Ting-ting-ting. Ma Alvin non si riposava mai? Non sapeva che laggiù a ponente il sole faceva ribollire il cielo, tingendolo di rosso prima di scomparire dietro gli alberi? Mentre scendeva il pendio verso la fucina, Peggy ebbe improvvisamente una gran voglia di mettersi a correre, di volare giù per la discesa sino alla fucina come aveva fatto il giorno in cui Alvin era nato. Quel giorno pioveva a dirotto, e la madre di Alvin era rimasta imprigionata su un carro coperto impantanato a metà del guado. Era stata Peggy a vederli, a scorgere in lontananza le loro fiamme vitali nell’oscurità della pioggia e del fiume in piena. Era stata Peggy a dare l’allarme, e ancora lei ad assistere al parto, vedendo i futuri di Alvin nella sua fiamma vitale, la fiamma vitale più luminosa che avesse mai visto o che le sarebbe mai accaduto di vedere in vita sua. Era stata Peggy a salvargli la vita staccandogli dal viso il cappuccio placentare; e sempre Peggy, usando pezzetti di quel cappuccio, a salvargli tante volte la vita nel corso degli anni. Se Peggy aveva potuto rinunciare a essere la fiaccola di Hatrack, non avrebbe mai potuto rinunciare a lui.
A metà discesa, tuttavia, si fermò. Che cosa le era saltato in mente? Non poteva andare da lui, non in quel momento, non ancora. Era lui che doveva venire da lei. Solo così avrebbe potuto diventare la sua maestra; solo in quel modo lei stessa avrebbe avuto l’opportunità di diventare qualcosa di più.
Peggy si voltò e riprese a camminare tagliando diagonalmente il pendio in direzione del pozzo. Aveva visto Alvin scavare quel pozzo — i due pozzi — e per una volta non era riuscita a difenderlo dal Distruttore quando questi era sopraggiunto. Ad attirare il nemico era stato lo stesso Alvin, con la sua rabbia e la sua voglia di distruggere, e quella volta, nonostante il cappuccio, Peggy era stata del tutto impotente. Aveva potuto solo osservarlo mentre egli si purificava dalla distruzione che si trovava nel suo cuore: e in tal modo aveva sconfitto, seppur temporaneamente, il Distruttore in agguato fuori di lui. Ora quel pozzo sorgeva come un monumento tanto ai poteri di Alvin quanto alla sua fragilità.
Peggy lasciò cadere nel pozzo il secchio di rame, e la corda cominciò a scorrere verso il basso, facendo girare vorticosamente la carrucola. Un tonfo attutito. Peggy attese qualche istante che il secchio si riempisse, quindi cominciò a tirarlo su. Arrivò pieno fino all’orlo. Peggy aveva avuto intenzione di versare l’acqua nel secchio di legno che aveva portato con sé, e invece si portò il secchio di rame alle labbra e bevve una lunga sorsata della fredda acqua che conteneva. Erano anni che voleva assaggiare quell’acqua, l’acqua che Alvin aveva domato la notte in cui aveva domato se stesso. Peggy l’aveva osservato terrorizzata per tutta la notte, e quando al mattino finalmente lui aveva riempito la buca scavata per ripicca, lei aveva pianto di sollievo. Sebbene quell’acqua non fosse salata, le sembrava ancora di sentire il gusto delle lacrime.
Ora il martello taceva. Come sempre, Peggy trovò immediatamente la fiamma vitale di Alvin senza nemmeno bisogno di pensarci. Stava uscendo dalla fucina e si dirigeva proprio in quella direzione. Sapeva che lei si trovava lì? No. Quando smetteva di lavorare, veniva sempre ad attingere l’acqua. Naturalmente Peggy non poteva voltarsi dalla sua parte, o quanto meno non prima di avere udito i suoi passi. Eppure, sebbene sapesse che stava arrivando e fosse in ascolto, non riuscì a udirlo; si muoveva in silenzio come uno scoiattolo tra i rami di un albero. Lo udì solo quando lui le rivolse la parola:
«Niente male come acqua, eh?»
Peggy si voltò di scatto. Troppo in fretta, troppo ansiosamente… Il secchio era ancora trattenuto dalla corda, per cui le sfuggì dalle mani, la schizzò d’acqua e ricadde rumorosamente nel pozzo.
«Sono Alvin, ricordate? Non volevo spaventarvi, signora… signorina Larner.»
«Stupidamente non ho pensato che il secchio fosse legato» disse lei. «Sono abituata alle pompe e ai rubinetti. A Filadelfia non ci sono molti pozzi come questo.»
Così dicendo, si voltò nuovamente verso il pozzo per tirare su il secchio caduto.
«Lasciate fare a me» si offrì lui.
«Non importa. Ce la faccio benissimo da sola.»
«Ma perché dovreste farlo voi, signorina Larner, se sono felice di aiutarvi?»
Peggy si fece da parte e lo guardò azionare la manovella con una mano sola, con la stessa facilità di un bambino con una corda per saltare. Il secchio quasi balzò fuori dal pozzo. Lei gettò lo sguardo nella sua fiamma vitale, solo una rapida occhiata, per capire se Alvin voleva farsi bello ai suoi occhi. Ma così non era. Alvin non poteva vedere quanto fossero poderose le sue spalle, o come i muscoli gli guizzassero sotto la pelle a ogni movimento del braccio. Non poteva nemmeno vedere la tranquillità del proprio viso, la stessa pacata, intrepida compostezza che si può scorgere nel muso di un cervo adulto. In lui non c’era traccia d’inquietudine. Alcune persone avevano lo sguardo in continuo movimento, come se fossero perennemente all’erta contro qualche pericolo, o magari in cerca di prede. Altri tenevano lo sguardo fisso, concentrato su ciò che facevano. Ma lo sguardo di Alvin aveva un che di pacatamente distaccato, come se egli non nutrisse un particolare interesse in ciò che lui stesso o gli altri stavano facendo, ma invece fosse assorbito da un suo dialogo interiore che nessun altro poteva udire. Di nuovo le echeggiarono alla mente le parole dell’Elegia di Gray.
Povero Alvin. Quando avrò finito con te, non vi saranno più fresche valli isolate. Ripenserai al tuo apprendistato come all’ultimo periodo tranquillo della tua vita.
Con una mano sola, Alvin afferrò per il bordo il pesante secchio pieno d’acqua e lo inclinò senza sforzo per versare l’acqua nel secchio di legno che reggeva con l’altra mano; il tutto con la stessa facilità di una massaia che travasa la panna da una tazza all’altra. Che cosa succederebbe se quelle mani stringessero le mie braccia con la stessa noncuranza? Forte com’è, potrebbe anche spezzarmele. Mi sentirei imprigionata nella sua stretta irresistibile? Oppure m’incenerirebbe al calor bianco della sua fiamma vitale?
Peggy tese la mano verso il secchio.
«Permettetemi di portarvelo fino a casa, signora… signorina Larner.»
«Non è necessario.»
«So di essere tutto sporco, signorina Larner, ma posso portarvelo fino alla porta e metterlo dentro senza insudiciare nulla.»
Possibile che con questo travestimento io appaia così mostruosamente riservata da farti pensare che io rifiuti il tuo aiuto per eccessiva schizzinosità? «Volevo solo dire che non intendevo farti lavorare ancora. Per oggi mi hai già aiutato abbastanza, credo.»
Egli la guardò fisso negli occhi. Quell’espressione pacifica adesso era scomparsa. Anzi, nel suo sguardo passò un lampo di rabbia. «Se avete paura che voglia esser pagato, non preoccupatevi. E se questo dollaro è vostro, potete riprendervelo. Non lo voglio.» Così dicendo, le porse la moneta che Whitley Physicker gli aveva lanciato dalla carrozza.
«Ho espresso la mia riprovazione al dottor Physicker. Mi pareva un insulto che egli presumesse di pagarti per il servizio che mi avevi reso per cavalleria. Che lui si sia comportato come se gli eventi di stamattina valessero esattamente un dollaro è stato umiliante per entrambi.»
Lo sguardo di Alvin si raddolcì.
Peggy continuò con la voce della signorina Larner. «Ma devi perdonare il dottor Physicker. La ricchezza lo fa sentire a disagio, ed egli è sempre in cerca di occasioni per farne parte agli altri. Però non ha ancora imparato a farlo con il tatto necessario.»