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Certo, prima doveva chiamarla. Che ora era a Tokyo? Pronunciò la domanda a voce alta. «Che ora è a Tokyo?»

«Le venti e diciotto minuti» rispose uno degli innumerevoli dispositivi computerizzati sparpagliati nel suo ufficio.

«Chiama Michiko Komura a Tokyo» disse Theo.

Dall’altoparlante risuonarono degli squilli elettronici. Il suo cuore cominciò a battere. Uno schermo piatto sbucò dal piano della scrivania, mostrando il logo della Nippon Telecom.

E poi…

Eccola lì. Michiko.

Era ancora adorabile, ed era invecchiata bene: dimostrava una dozzina d’anni meno della sua età reale. E naturalmente era vestita in modo impeccabile… Theo non aveva ancora visto quel particolare stile in Europa, ma era sicuro che in Giappone fosse l’ultima moda. Michiko indossava una giacca corta con disegni di arcobaleni che la increspavano appena.

«Ciao, Theo, sei tu?» disse lei, in inglese.

Le e-card che si erano scambiati erano state solo di testo e grafica; erano anni che Theo non ascoltava più quella magnifica voce cristallina come uno scroscio d’acqua. Sentì che il suo viso si atteggiava in un sorriso stirato. «Ciao, Michiko.»

«Ti ho pensato» disse la donna «mentre si avvicinava la data indicata dalle visioni. Ma avevo paura di chiamarti. Temevo che tu pensassi che ti chiamavo per dirti addio.»

A Theo sarebbe piaciuto sentire prima quella voce. Sorrise. «In effetti l’uomo che nelle visioni ha cercato di uccidermi adesso è in carcere. Ha tentato di far saltare in aria l’LHC.»

Michiko annuì. «L’ho letto sul Web.»

«Credo che nessun’altra visione si sia avverata.»

Michiko alzò le spalle. «Be’, forse non con esattezza. Ma la mia splendida bambina è esattamente come l’avevo vista. E, lo sai, ho conosciuto la nuova moglie di Lloyd, e anche lui sostiene che è proprio come gli era apparsa nella visione. E oggi il mondo è molto simile a quello che risultava dal progetto Mosaico.»

«Immagino di sì. Comunque sono ben felice che la parte che mi riguardava non si sia avverata.»

Michiko sorrise. «Anch’io.»

Vi fu silenzio; una delle cose belle dei videofoni era che il silenzio non faceva male. Ci si poteva guardare, godersi l’immagine l’uno dell’altra, senza parole.

Lei era bellissima…

«Michiko» disse Theo, con un filo di voce.

«Hmmm?»

«Io… ecco, io ti ho pensato molto.»

Lei sorrise.

Theo deglutì, cercando di raccogliere il coraggio. «E mi stavo domandando, insomma, che ne diresti se venissi a farti una visitina in Giappone?» Sollevò la mano, come se sentisse il bisogno di offrire a entrambi una scappatoia nel caso lei avesse volutamente frainteso, deludendolo sia pure con dolcezza. «All’università di Tokyo c’è un CTT, e mi hanno chiesto di venire lì a tenere una conferenza sullo sviluppo tecnologico.»

Ma lei non cercava scappatoie. «Sarei felicissima di rivederti, Theo.»

Naturalmente non c’era modo di sapere se fra loro sarebbe nato qualcosa. Michiko poteva essere semplicemente un po’ nostalgica, ricordando il passato, i bei momenti passati insieme al CERN per tanti anni.

Ma forse, solo forse, erano sulla stessa lunghezza d’onda. Forse qualcosa sarebbe davvero successo fra loro. Forse, dopo tutti quegli anni, era destino che succedesse.

Theo lo sperò con tutto il cuore.

Ma solo il tempo lo avrebbe detto.

Ringraziamenti

Ringrazio di cuore il mio agente Ralph Vicinanza, e il suo socio Christopher Lotts; il mio ‘editor’ presso la TOR, David G. Hartwell, e il suo assistente, James Minz; Chris Dao e Linda Quinton, anche loro della TOR. L’editore della TOR, Tom Doherty; Rob Howard, Suzanne Hallsworth, Heidi Winter, e Harold e Sylvia Fenn, del mio distributore canadese, H. B Fenn e Co.; Neil Calder, direttore di Media Service, Organizzazione europea per la fisica delle particelle presso il CERN; il dottor John Cramer, professore di fisica all’università di Washington; il dottor Shaheen Hussain Azmi, Asbed Bedrossian, Ted Bleaney, Alan Bostick, Michael A. Burstein, Linda C. Carson, David Livingstone Clink, James Alan Gardner, Richard M. Gotlib, Terence M. Green, John Allen-Price, il dottor Ariel Reich, Alan B. Sawyer, Tim Slater, Masayuki Uchida, e Edo van Belkom; mio padre, John A. Sawyer, per avermi ripetutamente messo a disposizione la sua seconda casa a Bristol Harbour Village, dove gran parte di questo romanzo è stata scritta; e soprattutto la mia adorata moglie, Carolyn Clink.

Robert J. Sawyer

Nato a Ottawa (Canada) nel 1960, giornalista fino al 1989, Robert Sawyer risiede oggi a Tornhill, nell’Ontario, con la moglie Caroline.

Sawyer ha iniziato a scrivere fantascienza nel 1979 ma ha pubblicato il suo primo romanzo solo nel 1990. Apocalisse su Argo (Golden Fleece) ha ottenuto subito un grande successo e ha vinto il premio Aurora come miglior romanzo canadese dell’anno.

Già in questa prima opera si possono intravedere molte delle caratteristiche di Robert Sawyer, e quelle doti narrative che lo hanno imposto al pubblico piú esigente; non si può dire tuttavia che la critica sia stata sempre benevola nei suoi confronti, e ne vedremo in seguito i motivi. Autore di stampo classico, che si ispira molto ai canoni della fantascienza tradizionale, Sawyer riesce quasi sempre a intessere trame interessanti con personaggi originali e profondi.

Apocalisse su Argo è la storia di una missione spaziale diretta alla volta di un pianeta lontano, nella speranza di fondare una colonia umana, guidata da un computer superintelligente (Jason) che ricorda molto HAL di 2001, Odissea nello spazio di Arthur Clarke.

Il romanzo riprende inoltre la classica tematica, cara agli autori dell’epoca d’oro della sf (come Heinlein, van Vogt e Asimov, per esempio) del volo interstellare e delle arche viaggianti: colonie umane raccolte su enormi astronavi destinate a vivere per lunghi anni, se non addirittura secoli, nel buio interstellare, con la speranza di giungere infine a una destinazione abitabile. E non è neppure un caso che il titolo originale dell’opera riecheggi il mito di Giasone e del Vello d’Oro, mitica sfida e ricerca del leggendario eroe greco.

Le affinità fra il supercomputer Jason e HAL sono decisamente volute: come afferma lo stesso Sawyer in una recente intervista, Arthur Clarke è il suo autore preferito (assieme a Frederik Pohl) e quindi l’influenza dell’autore inglese è piuttosto evidente.

Il libro, che si apre con l’assassinio dell’astronoma Diana Chandler da parte di Jason, è un mystery ben congegnato che ha nel supercomputer (che è anche il narratore in prima persona) la sua nota piú originale e interessante. Come HAL di Clarke e i robot di Asimov, anche Jason ha i suoi imperativi categorici e deve spesso scegliere tra direttive assolute e contrastanti tra loro. A differenza di HAL, la sanità mentale di Jason non sembra essere inficiata dalle scelte difficili e a volte drammatiche che deve affrontare per raggiungere gli obiettivi che gli sono stati assegnati. Con HAL ha però in comune un grande problema: il desiderio di diventare sempre piú simile all’uomo, piú vicino alla sua essenza, o almeno di riuscire a comprenderne le capacità e le modalità di percezione e sentimento. Jason rimane in effetti una delle migliori creazioni narrative del suo genere, degna di essere paragonata e ricordata assieme al computer di Clarke e personaggi come Andrew Martin di Isaac Asimov, Mycroft di Robert Heinlein, Harlie di David Gerrold e Helen O’Loy di Lester del Rey.

Il romanzo Far-Seer, del 1992, rappresenta un deciso cambio di rotta rispetto a Golden Fleece. Siamo di fronte a un’opera che si pone forse troppi obiettivi contemporaneamente. Da una parte abbiamo il ritratto di una razza sauriana alle prese con una rivoluzione scientifica e sociale; dall’altra il romanzo è la storia in prima persona (e questo è forse il punto dolente) del sauriano Asfan, giovane astronomo di corte della razza dei Quintaglio (una specie di dinosauri, appunto) che grazie al telescopio innesca una vera e propria rivoluzione copernicana.