Una volta in corridoio, andò quasi a sbattere contro una donna. Questa gettò un grido. A Cavil fu necessario un istante per riconoscere sua moglie Dolores. Poiché di solito quest’ultima usciva di camera sua a ore fisse, Cavil a volte si scordava che sua moglie era in grado di camminare. Semplicemente, non era abituato a vederla scendere dal letto e muoversi per la casa senza un paio di schiave a cui appoggiarsi.
«Zitta, Dolores, sono io, Cavil.»
«Ah, Cavil, che c’è? Che cosa sta succedendo là fuori?» Gli si era aggrappata al braccio, e lui non poteva muoversi.
«Non credi che saprei dirtelo se tu mi lasciassi andare?»
Dolores gli si aggrappò ancor più convulsamente. «Non farlo, Cavil! Non andare là fuori da solo! Potrebbero ucciderti!»
«E perché dovrebbero farlo? Non sono forse un padrone giusto? Il Signore non vorrà proteggermi?» Ciononostante, Cavil fu attraversato da un brivido di paura. Possibile che fosse scoppiata la rivolta che ogni padrone di schiavi temeva, ma di cui nessuno osava parlare? In quel momento si rese conto che in realtà quel pensiero si agitava in un angolo della sua mente dal momento in cui si era svegliato. Ora Dolores l’aveva tradotto in parole. «Sono armato» disse Cavil. «Non darti pensiero per me.»
«Ho paura» piagnucolò Dolores.
«Lo sai di che ho paura io? Che tu possa inciampare al buio e farti male sul serio. Torna a letto, in modo che io non debba preoccuparmi anche per te mentre vado a vedere che cos’è successo.»
Qualcuno cominciò a picchiare alla porta.
«Padrone! Padrone!» gridò uno schiavo. «Abbiamo bisogno di voi, padrone!»
«Hai visto? È Volpe Grassa» esclamò Cavil. «Se fosse scoppiata una rivolta, amor mio, l’avrebbero immediatamente strangolato»
«E questo dovrebbe rassicurarmi?» chiese lei.
«Padrone! Padrone!»
«A letto» ordinò Cavil alla moglie.
Per un istante la mano di lei si posò sul freddo e duro metallo del fucile. Poi Dolores si voltò e, come un pallido fantasma grigiastro nell’oscurità del corridoio, scomparve fra le ombre verso la sua camera.
Volpe Grassa era così agitato che riusciva a stento a star fermo. Come sempre, Cavil lo guardò con disgusto. Sebbene avesse bisogno di lui per sapere chi fra gli schiavi parlasse a sproposito dietro le sue spalle, non era certo tenuto a trovarlo simpatico. Salvare l’anima di un Nero di sangue puro era un’impresa assolutamente disperata. Erano tutti nati nella più profonda corruzione, come se avessero abbracciato il peccato originale e l’avessero succhiato insieme al latte delle loro madri. Con tutta la malvagità di cui erano impregnate, c’era da meravigliarsi che quel latte non fosse nero. Cavil avrebbe voluto soltanto che il processo d’immettere nelle vene dei Neri una quantità sufficiente di sangue bianco (in modo che valesse la pena tentare di salvare le loro anime) non fosse così lento.
«È la piccola Salamandy, padrone» disse Volpe Grassa.
«Il bambino sta nascendo in anticipo?» chiese Cavil.
«Oh, no» esclamò Volpe Grassa. «No, non è il bambino, no, padrone. Oh, per favore venite giù. Non è il fucile che vi serve, padrone. È il vostro coltello da caccia credo, quello grande.»
«Lascia che sia io a decidere che cosa mi serve» sbottò Cavil. Se un Nero ti consiglia di metter via il fucile, ebbene quello è il momento di tenerselo ancora più stretto, pensò.
Cavil si avviò a lunghi passi verso gli alloggi delle schiave. Ormai era abbastanza chiaro per vedere dove metteva i piedi e individuare così i Neri che scivolavano tra le baracche, guardandolo fisso con quegli occhiacci bianchi. Quegli occhi erano sicuramente un dono di Dio, altrimenti al buio uno non avrebbe avuto modo di vederli.
Davanti alla porta della capanna di Salamandy si era riunito un gruppetto di donne. Vicina com’era al parto, la ragazza era stata esentata dal lavoro nei campi, e dormiva su un letto con un buon materasso. Nessuno avrebbe potuto dire che Cavil Planter non si prendesse cura delle sue fattrici.
Una delle donne — nell’oscurità non riusciva a vederla bene, ma dalla voce doveva essere Coppy, quella battezzata col nome di Agnes, ma che si era scelta quel soprannome perché gli altri dicevano che somigliava a un copperhead, un serpente a sonagli — insomma, una di loro esclamò: «Ah, padrone, stavolta dovete proprio lasciarci sgozzare un pollo!»
«Nessun abominio pagano sarà mai praticato in questa piantagione» disse risolutamente Cavil. Ma in quel momento capì che Salamandy era morta. Meno di un mese al parto, ed era morta. Si sentì trafiggere il cuore. Un bambino di meno. Un’altra fattrice perduta. Ah, Signore, abbi pietà di me! Come posso servirti adeguatamente, se mi porti via la mia migliore concubina?
Nella stanza c’era un puzzo insopportabile, per via degl’intestini che le si erano vuotati nelle convulsioni dell’agonia. Si era impiccata con il lenzuolo. L’uomo si maledisse per averglielo lasciato. Visto che Salamandy era incinta del suo sesto bambino mezzo Bianco, Cavil le aveva generosamente concesso di coprire il materasso con un lenzuolo, e lei gli si era rivoltata contro, ringraziandolo in quel modo.
I piedi della ragazza penzolavano a non più di un palmo da terra. Probabilmente era salita sul letto per poi saltar giù. In quel momento, mentre il cadavere dondolava lievemente per lo spostamento d’aria dovuto all’ingresso di Cavil nella stanza, i suoi piedi urtarono contro il fianco del letto. A Cavil non ci volle più di qualche istante per capire che cosa ciò significasse. Poiché non si era rotta l’osso del collo, per morire soffocata le era stato sicuramente necessario un sacco di tempo e per tutto quel tempo il letto si trovava solo a qualche pollice di distanza, e lei lo sapeva. Per tutto quel tempo, avrebbe potuto salvarsi la vita in qualsiasi momento. Avrebbe potuto cambiare idea. Quella donna aveva voluto morire. No, aveva voluto uccidere. Assassinare il bambino che portava in grembo.
Una nuova prova di quanto i Neri fossero pervicaci nella loro malvagità. Piuttosto che dare alla luce un bambino mezzo Bianco con una speranza di salvezza, aveva preferito impiccarsi. Dunque non c’era limite alla loro perversione? Com’era possibile per un uomo timorato di Dio salvare simili creature?
«Si è ammazzata, padrone!» esclamò la donna che gli aveva rivolto la parola in precedenza. Cavil si voltò a guardarla, e ormai la luce era sufficiente per fargli vedere che si trattava proprio di Coppy. «Se non sgozziamo un pollo per lei, domani notte sicuramente ammazzerà qualcun altro!»
«Mi dà la nausea, pensare che possiate usare la morte di questa povera donna come scusa per arrostirvi un pollo senza motivo. Salamandy avrà una sepoltura come si deve, e la sua anima non farà del male a nessuno, anche se come suicida brucerà sicuramente in eterno fra le fiamme infernali.»
A queste parole, Coppy lanciò un grido disperato. Le altre donne si unirono alle sue lamentazioni. Cavil ordinò a Volpe Grassa di mettere insieme una squadra di giovani maschi e di andare a scavarle una fossa… non nel cimitero degli schiavi, si capisce, poiché in quanto suicida non poteva riposare in terra consacrata. Laggiù tra gli alberi, senza alcun segno di riconoscimento, come si addiceva a una bestia che aveva tolto la vita alla sua stessa prole.
Salamandy venne sepolta prima del tramonto. Poiché era morta suicida, Cavil non poteva certo chiedere al pastore battista o al prete cattolico di venire a dare il loro contributo. In realtà aveva una mezza intenzione di pronunciare l’orazione funebre egli stesso, se non si fosse dato il caso che quella sera egli avesse già invitato a cena un predicatore itinerante. Il predicatore arrivò in anticipo, e gli schiavi lo rimandarono al boschetto, dove trovò la sepoltura in corso e si offrì di dare una mano.