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Ha sospirato. — Ho sempre cercato di frenare la mia predilezione per l’occulto perché ritenevo che, in quanto donna, avrebbe teso a logorare la mia forza di volontà, a rendere suggestionabile una mente che doveva essere forte e consapevole; in breve, a rendermi vulnerabile.

“Eppure posso attribuire il mio comportamento con lei solo a quella propensione. Sento, in maniera irresistibile, di essere coinvolta in un mistero ineffabile. Un mistero che mi turba più di quanto io riesca a dire, ma che non posso rifiutare.” Un sorriso timido. “Ho detto almeno una parola che abbia senso?” mi ha chiesto.

— Ha tutto senso, Elise — le ho risposto. — Io capisco, e ho un profondo rispetto per ogni sua parola.

Il suo sospiro è stato quello di una persona che si sente togliere dalle spalle un grosso peso. — È già qualcosa, se non altro — ha detto.

— Elise, potremmo sederci nella sua carrozza ferroviaria a parlare? — ho chiesto. — Ci stiamo avvicinando a verità fondamentali. Non dobbiamo fermarci adesso.

Questa volta, lei non ha esitato. La sua partecipazione mi era più che chiara. — Sì, sediamoci a parlare. Dobbiamo andare oltre il mistero.

Superata la macchia di alberi e alti cespugli, ci siamo diretti al binario morto. Davanti a noi c’era un piccolo edificio bianco, sormontato da una cupola in miniatura. Più avanti c’erano i binari, delimitati da un doppio filare di alberi. Dopo un’altra macchia di vegetazione, abbiamo preso a sinistra. Raggiunto il vagone, ho aiutato Elise a salire sulla piattaforma posteriore.

Mentre apriva la porta, Elise ha detto, non in tono di scusa, ma solo per informarmi in maniera semplice di un fatto semplice: — È più adorno ed elaborato di quanto dovrebbe essere. Lo ha progettato per me il signor Robinson. Io mi sarei accontentata di un arredo più sobrio.

Il suo commento non mi ha preparato allo spettacolo che mi si è parato davanti agli occhi. Devo essere rimasto a bocca aperta per parecchi secondi. — Wow — ho commentato alla fine, in modo per nulla vittoriano.

Mi sono voltato alla risata dolce di Elise. — Wow? — ha ripetuto lei.

— Sono colpito.

E lo ero sul serio. Elise mi ha accompagnato in un giro turistico del vagone, e a me è parso di trovarmi in presenza di uno splendore regale. Pareti a pannelli e soffitti intarsiati. Tappeti altissimi sul pavimento. Poltrone iperimbottite e divani con grandi cuscini morbidi, il tutto in principesche sfumature di verde e oro. Lampade in stile marittimo sospese su cardani, per non risentire degli ondeggiamenti del vagone. Tendine con finiture in oro sul fondo. La voce dei soldi al massimo del volume, se non proprio del gusto. Per fortuna, Elise mi aveva detto che era Robinson il responsabile dell’arredamento.

Dopo il salotto comune della carrozza c’era il salotto privato di Elise. Lì, il rigoglio dell’arredo diventava quasi soffocante. Il tappeto era color arancione, le pareti e il soffitto istoriati; il soffitto era color oro chiaro, le pareti di un porpora intenso, identico a quello del divano e delle poltrone. Lungo una parete erano disposti uno scrittoio e una sedia a schienale rigido, con una piccola lampada che pendeva dall’alto; il paralume aveva la stessa tinta del soffitto. Sul fondo c’era una porta a pannelli di legno, chiara, con una finestrella coperta da una tendina. Se mai avevo frainteso l’atteggiamento di Robinson nei confronti di Elise, adesso non potevo più avere dubbi. Per l’impresario, lei era una regina; destinata, o così si sperava, a regnare sola.

Mi chiedo se la sensazione abbia iniziato a manifestarsi davanti alla porta aperta della sua camera da letto.

Trovo difficile credere che un’ovvia evocazione come la vista del suo grande letto di ottone possa essere stata decisiva in un momento simile, dopo tutto ciò che ci eravamo detti sul reciproco bisogno di capire.

Ma forse, è stato proprio quel simbolo così chiaro dell’attrazione che proviamo l’uno per l’altra a farci piombare in un silenzio pesante. Fianco a fianco, immobili, siamo rimasti a scrutare le ombre del vagone.

Molto lentamente, io ho cominciato a girarmi verso di lei; e, come costretta dallo stesso impulso non detto, anche Elise si è voltata. Ci siamo trovati faccia a faccia. È stato perché, finalmente, eravamo soli, lontani dalla minaccia di interventi esterni? Non lo so. Posso soltanto assicurare che fra noi, veloce e irresistibile, si è andata creando un’aura di emozioni.

Ho appoggiato le mani sulle sue spalle. Lei ha trattenuto il respiro: un’ammissione dei suoi timori, forse anche del suo bisogno. Sempre lentamente, molto lentamente, l’ho attirata a me e, chinan’domi, ho premuto la fronte contro la sua. Ho sentito il profumo del suo respiro tremulo scaldarmi le labbra, e mai in vita mia ho conosciuto un calore tanto fragrante. Lei ha pronunciato il mio nome, con voce smorzata, quasi timorosa.

Scostando un poco la testa all’indietro, ho lasciato risalire i palmi delle mani (sempre lentamente, lentamente), le ho appoggiate ai lati del suo viso, e le ho spinto indietro la testa con tutta la dolcezza possibile. I suoi occhi si sono tuffati nei miei. Elise mi stava scrutando per l’ultima volta, con un bisogno disperato, implorante; quasi sapesse che il suo destino era ormai scritto, avesse o no trovato una risposta.

Chinandomi, l’ho baciata dolcemente sulle labbra. Lei ha tremato, e il suo respiro è fluito nella mia bocca, come vino caldo.

Poi le mie braccia l’hanno circondata. L’ho stretta a me mentre mormorava, in un tono quasi desolato: — Vorrei tanto sapere cosa sta succedendo. Dio, quanto vorrei saperlo.

— Ti stai innamorando.

La sua risposta è stata debole, vinta. — Forse è già accaduto.

— “Elise”. — Ho serrato più forte le braccia attorno a lei, col cuore impazzito. — Dio, ti amo, Elise.

Il nostro secondo bacio è stato colmo di passione. Le sue braccia mi hanno circondato la schiena, stringendomi con una forza che mi ha stupefatto.

Poi lei ha avvicinato la fronte al mio petto, e le parole le sono uscite a cascata dalle labbra. — Recitare è l’unica vita che io abbia mai conosciuto, Richard. Ci sono cresciuta. Credevo che per me fosse l’unica via possibile, che se avessi concentrato tutti i miei sforzi su quello, altre cose sarebbero venute da sole; e che, se non fossero venute, non potessero essere importanti. Ma lo sono, lo sono. So che lo sono. Provo un senso di “bisogno” così forte… Il bisogno di liberarmi di… che termine devo usare?… Forza di volontà? Risorse interiori? Tutto ciò che ho impiegato una vita a costruire in me stessa. Qui, con te, adesso, provo il desiderio di essere debole, di darmi completamente, di lasciare che un’altra persona si prenda cura di me, di liberare la donna prigioniera della mia mente, la donna che ho tenuto chiusa per tutti questi anni perché pensavo che fosse giusto così. Voglio lasciarla libera, Richard. Voglio che sia protetta.

Un gemito. “Buon Dio, non riesco a credere che queste parole escano dalle mie labbra. Lo sai quale profonda metamorfosi hai prodotto in me in pochissimo tempo? Lo sai? Non c’è mai stato nessuno. Mai. Mia madre mi ha sempre raccontato che un giorno avrei sposato un uomo ricco, un nobile. Io però non le ho mai creduto. Dentro di me, ho sempre saputo che non ci sarebbe stato nessuno nella mia vita. E invece, adesso ci sei tu. Così all’improvviso. Mi hai rubato la forza di volontà, la decisione, il respiro, Richard. E, temo, il cuore.”

Si è scostata, mi ha guardato. Il suo visino adorabile avvampava; negli occhi brillavano le lacrime che stavano per scendere. — Lo dirò. “Devo” dirlo — ha mormorato.

In quello stesso secondo, è successa la cosa più insopportabile che potesse succedere. Ci illudevamo di essere completamente soli? Al sicuro dalla minaccia di interventi esterni?

Qualcuno ha bussato alla porta in fondo al vagone; e di tutte le voci possibili dell’intero universo, è stata quella di William Fawcett Robinson a urlare: — Elise!