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Solo allora Alvin si rese conto di ciò che aveva fatto. Ah, sì, indubbiamente aveva messo fine al combattimento… Nessuno al mondo avrebbe potuto continuare a lottare con entrambe le gambe spezzate. Ma Alvin capì immediatamente, e senza bisogno di guardare — o almeno di guardare con gli occhi - che quelle non erano fratture pulite, fratture che potessero guarire facilmente. Oltre a ciò Fink non era più giovane, e di certo non era un ragazzino. Ammesso che si fossero rinsaldate, Fink sarebbe rimasto zoppo o, nel peggiore dei casi, storpio. Non avrebbe più avuto modo di guadagnarsi da vivere. In più, nel corso degli anni, quell’uomo doveva essersi fatto una quantità di nemici. Che cosa avrebbero fatto, adesso che egli aveva le gambe rotte e non poteva più muoversi? Quanto avrebbe continuato a vivere?

Perciò Alvin s’inginocchiò a terra accanto al punto in cui Mike Fink si torceva convulsamente — o meglio torceva convulsamente la parte superiore del corpo, cercando di non muovere nient’altro — e gli toccò le gambe. Con le mani in contatto col corpo dell’uomo, anche attraverso la stoffa dei calzoni, Alvin riusciva a trovare meglio la strada, a lavorare più in fretta, e nel giro di qualche istante le ossa rotte erano tornate a saldarsi. Non cercò di fare niente di più: i lividi, i muscoli strappati, le ferite, tutto ciò dovette restare com’era, o Fink si sarebbe rialzato per aggredirlo di nuovo.

Alvin staccò le mani dalle gambe di Fink e fece un passo indietro. Subito i ratti di fiume si affollarono intorno al loro eroe sconfitto.

«Ha le gambe rotte?» chiese il ratto linguacciuto.

«No» rispose Alvin.

«Sono andate in pezzi!» ululò Fink.

Nel frattempo, un altro ratto di fiume aveva tagliato la stoffa dei calzoni e aveva cominciato a tastargli la gamba pesta e sanguinante. Fink allontanò di scatto la mano dell’uomo. «Non toccarla!»

«A me non sembra rotta» mormorò l’altro.

«Guarda come le muove. Non sono rotte.»

Ed era vero… Fink non dimenava più solo la parte superiore del corpo, adesso agitava convulsamente anche le gambe.

Qualcuno aiutò Fink a rialzarsi. Fink barcollò, fu sul punto di cadere, si riprese appoggiandosi al ratto linguacciuto, sporcandogli la camicia col sangue che continuava a sgorgargli dal naso. Gli altri indietreggiarono.

«È solo un bambinone» brontolò uno.

«Mettersi a uggiolare come un cucciolo.»

«Che pappamolla.»

«Mike Fink, lo smidollato…» E giù una risatina di scherno.

In piedi accanto al carro, Alvin si rimise la camicia, poi montò a cassetta per rimettersi i calzini e gli stivali. Quando alzò lo sguardo, vide che la signora in nero lo stava osservando. La donna era in piedi a non più di due passi da lui, dato che il carro del fabbro era fermo proprio accanto alla piattaforma di carico. Sul suo volto era dipinta un’espressione di profonda ripugnanza. Alvin si rese conto che probabilmente era disgustata nel vederlo così sporco. Forse non avrebbe dovuto rimettersi subito la camicia, ma d’altra parte sarebbe stato ancor più sconveniente restare a torso nudo davanti a una signora. Anzi, a dire il vero, in città un uomo, specialmente se medico o avvocato, si sarebbe vergognato di mostrarsi in pubblico senza giacca, panciotto e cravatta. I più poveri di solito non possedevano simili indumenti, e un apprendista abbigliato in quel modo avrebbe fatto la figura del manichino rivestito. Ma la camicia… Be’, quella doveva indossarla, anche se sotto era tutto impolverato.

«Vi chiedo scusa, signora» disse Alvin. «Mi laverò quando sarò a casa.»

«Vi laverete?» ribatté lei. «E, quando vi sarete lavato, non penserete di esservi liberato anche della vostra brutalità?»

«Francamente non lo so, visto che questa parola non l’ho mai sentita.»

«Non stento a crederlo» disse la donna. «Brutalità deriva dal latino brutus, che tra l’altro significa ‘stupido’. Un animale, insomma.»

Alvin si sentì avvampare dalla rabbia. «Può darsi. Forse avrei dovuto lasciare che continuassero a parlarvi in quel modo per tutto il tempo che volevano.»

«Io non me ne curavo affatto. Non mi davano nessun fastidio. E voi non avevate nessun bisogno di proteggermi, specialmente non in quel modo. Spogliandovi nudo e rotolandovi nella polvere. Siete completamente imbrattato di sangue.»

Alvin non sapeva bene che cosa rispondere a una persona così altezzosa e ostinata. «Non ero affatto nudo» disse infine. Poi sorrise. «E poi il sangue era suo.»

«E ne siete orgoglioso?»

Sì, che ne era orgoglioso. Ma sapeva che se l’avesse detto, lei lo avrebbe disprezzato ancora di più. E allora? Che cosa le importava della sua opinione? Tuttavia non disse nulla.

Nel silenzio che scese tra di loro, Alvin poteva udire i ratti di fiume alle sue spalle prendersi beffe di Fink. Questi non guaiva più, ma nemmeno diceva gran che. C’erano però alcuni uomini che confabulavano tra loro.

«Il ragazzino pensa di essere un duro.»

«Forse dovremmo mostrargli che cos’è una vera rissa.»

«Così vedremo se anche la sua amica ha veramente tutta quella puzza sotto il naso.»

Alvin non era in grado di prevedere il futuro, ma non ci voleva una fiaccola per intuire che cosa stava per accadere. Gli stivali se li era infilati, il cavallo aveva tutti i finimenti attaccati: era il momento di andarsene. Eppure, per quanto altezzosa fosse, quella signora non poteva rimanere lì. Alvin sapeva che adesso i ratti di fiume se la sarebbero presa con lei e, sebbene la donna pensasse di non aver bisogno di protezione, Alvin si rendeva conto che quegli uomini avevano appena visto il loro campione sconfitto e ridicolizzato, e tutto per causa della signora in nero. Era quindi più che probabile che quest’ultima si sarebbe ritrovata distesa nella polvere, con tutti i bagagli in fondo al fiume.

«Sarà meglio che veniate anche voi» disse Alvin.

«Mi chiedo che cosa vi faccia pensare di potermi dare istruzioni come a una qualsiasi… Ma che fate?»

Alvin stava frettolosamente caricando il baule e il resto dei bagagli nel retro del carro. Quel suo gesto gli sembrava così eloquente che non perse tempo a risponderle.

«Mi sembra che mi stiate derubando, signore!»

«Certo, se non salite anche voi» ribatté Alvin.

A quel punto i ratti di fiume si stavano raccogliendo vicino al carro, e uno di loro aveva già afferrato le briglie del cavallo. La donna si guardò intorno, e la sua espressione adirata mutò, seppure di poco. La piattaforma era allo stesso livello del carro. Alvin prese la signora per mano, aiutandola ad accomodarsi sul sedile. Intanto il ratto linguacciuto era in piedi accanto a lui, appoggiato alla sponda del carro, e sorrideva beffardamente.

«Hai battuto uno di noi, fabbro, ma riusciresti a batterci tutti?»

Alvin si limitò a fissarlo. Si stava concentrando sull’uomo che reggeva il cavallo, facendo sì che la sua mano venisse trafitta da un dolore improvviso, come se nel palmo gli venissero conficcati cento spilloni. L’uomo gettò un grido lasciando andare il cavallo. Allora il ratto linguacciuto distolse lo sguardo da Alvin, e lui ne approfittò per assestargli un calcio in un orecchio. Come calcio non era molto forte, ma neanche l’orecchio di quel tale era granché, e l’uomo si ritrovò a sedere nella polvere, reggendosi la testa.

«Via!» urlò Alvin.

Il cavallo obbedì gettandosi in avanti… e il carro si mosse di circa un pollice. Poi di un altro pollice. Con un carico di ferro non era facile muoversi in fretta, almeno non subito. Alvin si concentrò sui mozzi delle ruote perché girassero senza il minimo intoppo, ma non poté fare assolutamente nulla riguardo al peso del carro o alla forza del cavallo. Quando finalmente si mise in movimento, il carro era un bel po’ più pesante, carico com’era di ratti di fiume che vi si erano aggrappati, chi puntando i piedi, chi arrampicandosi sulle sponde.