il motivo. Un istante dopo, infatti, Fink tirò l’avversario verso di sé e contemporaneamente sollevò di scatto la testa, con l’intenzione di colpire Alvin al mento con la nuca. Era così forte che, se ci fosse riuscito, avrebbe potuto rompergli il collo… Solo che il mento di Alvin non si trovava più dove Fink se lo aspettava. Il ragazzo, infatti, aveva a sua volta gettato indietro la testa, e quando Fink, trascinato dall’impeto stesso del suo movimento, si trovò per un istante con la guardia scoperta, Alvin abbassò di scatto la fronte contro la faccia dell’avversario. Sentì il naso di Fink fracassarsi sotto la violenza del colpo, e il sangue zampillò improvviso sui volti dei lottatori.

Non era affatto raro che in una zuffa del genere qualcuno si rompesse il naso. Faceva un male cane, si capisce, e un incidente simile sarebbe bastato a interrompere un incontro amichevole (anche se, a dire il vero, in un incontro amichevole le testate sarebbero state escluse). Qualsiasi altro ratto di fiume avrebbe scrollato la testa, e, dopo aver lanciato un paio di ruggiti, si sarebbe nuovamente scagliato a testa bassa contro l’avversario.

Fink invece indietreggiò barcollando, coprendosi il naso con le mani e assumendo un’espressione assolutamente sconcertata. Poi lanciò un guaito come quello di un cane frustato.

Tra gli spettatori scese un improvviso silenzio. Era una cosa davvero buffa, sentire un ratto di fiume come Mike Fink che strillava per un banale naso rotto. No, non buffa: strana. Non era così che un ratto di fiume avrebbe dovuto comportarsi.

«Forza, Mike» mormorò qualcuno.

«Puoi farcela, Mike.»

Come incoraggiamenti, però, non erano granché convinti. Prima di allora nessuno aveva mai visto Mike Fink comportarsi in modo da tradire la paura o il dolore. E neanche sembrava molto bravo a fingere. Solo Alvin conosceva il motivo di quel cambiamento, perché sapeva che Mike Fink non aveva mai sentito tanto dolore in vita sua, e non aveva mai versato una goccia del proprio sangue in tutte le zuffe cui aveva preso parte. Chissà quante volte aveva rotto il naso a qualcuno e poi aveva riso… Ridere era facile, se uno non sapeva cosa si provava. Ora lo sapeva. Il guaio era che stava imparando adesso ciò che gli altri avevano imparato a sei anni, e di conseguenza si comportava come un bambino di sei anni. Più che piangere, uggiolava.

Per qualche istante Alvin pensò che lo scontro potesse dirsi concluso. Ma la paura e il dolore di Fink non tardarono a trasformarsi in rabbia, e l’uomo riprese ad avanzare pesantemente verso di lui. Forse aveva imparato ad affrontare il dolore, ma la cautela continuava a non figurare tra le sue virtù.

Perciò ci vollero altre prese, altri strattoni, altre giravolte, prima che Alvin riuscisse ad atterrare l’avversario. Impaurito e sorpreso com’era, Fink era pur sempre l’uomo più forte con cui Alvin avesse mai lottato. Fino a quello scontro, Alvin in realtà non aveva mai avuto occasione di mettere in gioco tutta la sua forza; non era mai stato spinto fino al limite estremo. Ora invece c’era arrivato e, mentre rotolava nella polvere, non riusciva quasi a respirare, col fiato caldo e ansante di Fink prima sopra di lui, poi sotto, le ginocchia che sferravano colpi violenti, le braccia che stringevano e percuotevano, i piedi che raspavano freneticamente nella polvere in cerca di un punto d’appoggio su cui fare leva.

Alla fine l’esito fu deciso dall’inesperienza di Fink riguardo alla propria vulnerabilità. Poiché nessuno era mai riuscito a rompergli qualche osso, il ratto di fiume non aveva mai imparato a raccogliere le gambe, cioè a non esporle in modo che l’altro non potesse pestarle. Quando Alvin sfuggì alla sua presa, balzando in piedi, Fink rotolò di scatto su se stesso e per un istante, disteso a terra com’era, stese le gambe l’una sull’altra come non avrebbe fatto neanche un pivellino. Alvin non perse tempo: saltò in aria piombando con entrambi i piedi sulle gambe schiacciandole con tutto il suo peso, così che le ossa della gamba di sopra si piegarono ad arco contro quelle della gamba di sotto. Il colpo fu così improvviso e violento che le ossa di tutt’e due le gambe si frantumarono. Fink strillò come un bambino caduto nel focolare.