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Così la delegazione americana continuava a trovare argomenti per opporsi alla replica. «Stiamo ancora seppellendo i morti» affermò un ambasciatore. Ma la delegazione giapponese replicava sostenendo che anche se le visioni non avevano mostrato il vero futuro, rappresentavano palesemente un futuro operativo. Gli Stati Uniti — un paese in cui una percentuale molto alta di persone aveva avuto visioni significative mentre era sveglia — stavano cercando di mettere a profitto i benefici tecnologici di cui le visioni avevano offerto appena una fuggevole immagine. Il primo Cronolampo li aveva portati alle ore 11.21 del mattino a Los Angeles, e alle 2.21 del pomeriggio di New York, mentre a Tokyo erano ancora le 3.21 del mattino: nelle loro visioni, quasi tutti i giapponesi non avevano trovato nulla di più eccitante di un sogno fatto nel futuro. L’America stava già mettendo a frutto le nuove tecnologie e le nuove invenzioni rappresentate nelle visioni dei suoi cittadini; il Giappone e il resto dell’emisfero orientale erano stati ingiustamente lasciati indietro.

Questo aveva riscaldato di nuovo gli animi dei delegati cinesi, che sembravano attendere solo che qualcuno sollevasse l’argomento. Il Cronolampo li aveva portati alle 2.21, ora di Pechino, e quasi tutti i cinesi, così come i giapponesi, avevano avuto semplicemente la visione di se stessi addormentati nel futuro. Se si doveva effettuare un altro Cronolampo, sostenevano, di certo doveva avvenire in un orario spostato di dodici ore rispetto al precedente tentativo. In quel modo, se la consapevolezza fosse di nuovo balzata in avanti di ventuno anni, sei mesi, due giorni e due ore, allora questa volta sarebbero stati quelli dell’emisfero orientale a trarne i maggiori benefici, rimettendo in equilibrio la situazione.

Il governo giapponese aveva appoggiato immediatamente la posizione cinese su questo punto. India, Pakistan e le due Coree avevano aggiunto che era una semplice questione di equità.

L’Oriente aveva forse ragione, quando sosteneva che gli americani cercavano di conquistare una superiorità tecnologica; questi ultimi, dal loro canto, affermarono con vigore che se una replica doveva esserci, era il caso di effettuarla alla stessa ora. Questa affermazione era suffragata da una considerazione scientifica: una replica era, come diceva il nome, una replica e, per quanto umanamente possibile, ogni parametro sperimentale doveva essere identico.

Lloyd Simcoe venne convocato dall’Assemblea generale per chiarimenti su questo particolare aspetto. «Devo mettervi seriamente in guardia sull’inopportunità di cambiare inutilmente qualsiasi fattore,» disse «ma visto che fino a ora non abbiamo un modello pienamente operativo del fenomeno, non posso affermare con certezza che ripetere l’esperimento di notte invece che di giorno debba fare qualche differenza. Il tunnel del grande collisore è, in fin dei conti, pesantemente schermato contro qualsiasi fuoriuscita di radiazioni… e quella schermatura ottiene l’effetto di tenere fuori anche la luce solare e altre fonti radianti. Tuttavia io personalmente sarei contrario a cambiare l’ora dell’esperimento.»

Un delegato dell’Etiopia fece notare che Simcoe era americano, e quindi suscettibile di proteggere gli interessi americani. Lloyd ribatté che lui era in realtà canadese, ma la cosa non impressionò l’africano; anche il Canada aveva beneficiato in modo sproporzionato delle visioni che i suoi cittadini avevano avuto del futuro.

Nel frattempo il mondo islamico aveva in gran parte accettato le visioni come ilham (guida divina direttamente esercitata sulla mente e sull’anima dell’uomo) invece che come wahy (rivelazione divina del vero futuro), poiché, per definizione, quest’ultima era riservata solo ai profeti. Il fatto che le visioni si fossero rivelate essere parte di un futuro modificabile sembrava confermare il punto di vista islamico e, anche se le autorità islamiche non facevano ricorso alla metafora di Scrooge, il concetto di ricevere una visione personale che avrebbe consentito a tutti di migliorarsi seguendo percorsi religiosi e spirituali veniva interpretato dai più come del tutto in accordo con il Corano.

Alcuni musulmani sostennero l’interpretazione opposta, che cioè le visioni fossero opera del demonio, parte della distruzione del mondo già in corso, anziché opera della divinità. Ma in un caso e nell’altro, le autorità islamiche rigettarono senza esitazione il concetto che la causa fosse stata un esperimento di fisica: quella era un’interpretazione secolare erronea, occidentale. Le visioni erano chiaramente di origine spirituale, e in esperienze del genere la tecnologia aveva un ruolo del tutto irrilevante.

Lloyd aveva temuto che le nazioni islamiche, partendo da quel presupposto, si opponessero alla replica dell’esperimento. Ma prima il Wylayat al-Faqih in Iran, poi lo sceicco al-Azhar in Egitto, e via via, sceicco dopo sceicco, e imam dopo imam, tutto il mondo musulmano si era pronunciato a favore del tentativo di replica, proprio contando sul fatto che, quando il tentativo fosse fallito, gli infedeli avrebbero avuto la prova che il fenomeno originale era stato, in effetti, di natura spirituale e non secolare.

Naturalmente i governi delle nazioni islamiche erano spesso in contrasto con i fedeli dei loro paesi. Per quei governi che guardavano a occidente, e sostenevano la replica purché fosse spostata, come sostenevano gli asiatici, di dodici ore rispetto alla prima volta, la prospettiva era comunque quella di un successo: se la replica fosse fallita, gli scienziati occidentali si sarebbero coperti di ridicolo, e la visione secolare del mondo avrebbe subito una pesante battuta d’arresto; se fosse riuscita, le economie dei paesi musulmani avrebbero avuto una forte spinta, visto che ai loro cittadini sarebbe stato offerto lo stesso tipo di conoscenza delle tecnologie future che era già stato concesso agli americani.

Lloyd si era aspettato che anche coloro i quali non avevano avuto visioni — che in apparenza nel futuro erano già morti — si opponessero alla replica, ma, al contrario, molti di loro si dichiararono favorevoli. I più giovani — definiti da Newsweek gli ‘ungrateful dead’ — mostravano spesso il desiderio di provare che la mancanza di visioni del futuro poteva avere una spiegazione diversa dalla loro morte. I più anziani, per lo più ormai rassegnati al fatto di essere già morti fra ventuno anni, erano semplicemente curiosi di saperne di più, attraverso i resoconti degli altri, sul futuro che non avrebbero mai visto.

Alcune nazioni — fra cui Portogallo e Polonia — proposero di rinviare la replica di almeno un anno. Vennero loro presentate tre convincenti obiezioni. Primo, come precisò Lloyd, più tempo passava, più era probabile che qualche fattore esterno cambiasse di quel tanto che bastava a impedire la replica. Secondo, il bisogno di sicurezza assoluta durante una replica era ormai chiaro agli occhi del pubblico; più la gravità degli incidenti provocati la prima volta svaniva nel ricordo, più poteva succedere che si trascurassero certe misure di sicurezza. Terzo, la gente voleva nuove visioni che confermassero o negassero gli eventi mostrati nelle loro prime visioni, e quelli che le avevano avute negative la prima volta volevano sapere se adesso erano in grado di evitare quel possibile futuro. Se anche le nuove visioni si fossero riferite a un tempo distante ventuno anni, sei mesi, due giorni e due ore da quello dell’esperimento replicato, ogni giorno in meno avrebbe diminuito la possibilità che la seconda visione fosse sufficientemente legata alla prima da rendere possibile il confronto fra le due.