Выбрать главу

— È uscita poco fa. — La ragazza mi ha lanciato uno sguardo affettato, poi ha riportato gli occhi sul fattorino.

— Ha idea di dove sia andata? — ha domandato lui.

— Mi pare di averle sentito dire che sua madre voleva fare una passeggiata sulla spiaggia.

— Grazie — ho mormorato, avviandomi. Nel superarla, ho sentito un odore che solo più tardi ho riconosciuto: sapone da bucato. Mi sono diretto verso l’ingresso del salotto, sperando che il mio passo non fosse incerto come temevo. Quei due potevano anche pensare che fossi ubriaco.

— Vuole lasciare un messaggio, signore? — La domanda del fattorino è rimasta sospesa nell’aria alle mie spalle.

— No — ho detto, alzando la destra nel tentativo di un cenno indifferente. Naturalmente, non potevo lasciare alcun messaggio che avesse un senso per Elise.

Superata a passi incerti la soglia del salotto, ho preso a sinistra e mi sono incamminato verso il lato nord dell’hotel. “Dio, mi sono scordato di dargli la mancia” ho pensato; poi ho ricordato di avere solo le mie due banconote.

Ho fissato la scala per il seminterrato, chiedendomi (il che indica quale fosse il mio stato mentale) che fine avesse fatto il cartello del salone della Storia. Ho svoltato nel corridoio e superato il piccolo ascensore, che quindi esisteva anche a quei tempi. Il giovane addetto all’ascensore mi ha fissato con aria perplessa; il mio aspetto doveva essere ancora terribile. Le mie gambe continuavano a muoversi, ma era come se appartenessero a qualcun altro. Ho raggiunto la porta, l’ho spalancata, e sono uscito.

Il gelo dell’aria marina mi ha fatto rabbrividire mentre scendevo i gradini con movimenti cauti, tenendomi aggrappato alla ringhiera. Scoprire che Elise stava facendo una passeggiata sulla spiaggia mi aveva dato un senso di sicurezza, in parte perché non sarei stato costretto a un primo incontro nella sua stanza, e in parte perché quella circostanza restituiva una prospettiva quasi normale alla situazione: avevo letto del suo amore per le passeggiate, e la realtà dei fatti confermava le informazioni in mio possesso.

Ma il senso di sicurezza era già svanito. Le probabilità di imbattermi in lei sulla spiaggia erano terribilmente remote, E sentivo che quella era la mia ultima occasione. Se non l’avessi incontrata subito, Elise sarebbe andata a cena con qualcuno, poi forse avrebbe fatto un’ultima prova, e poi si sarebbe ritirata nella sua stanza.

Mi sono avviato con andatura incerta sul sentiero, sotto una fila di alberi dai rami cascanti. Sino a quel momento non avevo notato i molti segni della pioggia caduta da poco. Ho superato i campi da tennis, deserti, e raggiunto il lungomare. Adesso il sole era all’orizzonte, sepolto per tre quarti nell’oceano, di un colore arancio acceso. Nubi scure erano ferme sopra la remota penisola, coi bordi inferiori incendiati dalla luce del tramonto. Sul lungomare erano accesi grossi globi elettrici montati su pali di metallo; sembravano una serie di pallide lune. Su una panchina di legno sedeva un uomo che fumava un sigaro, con un cilindro nero in testa. “E se fosse Robinson?” mi sono chiesto. “Se la tenesse sempre d’occhio?” Mi avrebbe impedito di parlarle anche se l’avessi vista.

Camminando, scrutavo la spiaggia davanti a me, e sulla sinistra. A differenza di quanto ricordavo, non era più ampia di una quindicina di metri. “E se lei non ci fosse?” si è chiesto il mio cervello. “E se ci fosse?” ha ribattuto un’altra parte della mia mente. Comunque, ho continuato a camminare (ammesso che il mio modo di procedere fosse davvero un camminare), cercando con gli occhi un segno della sua presenza.

Dopo un po’, ho dovuto fermarmi a riposare. Ho girato la schiena al vento, che non era particolarmente forte ma molto freddo. E sono stato colpito dalla visione dell’hotel, del gigantesco profilo illuminato che si stagliava contro il cielo come un castello uscito da una fiaba.

All’improvviso, ho avuto la gelida premonizione di essermi allontanato troppo. Ho intuito che la mia capacità di presa sul 1896 si limitava all’hotel, e che adesso avrei cominciato a perdere terreno, a essere inesorabilmente risucchiato nel 1971. Ho chiuso gli occhi, lottando con la minaccia del ritorno. Solo dopo lunghi attimi ho avuto il coraggio di riaprire gli occhi e guardare l’hotel. Era sempre lì, intatto.

Quando ho riportato lo sguardo sulla spiaggia, l’ho vista.

Come potevo sapere che fosse proprio lei? Era solo una minuscola figurina che si muoveva in modo quasi impercettibile contro lo sfondo blu scuro dell’acqua. In circostanze diverse, non sarei mai riuscito a identificarla avendo a disposizione indizi così minimi. Però sapevo che doveva essere Elise.

La sua prima apparizione aveva scatenato un brivido che mi aveva gelato il sangue, che aveva fatto sobbalzare il mio cuore. Adesso, la mia unica sensazione era l’atroce timore che quell’istante non potesse durare; che dopo averla raggiunta, qualcosa mi riportasse al tempo dal quale ero arrivato. Il timore che se anche fossi riuscito ad accostarla, lei avrebbe reagito con disgusto alla mia presunzione. Contro ogni logica, avevo sperato che il vederla mi avrebbe finalmente ispirato fiducia. Invece stava accadendo l’opposto. La fiducia in me stesso era al minimo, mentre me ne stavo lì a chiedermi cosa potessi dire per convincerla di non trovarsi di fronte a un folle.

La mia testa pulsava lentamente, il mio intero corpo era gelato. La guardavo camminare sulla riva, tenendo sollevata la lunga gonna. Si muoveva con una lentezza da sogno; come se, nell’attimo in cui l’avevo vista, il tempo si fosse di nuovo alterato, e i secondi si fossero estesi sino a diventare minuti, e i minuti, ore. Come se il tempo 1 non valesse più. Per l’ennesima volta mi trovavo all’esterno del regno di orologi e calendari, condannato a guardarla avanzare verso me per l’eternità, senza mai raggiungerla.

In un certo senso, era un sollievo, perché non avevo idea di cosa dirle. In un senso più ampio, però, era una tortura pensare che non ci saremmo mai realmente incontrati. Di nuovo, mi è parso di essere uno spettro. Ho immaginato che lei mi raggiungesse, mi superasse, senza nemmeno girare gli occhi verso me, perché per lei non esistevo.

Non ricordo di preciso in quale istante mi sono avviato verso lei con l’intenzione di intercettarla. Mi sono accorto di muovermi quando gli stivali hanno cominciato a scivolare sulla piccola discesa erosa dall’acqua, poi a calpestare la sabbia bagnata, in direzione dell’oceano. A rendere quell’attimo ancora più vago, più onirico, c’era la nebulosità del tramonto sull’orizzonte frastagliato di nubi, sulla cima di Punta Loma. La mia vista tendeva in continuazione a diventare confusa; e a tratti, mentre procedevamo l’uno verso l’altra come figure in un paesaggio fantasma, Elise scompariva. Mi è tornato alla mente il soldato di Owl Creek Bridge che cammina verso la sua amata ma non la raggiunge mai, perché i suoi movimenti sono solo l’ultima, vivida illusione dell’agonia. Nella stessa maniera, con lentezza infinita, Elise McKenna e io ci siamo avvicinati l’una all’altro. Le onde si frangevano a riva con un frastuono assordante, come l’urlo di un vento lontano.

Non so dire in che momento lei si sia accorta di me. Ho solo capito, al di là di ogni dubbio, che mi aveva visto quando si è fermata ed è rimasta immobile in riva all’acqua, stagliandosi contro l’ultima, fioca luce radente del tramonto. I suoi occhi erano puntati su me, lo sapevo, per quanto non riuscissi a vedere gli occhi o il volto o a immaginare con quale stato d’animo lei stesse vivendo il mio arrivo. Era impaurita? Non avevo previsto che la mia apparizione potesse provocarle allarme. Il nostro incontro mi era parso così inevitabile che non avevo mai riflettuto su quella eventualità. Vi ho pensato in quell’istante. Se lei si fosse messa a urlare, se fosse scappata, cosa avrei fatto? Cosa “potevo” fare?

Alla fine, mi sono fermato davanti a lei, e ci siamo fissati in silenzio. Era più piccola di quanto mi aspettassi. Doveva quasi piegare la testa all’indietro per guardarmi in faccia. E io non vedevo il suo volto perché aveva la schiena rivolta al tramonto. Perché era così ferma, così immobile? Mi ha sollevato scoprire che non urlava per chiedere aiuto, e non fuggiva. Ma perché non reagiva? Possibile che fosse raggelata dalla paura? L’idea mi innervosiva.