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«Per certe cose c’è la prigione, signorina» disse Wiseman.

«Ebbene, signor Wiseman, non stiamo correndo un po’ troppo parlando di prigione, quando debbo ancora decidere a quali atti moralmente riprovevoli abbandonarmi?»

«Sta’ zitto, Pauley» tagliò corto uno degli avvocati.

«Quale alternativa scegliete, signori?» chiese la maestra.

Il dottor Physicker non aveva nessuna intenzione di permettere a Pauley Wiseman di esercitare ulteriori pressioni sui membri meno risoluti del comitato. Non era il caso di protrarre la discussione. «Per deliberare su una questione del genere non abbiamo bisogno di ritirarci, vero, signori? Qui a Hatrack non siamo quaccheri e non siamo abituati a pensare che una donna possa vivere da sola, esercitare una professione, predicare in chiesa e via dicendo, ma certamente siamo persone di larghe vedute che non rifiutano quanto di buono può venire da fuori. Signorina Larner, abbiamo bisogno dei vostri servigi e ci atterremo ai termini del contratto. Tutti a favore?»

«Sì.»

«Contrari? Mozione passata.»

«No» tuonò Wiseman.

«La votazione è finita, Pauley.»

«Troppo in fretta, dannazione!»

«Il tuo voto negativo è stato messo a verbale, Pauley.»

La signorina Larner sorrise gelidamente. «Potete star certo che io non me ne dimenticherò, sceriffo Wiseman.»

Il dottor Physicker batté sul tavolo col suo martelletto. «La seduta è aggiornata a martedì prossimo alle tre. E ora, signorina Larner, sarei felice di accompagnarvi al deposito dei Guester, se l’ora non vi è di eccessivo incomodo. Non sapendo quando sareste arrivata, hanno consegnato la chiave a me pregandomi di aprirvi la casa; loro verranno a darvi il benvenuto più tardi.»

La signorina Larner era ben consapevole, come del resto lo erano tutti i presenti, che era quanto meno strano che il padrone di casa non accogliesse personalmente l’ospite.

«Vedete, signorina Larner, non erano sicuri che accettaste la casa. Volevano che prendeste la vostra decisione dopo averla vista… e non in loro presenza, perché non doveste sentirvi imbarazzata nel caso non vi fosse piaciuta.»

«Allora si sono comportati con grande tatto» sorrise la signorina Larner «e di questo li ringrazierò alla prima occasione.»

Che umiliazione per la vecchia Peg salire al deposito da sola per supplicare quella vecchia zitella spocchiosa di Filadelfia. Sarebbe stato molto più giusto che ci andasse Horace, per parlare con lei da uomo a uomo. A giudicare dalle apparenze, era proprio quello che credeva di essere, non una signora, ma un signore… anzi, un gran signore. Potrebbe benissimo venire da Camelot: una principessa che pretende che la gente comune stia tutta ai suoi ordini. Be’, in Francia ci avevano pensato una volta per tutte, quando Napoleone aveva messo a posto il vecchio Luigi. Ma le gran signore come questa maestra, questa signorina Larner, sempre con la puzza sotto il naso, non ricevevano mai la punizione che si meritavano, continuavano ad andare avanti convinte che la gente che non parlava come un libro stampato fosse troppo inferiore a loro per poterla degnare della propria considerazione.

E Horace dov’era, adesso che ci sarebbe stato bisogno di mettere a posto la signora maestra? Seduto davanti al fuoco. A fare il broncio. Come un bambino di quattro anni. Nemmeno Arthur Stuart era capace di metter su un broncio così.

«Quella donna non mi piace» aveva detto Horace.

«Be’, che ti piaccia o no, se Arthur deve prendere lezioni sarà da lei o da nessuno» aveva risposto la vecchia Peg col suo solito buon senso… Ma Horace la stava ascoltando? Avrebbe fatto meglio a riderci sopra.

«Può benissimo abitare lassù e dare lezioni ad Arthur se le va, o non dargliele se non le va, ma quella donna continua a non piacermi e non sono affatto contento che abiti nel vecchio deposito.»

«Perché, è forse terra consacrata?» aveva chiesto la vecchia Peg. «O maledetta? Avremmo dovuto costruirle un palazzo su misura, a Sua Altezza Reale?» Ah, quando Horace si metteva in testa un’idea, smuoverlo era impossibile. Perché dunque si ostinava a tentare?

«No, certamente no, Peg» aveva borbottato Horace.

«E allora che ti prende? O non hai più bisogno di buoni motivi? Tu decidi, e gli altri debbono soltanto farti ala?»

«Perché quello è il posto della piccola Peggy, ecco perché, e non mi piace che adesso ci stia quella rompiscatole.»

Chi l’avrebbe mai detto? Era proprio tipico di Horace, tirar fuori la figlia che era scappata e che da allora non aveva scritto loro neanche una riga, lasciando Hatrack senza fiaccola e Horace senza l’amore della sua vita. Sissignora, proprio questo era per lui la piccola Peggy, l’amore della sua vita. Se io scappassi, Horace, o Dio non voglia — morissi, custodiresti forse il mio ricordo senza permettere a un’altra donna di prendere il mio posto? Penso proprio di no. Sono convinta che la mia parte del letto non farebbe in tempo a raffreddarsi che tu ci avresti già messo qualcun’altra. La vecchia Peg la sostituiresti in un batter d’occhio, ma la piccola Peggy… Per lei dobbiamo considerare quel deposito come un tabernacolo e io debbo venir qui da sola per affrontare quella vecchia trombona e scongiurarla di dare lezioni a un bambinetto nero. Figuriamoci, sarà già una fortuna se non cercherà di comprarmelo.

Anche per aprirle la porta la signorina Larner se la prese calma, e quando finalmente comparve aveva un fazzoletto, probabilmente profumato, davanti al viso… per non dover sentire l’odore di una onesta contadina.

«Se non le dispiace, avrei da parlarle di un paio di cosette» disse la vecchia Peg.

La signorina Larner fissava un punto sopra la testa della vecchia Peg, come per studiare qualche uccello su un albero lontano. «Se si tratta della scuola, prima di accettare l’iscrizione degli allievi e iniziare la sessione autunnale mi è stata concessa una settimana per sistemarmi.»

Dalla parte del pendio, più in basso, la vecchia Peggy udì il ting-ting-ting di uno dei fabbri che lavorava alla forgia. Senza volerlo, non poté fare a meno di pensare alla piccola Peggy, che detestava cordialmente quel rumore. Forse, nella sua stupidità, Horace aveva ragione. Forse in quel vecchio deposito si avvertiva ancora la presenza della piccola Peggy.

Ma ora sulla soglia c’era la signorina Larner, ed era con lei che la vecchia Peg doveva fare i conti. «Signorina Larner, sono Margaret Guester. Mio marito e io siamo i proprietari di questa casa.»

«Oh, vi prego di scusarmi. Siete la mia padrona di casa, e io sono stata così scortese. Vi prego, entrate.»

Così andava meglio. La vecchia Peg oltrepassò la soglia e si arrestò un istante per abbracciare la stanza con lo sguardo. Solo il giorno prima le era sembrata spoglia ma pulita, un luogo pieno di promesse. Ora era quasi accogliente: sul cassettone c’erano un centrino e una fila di libri, sul pavimento un piccolo tappeto intrecciato, e dai ganci attaccati alla parete pendevano due vestiti. Il baule e le borse erano accatastati in un angolo. Sembrava già che ci abitasse qualcuno. La vecchia Peg non avrebbe saputo dire che cosa si fosse aspettata. Era naturale che la signorina Larner possedesse altri vestiti oltre a quello nero da viaggio che ancora indossava. Semplicemente, la vecchia Peg non riusciva a immaginarsela fare qualcosa di così ordinario come cambiarsi d’abito. Eppure, quando si toglieva un vestito, prima di mettersene un altro probabilmente anche lei se ne stava lì in sottoveste come tutte le donne.

«Sedetevi, signora Guester.»

«Da queste parti non siamo abituati a tutti questi ‘signore’ e ‘signora’, a meno che non ci sia di mezzo un avvocato, signorina Larner. Il più delle volte mi chiamano Goody Guester, oppure semplicemente Vecchia Peg.»

«Vecchia Peg. Che nome… interessante.»

La vecchia Peg pensò per un istante di spiegarle che la chiamavano così perché aveva una figlia che si chiamava nello stesso modo, ma era scappata e via dicendo. Però, rifletté, sarebbe già stato abbastanza difficile spiegare alla signora maestra in che modo si era trovata ad avere un figlio mezzo Nero. Perché darle l’impressione che la sua vita familiare fosse ancora più bizzarra?