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«Mi faccia vedere dov’è» disse Michiko con voce rotta.

La signora Severin annuì e li condusse sul retro dell’edificio. C’erano altri ragazzi in piedi che guardavano il corpo, terrorizzati e allo stesso tempo attratti da qualcosa che era al di là della loro capacità di comprensione. Il personale era troppo impegnato a occuparsi dei ragazzi che erano rimasti feriti per riuscire a far rientrare nella scuola tutti gli studenti.

Tamiko giaceva a terra, buttata lì come un sacco. Non c’era sangue e il corpo sembrava intatto. La macchina che presumibilmente l’aveva investita aveva fatto marcia indietro per parecchi metri ed era parcheggiata in un angolo. Il paraurti era ammaccato.

Michiko si avvicinò a meno di cinque metri, emise un urlo stridulo e svenne. Lloyd la prese fra le braccia e la sostenne. La signora Severin rimase nei paraggi per un po’, ma ben presto venne chiamata a occuparsi di altri genitori, di altri problemi.

Alla fine, poiché Michiko lo voleva, Lloyd la portò fino al corpo. Si chinò su di lei, con la vista offuscata e il cuore a pezzi, e le tolse dolcemente i capelli dalla faccia.

Lloyd non aveva parole; cosa mai poteva dire come conforto in un momento come quello? Rimasero lì, con Lloyd a sostenere per forse un’ora il corpo di Michiko, scossa da un pianto convulso.

3

Theo Procopides percorse barcollando il corridoio fiancheggiato da mosaici fino al suo piccolo ufficio, alle cui pareti erano appesi poster di personaggi dei cartoni animati. Asterix il Gallico da una parte, Ren e Stompy dall’altra, Bugs Bunny, Fred Flintstone e Gaga di Vaga sopra la scrivania.

Theo si sentiva stordito, come sotto shock. Anche se lui non aveva avuto una visione, sembrava che tutti gli altri l’avessero avuta. Ma il solo fatto di aver perso i sensi sarebbe stato sufficiente a sconvolgerlo. Oltre a ciò c’erano da considerare le ferite subite dai suoi amici e collaboratori, e le notizie delle morti a Ginevra e nelle città vicine. Theo era sconvolto fin nel profondo del cuore.

Continuavano a giungere rapporti. Centoundici persone erano morte su un 797 della Swissair che era precipitato all’aeroporto di Ginevra. In circostanze normali alcuni sarebbero potuti sopravvivere all’impatto vero e proprio… ma nessuno era intervenuto per evacuare l’aereo prima che prendesse fuoco.

Theo si accasciò sulla poltrona girevole di pelle nera. Poteva vedere il fumo levarsi in lontananza; la finestra dava proprio sull’aeroporto, e per averne una che offrisse la vista delle montagne del Giura ci voleva un’anzianità decisamente maggiore.

Lui e Lloyd non avevano avuto intenzione di fare del male a nessuno. Cavolo, Theo non riusciva nemmeno a immaginare che cosa avesse provocato quel blackout in tanta gente. Un gigantesco impulso elettromagnetico? Ma certamente avrebbe fatto più danni ai computer che alle persone, mentre tutti i delicati strumenti del CERN sembravano funzionare normalmente.

Mentre si sedeva, Theo aveva fatto ruotare la poltroncina, e adesso voltava le spalle alla porta aperta. Non si rese conto che qualcuno era entrato nella stanza finché non sentì un uomo che si schiariva la gola. Girò la poltrona e si trovò di fronte Jacob Horowitz, un giovane studente fresco di laurea che lavorava insieme a Theo e Lloyd. Aveva una massa di capelli rossi e chiazze di lentiggini.

«Non è colpa sua» disse Jake, con enfasi.

«E invece lo è» ribatté Theo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «È evidente che non abbiamo preso in considerazione qualche fattore importante, e…»

«No» lo interruppe Jake, deciso. «No, davvero. Non è colpa sua. Non ha niente a che fare col CERN.»

«Che cosa?» Theo lo disse come se non avesse ben capito le parole di Jake.

«Venga giù nella sala di ritrovo del personale.»

«In questo momento non voglio vedere nessuno, e…»

«No, venga. Laggiù si prende la CNN, e…»

«La CNN sta già trasmettendo?»

«Lo vedrà. Venga giù.»

Theo si alzò lentamente dalla poltrona e cominciò a camminare. Jake gli fece cenno di affrettarsi, e alla fine Theo procedette al piccolo trotto accanto al ragazzo. Quando arrivarono, nella sala c’erano una ventina di persone.

«…Helen Michaels che vi parla da New York City. A te la linea, Bernie.»

Il volto severo e grinzoso di Bernard Shaw riempì gli schermi televisivi ad alta definizione. «Grazie, Helen. Come potete vedere,» disse alla telecamera «il fenomeno sembra essere di portata mondiale… il che suggerisce che le analisi iniziali secondo le quali si sarebbe trattato di qualche tipo di arma straniera sono molto probabilmente inesatte, anche se certamente rimane la possibilità che si tratti di un atto terroristico. Fino a ora, comunque, nessun gruppo credibile si è fatto avanti per rivendicarne la responsabilità, e… ah, abbiamo adesso quel servizio dall’Australia che vi avevamo promesso poco fa.»

L’immagine cambiò, mostrando Sydney con le bianche vele dell’Opera House sullo sfondo, illuminata contro un cielo nero. Un giornalista era in piedi al centro dell’inquadratura. «Bernie, qui a Sydney sono passate da poco le quattro del mattino. Non c’è un’immagine che possa mostrarti per farti capire quello che è successo qui. Le notizie giungono con molta lentezza, man mano che la gente si rende conto che ciò che le è accaduto non è stato un fenomeno isolato. Le tragedie sono numerose: ci risulta per esempio il caso di una donna che è morta in un ospedale del centro durante un intervento chirurgico d’emergenza, perché tutti i presenti in sala operatoria hanno semplicemente smesso di lavorare per diversi minuti. Ma sappiamo anche di un furto in un piccolo negozio di alimentari aperto tutta la notte, che è fallito perché tutti — compreso il ladro — sono svenuti contemporaneamente alle due del mattino, ora locale. Sembra che il ladro abbia perso i sensi battendo la testa contro il pavimento, e un cliente che si è risvegliato prima di lui è riuscito a impadronirsi della sua pistola. Ancora non abbiamo la minima idea di quante vittime ci siano state qui a Sydney, per non parlare del resto dell’Australia.»

«Paul, che mi dici delle allucinazioni? Hai già notizia anche di quelle?»

Una pausa, mentre la domanda di Shaw rimbalzava di satellite in satellite da Atlanta all’Australia. «Bernie, la gente non fa che parlarne. Non sappiamo quale percentuale della popolazione abbia sperimentato delle allucinazioni, ma sembra che siano un bel po’. Io stesso ne ho vissuta una molto vivida.»

«Grazie, Paul.» La grafica alle spalle di Shaw cambiò, mostrando il sigillo presidenziale degli Stati Uniti. «Il presidente Boulton si rivolgerà alla nazione fra quindici minuti, così ci hanno detto. Naturalmente la CNN vi trasmetterà il suo discorso per intero. Nel frattempo abbiamo un servizio da Islamabad, Pakistan. Yusef, ci sei…?»

«Lo vede» disse Jake sottovoce. «Non aveva niente a che fare con il CERN.»

Theo si sentiva contemporaneamente sollevato e sconvolto. Qualcosa aveva colpito l’intero pianeta, e di certo non poteva essere stato il loro esperimento.

Eppure…

Eppure, se la cosa non aveva nessuna relazione con l’esperimento dell’LHC, allora che cosa poteva averla provocata? Aveva ragione Shaw? Si trattava di chissà quale arma di terroristi? Erano trascorse appena un paio d’ore dal fenomeno. La squadra della CNN stava dimostrando una stupefacente professionalità, mentre Theo ancora non era riuscito a recuperare il suo equilibrio.

Spegni la consapevolezza dell’intera razza umana per due minuti, e qual è il dazio da pagare alla morte?

Quante automobili si erano scontrate?

Quanti aerei erano precipitati? Quanti deltaplanisti? Quanti paracadutisti erano svenuti, non riuscendo a tirare la cordicella?

Quante operazioni erano fallite? Quante nascite erano finite male?