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E non era ancora disposto a fare la conoscenza del dottor Pitman.

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Appena arrivato a casa si lavò la faccia con acqua fredda e si sciacquò la bocca per eliminare il sapore amaro della bile.

Mancava ancora mezz’ora a mezzogiorno, e tanto la casa che l’arredo avevano un che di estraneo. Dapprima Jerome incolpò l’insonnia per questa sensazione, o il fatto di trovarsi in casa in un’ora insolita, ma poi capì che era dovuta alla sua nuova, forzata concezione dell’universo. Il giorno prima si era dovuto convincere che la combustione umana spontanea era una realtà, ma si trattava di una conoscenza teorica, di un dato di fatto che era rimasto isolato nella mente. Adesso ne era rimasto direttamente coinvolto per esperienza personale, e doveva risolvere il problema di adattarsi a un mondo in cui potevano verificarsi simile fenomeni.

C’era inoltre da tenere in considerazione un significativo mutamento nel fenomeno stesso. Fino a quel giorno non si erano scoperti legami o fattori comuni fra un caso e l’altro, pareva che solo il caso ne fosse responsabile. Solo in un’occasione era sembrato che potesse esserci un indizio, e questo si era verificato nel lontano 1938. Il 7 aprile di quell’anno tre uomini — uno nei pressi di Nimega, in Olanda, uno vicino a Chester, in Inghilterra, e un terzo a bordo di un piroscafo nel Mar d’Irlanda — erano diventati esempi classici di morte per CUS nello stesso momento. Ma la simultaneità delle loro morti non aveva fatto altro che aggiungere mistero a mistero. Non erano stati scoperti plausibili legami fino alla scomparsa di Art Starzynsky e Sammy Birkett, e adesso il pendolo oscillava dalla parte opposta.

Jerome scartò senza esitare il fattore coincidenza, e questo significava che il dottor Pitman doveva senza dubbio costituire il nesso fra i due casi. La morte per autocombustione aveva conservato il suo segreto per secoli, ma adesso, improvvisamente, il fenomeno stesso lo aveva rivelato a un investigatore dilettante. Jerome corrugò la fronte, si tolse gli occhiali e cominciò a lustrare le lenti mentre prendeva in esame le implicazioni. Sparito l’egotismo, divorato dal fuoco che aveva ridotto in cenere Birkett, doveva convincersi di non essere più dotato di tutti quelli che avevano elaborato le più disparate teorie nel tentativo di spiegare il fenomeno, eppure — a meno che la sua ipotesi nei riguardi di Pitman fosse sbagliata — in un solo giorno aveva chiarito il mistero. O era straordinariamente fortunato o i parametri del problema stavano cambiando.

Cosa sto cercando di dire? si chiese irritato. Perché cerco di aggiungere altri nodi alla corda?

Si rimise gli occhiali e posò lo sguardo sulla modesta collezione di liquori sulla credenza del soggiorno. Dopo la morte di Carla non li aveva quasi più toccati, ma il gusto pulito del gin forse lo avrebbe aiutato a ridare un senso di equilibrio al mondo. Doveva tener presente che lasciandosi prendere dal panico si era rivelato un cronista inetto. Un giornalista coraggioso e con l’istinto del mestiere avrebbe colto l’opportunità di farsi un nome… e quanto a questo lui ne aveva ancora il tempo. Era probabile che i resti di Birkett non venissero scoperti tanto presto, in quel capanno in fondo al giardino. Non doveva far altro che tornare laggiù, telefonare alla polizia, e mettersi a scrivere articoli tanto sensazionali quanto redditizi dopo essersi messo in contatto con le principali agenzie.

Versò gin e soda in un bicchiere, e sorseggiando la bibita cercò di immaginarsi mentre affrontava il dottor Pitman, si faceva avanti a gomitate nella baraonda che ne sarebbe seguita, e il suo umore peggiorò perché sapeva che non sarebbe mai stato capace di tanto. Poteva però telefonare ad Anne Kruger scaricando tutto sulle sue spalle, ma anche questo non gli era possibile. Si sentiva bloccato da una sciocca timidezza. Se gli avessero chiesto di scegliere, sarebbe corso a nascondersi, probabilmente nella sicura intimità del suo chalet sul Lago Parson.

Chiedendosi se quel modo di pensare non fosse la reazione allo shock, Jerome fece uno sforzo consapevole per cercare di rilassarsi mentre finiva di bere. Il cuore alternava palpitazioni ad attimi di sosta. Non voleva credere che il senso di costrizione al petto che aveva spesso provato di recente quando si affaticava fosse preoccupante, ma gli pareva consigliabile calmarsi il più possibile e pensare ponderatamente alla prossima mossa. Il problema risiedeva proprio nel problema stesso, in quanto era cambiato, fino a diventare quasi irriconoscibile. Il grande enigma della CUS rimaneva, ma i suoi contorni si alteravano sotto la spinta di una più urgente domanda: se puntare sul dottor Pitman o un suo simile in altri posti era così facile, perché nessuno l’aveva fatto prima? E da questa domanda ne scaturiva direttamente un’altra; nel suo intimo, lui, attribuiva al dottor Pitman uno scopo sinistro? La più ovvia interpretazione dell’accaduto era che una medicina prescritta in tutta innocenza, o una rara combinazione di elementi chimici, fosse stata la causa di quelle assurde tragedie… ma il suo subconscio la pensava diversamente…

Il trillo del telefono lo fece sussultare. Guardò l’apparecchio per qualche secondo certo che fosse Anne Kruger o un suo incaricato, poi si alzò e sollevò il ricevitore. Anne non perdette tempo in preamboli.

«Ditemi una cosa» disse. «Oggi è giovedì?»

Come sempre, Jerome si sentì pungolare dal suo sarcasmo. «Vediamo un po’… Ieri era mercoledì, quindi a meno che il calendario non abbia subito una drastica revisione possiamo dire con sicurezza che…»

«Non fate lo spiritoso.»

Sei tu che hai cominciato, pensò lui. «Cosa posso fare per voi, Anne?»

«Avete pensato a scrivere l’articolo?»

«È proprio quello che sto facendo. Mi concentro meglio a casa.»

«Davvero? E quale titolone rosso da prima pagina occupa i vostri pensieri in questo momento?»

Solo il resoconto della mia diretta testimonianza in un secondo caso di CUS! Avanti, dillo! Dille come le due morti per autocombustione hanno un nesso in comune: il dottor Pitman. Fa’ che la sua stima nei tuoi riguardi salga alle stelle. Fatti un nome nel giornalismo!

«Ah… be’… mi riesce difficile…» balbettò Jerome stupito per quel suo modo di fare che non gli era solito. «Sto ancora riordinando gli appunti sul caso Starzinsky.»

«Ancora! Avete fatto niente a proposito delle nuove foto?»

«Non ancora. Vedete…»

«Lasciatele perdere» lo interruppe con voce tagliente Anne. «Ci penserà Cordwell. Voi, caro mio, dovete riempire tutta una pagina di giornale, e avete due ore per farlo. Vi consiglio di cominciare subito a scrivere perché aspetto di leggere l’articolo appena arriverà. E se non arriva entro due ore, non c’è bisogno che veniate più al giornale. Capito?» e chiuse la comunicazione.

Jerome fu scosso da una risata nervosa mentre deponeva a sua volta il ricevitore. Sulle prime rimase indignato per il modo con cui lo aveva trattato Anne, ma dopo averci riflettuto sopra per un momento capì che se l’era meritato. Aveva ottenuto il posto all’Examiner grazie al fatto di aver diretto nel tempo libero la rivista scientifica di un’azienda tecnica, e gli piaceva pensare che dava un valido e originale apporto al lavoro, ma i fatti stavano a dimostrare quanto poco fondate fossero le sue opinioni.

Perché mai non aveva parlato ad Anne della morte di Sammy Birkett? E inoltre, che cosa gli impediva di richiamarla e metterla al corrente di tutto?

Guardò il telefono e provò qualcosa di simile al panico rendendosi conto che non solo non era capace di sollevare il ricevitore ma che non se la sentiva di stargli vicino per il resto di quel giorno. Il telefono era una porta aperta attraverso la quale chiunque poteva entrare in casa sua, mentre lui aveva bisogno di un periodo di tranquillità indisturbata per rimettersi in sesto. L’immagine dello chalet sul lago gli balenò per un istante davanti agli occhi. Era invitante.