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L’impatto su lei è stato pesante. Non appena ha udito quella voce, tutte le ragioni che per tanti anni l’avevano spinta a tenersi distaccata dagli uomini sono tornate a farsi sentire. Si è sciolta dal mio abbraccio con un gemito stupefatto e si è avviata verso il fondo della carrozza. La sua espressione era scioccata.

— Non rispondere — ho detto io.

Parlavo ai sordi. Quando Robinson ha gridato di nuovo il suo nome, Elise è corsa a uno specchio alla parete. Davanti alla propria immagine, riflessa, ha emesso una specie di singhiozzo. Ha portato i palmi delle mani alle guance, come per nascondere il rossore. Dopo essersi guardata attorno, si è avvicinata a un ripiano, ha versato un po’ dell’acqua di una brocca in un catino, vi ha immerso le dita, ha premuto le mani sul viso. “È compromessa”, ho pensato io; e, incredibilmente, lo credevo davvero. Ero diventato il personaggio di un melodramma vittoriano, forse assurdo ma anche troppo reale e inquietante: una donna ammirevole finisce coinvolta in una trappola intollerabile, una trappola che minaccia, come si usava dire, di “lacerare il tessuto” della sua posizione sociale. E non era divertente; non era affatto divertente. Immobile, l’ho guardata asciugarsi le guance, a labbra strette: non so se per ira, o se per impedire che tremassero.

Robinson ha urlato: — Lo so che sei lì, Elise!

— “Esco fra un attimo” — ha risposto lei, in un tono così freddo da raggelarmi. Mi ha superato senza una parola e si è avviata nel salotto. Io mi sono incamminato alle sue spalle, muto. Robinson doveva averci seguiti. Era l’unica spiegazione possibile.

Ero a metà del salotto quando mi sono chiesto se Elise non preferisse che io non mi facessi vedere. Ma è stato solo un attimo. Se Robinson ci aveva tenuti sotto controllo, la mia assenza avrebbe peggiorato la situazione. E del resto (il mio spirito di ribellione si è fatto sentire), che diritto aveva quell’uomo di costringermi a nascondermi? Ho ripreso a camminare, ed ero alle spalle di Elise quando lei ha aperto la porta.

Il viso di Robinson era una maschera di odio così intenso che io ho provato una fitta di paura. Se aveva un revolver nella tasca della giacca, ero finito. Mi è balenato alla mente un titolo di giornale: IMPRESARIO DI UNA FAMOSA ATTRICE UCCIDE UN UOMO A COLPI DI PISTOLA. O magari UCCIDE L’AMANTE DELL’ATTRICE?

— Penso sia meglio che tu vada a riposare — ha detto Robinson a Elise, con voce bassa, tremante.

— Mi hai seguita? — ha ribattuto lei.

— Non è il momento di discutere — ha risposto Robinson, a labbra strette.

— Io sono legata a lei come attrice, non come suo stuoino, signor Robinson — ha detto lei, in tono talmente sdegnato e aristocratico che io mi sarei sentito morire, se si fosse rivolta a me. — “Non cerchi di pulirsi gli stivali sul mio corpo”. — Eccola, in piena forza: la vocazione di donna ribelle che Elise mi aveva spiegato con estrema pazienza, e che adesso aggrediva Robinson come vetriolo.

Robinson è impallidito a quelle parole, ammesso che il suo volto potesse diventare più pallido di ciò che era. Senza ribattere, si è girato e ha sceso gli scalini della piattaforma. Elise è uscita e io l’ho seguita. Per diversi secondi sono rimasto a guardarla chiudere a chiave la porta; poi mi è venuto in mente che un gentiluomo l’avrebbe chiusa per lei. Ma era troppo tardi; Elise stava scendendo i gradini davanti a me. Robinson le ha teso la mano, ma lei lo ha ignorato. Il suo viso era duro, risentito.

Quando sono arrivato a terra, Robinson mi ha fissato con tanta velenosità negli occhi da farmi quasi indietreggiare. — Signor Robinson… — ho cominciato a dire.

— La smetta, signore — mi ha interrotto lui con un ruggito — o dovrò prendere provvedimenti. — Non so di preciso a cosa alludesse, ma era chiaro che stava pensando alla violenza fisica.

Ha guardato Elise e teso il braccio. Mio Dio, l’occhiata che lei gli ha scoccato! Sarebbe stata degna dell’ira sovrannaturale di una dea. — Mi accompagnerà il signor Collier — ha detto Elise.

Le guance di Robinson si sono irrigidite a un punto tale che una palla ci sarebbe rimbalzata sopra. I suoi occhi, già di per sé sporgenti, sembravano minacciare di schizzare fuori dalle orbite. In vita mia, non ho mai visto un uomo così furibondo. I muscoli delle mie braccia si sono irrigiditi automaticamente, e ho stretto le mani a pugno, preparandomi a difendermi. Non fosse stato per il cieco rispetto che Robinson portava a Elise, sono certo che ci sarebbe stata una scazzottata a sangue.

Invece, l’impresario ha girato bruscamente sui tacchi e si è avviato verso l’hotel a passi lunghi, rabbiosi. Io non ho porto il braccio a Elise; ho preso il suo e ho sentito che tremava. Sapevo che lei non voleva parlare, così sono rimasto zitto, stringendo il suo braccio in una morsa salda, tenendo dietro ai suoi passi irrequieti, girando di tanto in tanto la testa a guardare il pallore esangue del suo volto.

Non abbiamo detto nulla finché non siamo arrivati alla porta della sua stanza. Lì, lei si è voltata a guardarmi. Ha tentato di sorridere, ma è riuscita solo a fare una smorfia.

— Mi spiace per quello che è successo, Elise — ho detto.

— Non hai niente di cui preoccuparti — ha risposto lei. — Ha fatto tutto Robinson. Si sta comportando in maniera abietta. — Ha snudato i denti, dandomi per un attimo l’impressione (assai sorprendente, devo ammetterlo) di una tigre nascosta sotto l’apparente calma del suo normale comportamento. — Che impudenza — ha borbottato. — Non gli permetterò di darmi ordini come gli pare.

— In effetti ha un atteggiamento da monarca assoluto — ho detto, nel tentativo di alleggerire l’atmosfera.

Lei non ha accettato il tentativo. Ha emesso uno sbuffo. — Ci vorrebbe un’epidemia per farne un re.

La sua frase mi ha strappato un sorriso. Elise si è irrigidita. Per un attimo, immagino, ha pensato che ridessi di lei; poi ha capito che non era così, ed è riuscita a sua volta a sorridere, anche se senza il minimo divertimento. — Sono sempre stata la sua stella più malleabile, e la più proficua — ha detto. — Non ha nessuna ragione di comportarsi in quel modo con me. Come se tra noi ci fosse un contratto di matrimonio, non di lavoro. — Un altro sbuffo. — In effetti, qualcuno ha pensato che noi due, in segreto, siamo sposati — ha aggiunto. — E lui non ha mai cercato di convincere nessuno del contrario.

Ho preso le sue mani nelle mìe e le ho strette dolcemente, sorridendole. Stava tentando, lo vedevo, di controllare l’ira, ma chiaramente Robinson l’aveva colpita troppo nel profondo, e la rabbia non si placava. — Be’, si sbaglia — ha detto. — Se ritiene scandaloso e di cattivo gusto ciò che mi sta succedendo, è perché è incapace di capire. Il cuore è mio. La vita è mia. — Un respiro tremulo. — Baciami un’altra volta e poi lasciami andare — ha detto.

Poteva anche essere una richiesta, ma sembrava più un ordine. Non ho fatto discussioni. Mi sono chinato e ho poggiato le labbra sulle sue. Elise non ha reagito in alcun modo, e io mi sono chiesto se il suo ordine fosse più una sfida personale nei confronti di Robinson che un vero desiderio di un mio bacio.

Poi, come per magia, è sparita, e io mi sono trovato a fissare la porta chiusa. Non avevamo preso accordi per rivederci. Questo significava che non voleva più vedermi? Non potevo crederlo, dopo ciò che era successo nel vagone ferroviario. Però il mio senso di fiducia non era nemmeno alle stelle.

Con un sospiro, ho lasciato il salotto comune e sono uscito nel cortile aperto. Raggiunte le scale esterne, le ho salite fino al terzo piano e alla mia stanza. Ho aperto la porta, sono entrato, ho tolto giacca e stivali, e mi sono coricato sul letto. Solo a quel punto mi sono reso conto di essere stanchissimo. Grazie a Dio, non eravamo venuti alle mani. Robinson mi avrebbe ucciso.