Lloyd annuì. «Lo so.»
«Hai intenzione di organizzare una festa a sorpresa per lei?»
Lloyd rifletté. Dopo un attimo rispose: «No.»
Theo lo guardò con l’espressione ‘se l’amassi davvero, dovresti farlo’. Lloyd non aveva voglia di spiegarsi. Non ci aveva mai pensato sul serio, ma all’improvviso aveva capito tutto, come se lo avesse sempre saputo. Le feste a sorpresa erano un piccolo imbroglio. Si faceva credere a qualcuno che si amava di essersi dimenticati del suo compleanno. Lo si rattristava volutamente, lo si faceva sentire trascurato, dimenticato, non apprezzato. E gli si mentiva — mentiva! — per settimane fino al momento dell’evento. E così, quando la gente gridava ‘sorpresa!’, quella persona si sentiva amata.
Nel matrimonio imminente con Michiko, Lloyd non aveva nessuna intenzione di costruire situazioni del genere perché Michiko provasse quel tipo di sentimento. Avrebbe avuto conferma del suo amore ogni giorno, ogni minuto; la sua fiducia non sarebbe mai dovuta venir meno. Lui sarebbe stato il suo compagno assiduo, il suo amore, fino alla morte.
E naturalmente non le avrebbe mai mentito… nemmeno quando avrebbe potuto farlo in apparenza per il suo bene.
«Ne sei sicuro?» disse Theo. «Mi piacerebbe aiutarti a organizzarla.»
«No» replicò Lloyd, scuotendo appena la testa. Theo era così giovane, così candido. «No, grazie.»
23
Il dibattito alle Nazioni Unite si protrasse. Mentre si trovava a New York, Theo ricevette un’altra risposta alla richiesta di informazioni sulla propria morte. Stava per cavarsela con una replica breve ed educata — aveva intenzione di mollare la ricerca, sul serio — ma, accidenti, quel messaggio era troppo allettante. «Non l’ho contattata subito» diceva «perché mi hanno fatto credere che il futuro è prefissato e che ciò che sarebbe successo, incluso il mio ruolo all’interno della faccenda, era inevitabile. Ma adesso la penso diversamente, e perciò devo sollecitare il suo aiuto.»
Il messaggio proveniva da Toronto… appena un’ora di volo dalla Grande mela. Theo decise di andare a incontrare di persona l’uomo che gli aveva inviato il messaggio. Era la prima volta che si recava in Canada, e non era preparato al caldo che vi trovò. Oh, non era poi così caldo, almeno secondo gli standard del Mediterraneo, visto che di rado la temperatura superava i trentacinque gradi. Ma ne rimase sorpreso lo stesso.
Per pagare di meno il viaggio Theo preferì pernottare, anziché andare e tornare nella stessa giornata. Così si trovò con una serata da passare a Toronto. Il suo agente di viaggio gli aveva suggerito di scendere in un albergo lungo la Danforth, una parte dell’asse maggiore che attraversava la città in direzione est-ovest; la numerosa comunità greca di Toronto abitava proprio in quella zona. Theo acconsentì e, con suo grande piacere, scopri che i segnali stradali in quella parte della città erano sia in inglese che in greco.
Il suo appuntamento, tuttavia, non era sulla Danforth.
Era invece nel North York, un’area che sembrava essere stata un tempo una città a sé, ma che adesso era stata assorbita da Toronto, la cui popolazione raggiungeva i tre milioni di abitanti. Il giorno successivo la metropolitana lo portò lì. Theo notò non senza divertimento che il servizio di trasporto pubblico aveva la sigla CTT (Commissione per i Trasporti di Toronto), la stessa del Collisore tachioni-tardioni del quale un giorno, a quanto sembrava, lui sarebbe stato il direttore.
Le vetture della metropolitana erano pulite e spaziose, anche se aveva sentito dire che nell’ora di punta erano sovraffollate. Una cosa che lo impressionò molto fu attraversare con la metropolitana — a quel punto un nome del tutto inadeguato — la Don Valley Parkway; lì il treno correva a un centinaio di metri al di sopra del suolo, lungo una fila di binari sospesi sulla Danforth. Il panorama era spettacolare, ma la cosa più impressionante era che il ponte sulla Don Valley era stato costruito decenni prima che Toronto avesse la sua prima linea di metropolitana, ma lo avevano realizzato in modo che alla fine potesse unire due file di binari. Era difficile trovare città che riuscivano a programmare così lontano nel futuro.
Cambiò treno a Yonge Station, e giunse al North York Centre. Fu sorpreso di scoprire che non doveva riemergere per entrare nel grattacielo condominiale dove gli era stato detto di recarsi: l’accesso era possibile direttamente dalla stazione. Lo stesso complesso conteneva anche un supermercato del libro (anello di una catena chiamata Indigo), un cinema-teatro e un grosso centro alimentare chiamato Loblaws, che sembrava specializzato nella vendita di prodotti della linea President’s Choice. La cosa stupì Theo: si sarebbe aspettato che in quel paese esistesse una scelta da primo ministro, non da presidente.
Si presentò al portiere, che lo indirizzò lungo il corridoio di marmo fino agli ascensori; salì al trentacinquesimo piano. Da lì trovò facilmente l’appartamento che stava cercando e bussò alla porta.
La porta si aprì, rivelando un asiatico avanti con gli anni. «Salve» disse, in un inglese perfetto.
«Salve, signor Cheung» disse Theo. «Grazie per avere accettato di ricevermi.»
«Non vuole accomodarsi?»
L’uomo, che doveva avere passato i sessantacinque, si fece di lato per lasciare passare Theo. Theo si liberò delle scarpe ed entrò nel lussuoso appartamento. Cheung lo precedette in salotto. Il panorama affacciava a sud. In lontananza Theo riuscì a vedere il centro di Toronto, con i suoi grattacieli, l’ago affusolato della Torre CN e, al di là, il lago Ontario che si stagliava all’orizzonte.
«Ho apprezzato molto che lei mi abbia mandato un’email» disse Theo. «Come può immaginare, è stato un periodo molto difficile per me.»
«Ne sono sicuro» disse Cheung. «Gradirebbe del tè? O del caffè?»
«No, niente, grazie.»
«Bene, allora» disse l’uomo. «Si sieda.»
Theo si accomodò su un divano imbottito di pelle marrone. Sul tavolino accanto al divano c’era un vaso di porcellana dipinta. «È magnifico» disse Theo.
Cheung confermò con un cenno della testa. «Dinastia Ming, naturalmente; ha quasi cinquecento anni. La scultura è la più grande forma dell’arte. Un testo scritto diventa inutile, una volta che la lingua è stata dimenticata, ma un oggetto fisico che duri per secoli o millenni… questo è qualcosa da tenere presente. Chiunque oggi può apprezzare la bellezza degli antichi manufatti cinesi, o egiziani, o aztechi; io li colleziono tutti e tre. I singoli artigiani che li hanno fabbricati vivono attraverso il loro lavoro.»
Theo farfugliò qualcosa di vago, e si appoggiò allo schienale. Sulla parete opposta c’era un dipinto a olio del porto di Kowloon. Theo lo indicò con un cenno del capo. «Hong Kong» disse.
«Sì. La conosce?»
«Nel 1996, quando avevo quattordici anni, i miei genitori ci portarono lì in vacanza. Volevano che noi — io e mio fratello — la vedessimo prima che tornasse alla Cina comunista.»
«Sì, quegli ultimi due anni sono stati eccezionali per il turismo» disse Cheung. «Ma sono stati anche tempi di grande emigrazione; io stesso ho lasciato Hong Kong e mi sono trasferito in Canada proprio allora. Più di duecentomila persone sono venute in Canada prima che gli inglesi restituissero il nostro paese ai cinesi.»
«Credo che anch’io me ne sarei andato» disse Theo, con partecipazione.
«Quelli di noi che se lo potevano permettere lo hanno fatto. E secondo le visioni avute dalle persone, le cose non miglioreranno molto in Cina nei prossimi ventuno anni, perciò sono ben felice di essermene andato; non avrei sopportato l’idea di perdere la libertà.» Il vecchio fece una pausa. «Ma lei, mio giovane amico, rischia di perdere molto di più, non è vero? Da parte mia, mi sarei tranquillamente aspettato di essere morto, fra ventuno anni, e sono stato ben felice di scoprire che il fatto che io abbia avuto una visione implica che per allora sarò ancora vivo. In verità, visto che mi sentivo ragionevolmente in forma, comincio a sospettare che mi rimangano ben più di ventuno anni da vivere. Tuttavia la sua vita potrebbe interrompersi prima, mi perdoni se glielo dico; nella mia visione, come le ho scritto, si faceva menzione del suo nome, ma io non l’avevo mai sentito prima. Però il nome era abbastanza musicale — Theodosios Procopides — da fissarsi nella mia mente.»