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La ragazza la guardò, preoccupata. — Milady, è sicura di sentirsi bene?

Cordelia non poté trattenersi dal ridere, con un tremito violento. Scacciò quello sfogo isterico quando vide che Drou cominciava ad essere davvero spaventata. — No — disse.

CAPITOLO DICIANNOVESIMO

I rifornimenti d’emergenza di Ezar comprendevano una cassetta di marchi barrayarani e valuta straniera. C’erano anche dei documenti falsi per Drou, non ancora scaduti. Cordelia controllò l’aspetto della ragazza e la mandò fuori ad affittare un’auto da superficie. Poi sedette nel sotterraneo silenzioso e aspettò che Bothari uscisse dal suo bozzolo di sofferenza mentale, almeno abbastanza da poter camminare da solo.

Come allontanarsi da Vorbarr Sultana era la parte più debole del loro piano, un po’ perché avevano visto troppe possibili varianti, ma anche perché in effetti non era possibile prevedere niente. I viaggi erano sottoposti a restrizioni; Vordarian aveva messo in atto misure straordinarie per tenere sotto controllo la popolazione. Per la monorotaia occorreva un visto della polizia, e i viaggiatori dovevano esibire i documenti in stazione e sui treni. Gli aeroporti erano in pratica trappole destinate a bloccare un’immensa lista di persone, oltre ai funzionari dell’amministrazione governativa precedente. Fuori città c’erano blocchi stradali e pattuglie. Ma viaggiare a piedi era una soluzione impossibile per chi doveva andare lontano. Non c’era altra scelta.

Drou fece ritorno dopo un’eternità, pallida e stanca, e li guidò di nuovo fuori attraverso i cunicoli, in una strada poco frequentata accanto al palazzo della Camera di Commercio. Quel mattino aveva nevicato per un paio d’ore, e la città era sotto una coltre di neve bianca alta una decina di centimetri. Nonostante la stanchezza Cordelia ne fu affascinata. Dalla parte della Residenza, a meno di un chilometro da lì, una nuvola di fumo si alzava nel grigiore del cielo invernale; evidentemente l’incendio nell’ala nord non era ancora sotto controllo. Quanto avrebbe retto l’organizzazione di Vordarian, ormai letteralmente decapitata? Stava già filtrando all’esterno la notizia della sua morte?

Com’era stata istruita di fare, Drou aveva cercato una macchina a nolo d’aspetto molto comune, anche se avevano abbastanza soldi da affittare il veicolo più lussuoso della città. Cordelia voleva serbare il denaro per i posti di blocco.

Ma i controlli stradali si rivelarono meno temibili del previsto. Il primo blocco, in periferia, era del tutto sguarnito; forse le guardie erano state richiamate per combattere l’incendio o rafforzare la sorveglianza alla Residenza. Il secondo era intasato da decine e decine di veicoli che ingombravano anche l’altra corsia. Le guardie erano irritate e nervose, probabilmente distratte dalle voci che arrivavano dal centro. Alcuni avevano in tasca televisori portatili accesi e ascoltavano le notizie della stazione locale. Un sostanzioso pacchetto di banconote che Drou consegnò insieme ai suoi documenti falsi scomparve nella tasca di una guardia. L’uomo le accennò di proseguire, col suo «zio ammalato», verso casa. Del resto Bothari, sotto la coperta che nascondeva anche il simulatore, non aveva certo un aspetto sano. All’ultimo posto di blocco, due chilometri fuori città, c’era una sola guardia. Drou gli confermò la voce — altri l’avevano già preceduta — che Vordarian era stato ucciso in un attentato, e l’uomo non le chiese neppure i documenti: gettò via il berretto dell’uniforme, s’infilò un impermeabile civile e sparì dietro una siepe, allontanandosi sulla neve in direzione di alcune case coloniche.

Per tutto il pomeriggio viaggiarono su strade secondarie verso il distretto neutrale di Vorinnis. Erano appena giunti a Nuova Kypros quando la vecchia auto cominciò a sferragliare e si fermò. La abbandonarono, raggiunsero a piedi la stazione e proseguirono in monorotaia. Cordelia aveva trovato una scatola di cartone in cui mettere il simulatore; le luci erano ancora tutte verdi, ma il suo cervello ticchettava all’unisono con l’orologio del display. Alle quattro di notte si presentarono alla prima installazione militare nella zona oltre il confine controllato dalle truppe amiche, un deposito di carburante per veicoli corazzati da superficie. Drou dovette discutere dieci minuti con l’ufficiale del turno di notte per convincerlo a: 1) lasciarli entrare, 2) identificarli, 3) usare la radio sulla banda codificata per chiamare la Base Tanery e chiedere un mezzo di trasporto. A questo punto l’ufficiale diventò molto più solerte, e insisté per accendere personalmente il distributore del caffè. Una navetta suborbitale arrivò a gran velocità meno di mezzora dopo, e li prese a bordo.

All’alba, mentre si avvicinavano in volo alla Base Tanery, Cordelia fu assalita da una spiacevole sensazione di freddo. La scena era così simile a quella del suo primo arrivo dalle montagne che le parve, storditamente, d’essere intrappolata in un circolo chiuso. C’erano cose, su Barrayar, da cui non si sarebbe liberata mai, e lasciarsi un evento alle spalle significava solo trovarsene davanti altri ancora, forse perfino peggiori. Stava tremando.

Droushnakovi non sembrava di umore migliore. Bothari sonnecchiava nel compartimento passeggeri della navetta. I due uomini della Sicurezza mandati da Illyan, agli occhi di Cordelia identici a quelli di Vordarian contro cui si era battuta, stavano zitti e non osavano chiedere cosa ci fosse nella grossa scatola di cartone che lei si teneva sulle ginocchia. La borsa di plastica gialla era poggiata sul pavimento, stretta fra le sue caviglie. Irrazionalmente sentiva il bisogno di non perdere di vista nessuno dei due oggetti, anche se Drou sarebbe stata molto meglio se avesse potuto chiudere la borsa nel bagagliaio.

La navetta atterrò dolcemente sulla pista bagnata di pioggia, e il ronzio dei motori antigravità si spense.

— Voglio qui il capitano Vaagen, e lo voglio subito - ripeté Cordelia per la quinta volta, mentre gli uomini della Sicurezza li scortavano negli uffici del corpo di guardia.

— Sì, milady. È già stato chiamato — le assicurò uno di loro, aprendole la porta. Lei lo guardò sospettosamente.

L’ufficiale di servizio chiese con rispettosa fermezza che Drou e Bothari consegnassero le loro armi. Cordelia non poteva biasimarlo; chiunque avrebbe giudicato poco rassicurante l’aspetto dei suoi due compagni in quel momento. Grazie ai rifornimenti di Ezar lei e Drou non erano vestite male, anche se non avevano trovato nulla per sostituire la tuta nera di Bothari, ma avevano gli occhi arrossati e la tensione dipinta sulla faccia. Bothari continuava a sbattere le palpebre con aria stranita, e ogni tanto lo sguardo di Drou sembrava svuotarsi di vita, come se la scarica d’energia che aveva ucciso Kareen avesse mandato in corto circuito qualcosa anche dentro di lei.

Dopo un’interminabile attesa — cinque o sei minuti, si costrinse ad ammettere Cordelia — il capitano Vaagen arrivò, accompagnato da un tecnico. Indossava un’uniforme impeccabile e il suo passo era di nuovo rapido, il suo aspetto efficiente. Delle sue ferite restava soltanto un occhio nero e un cerotto su una guancia, che gli davano un’aria un po’ canagliesca.

— Milady! — la salutò con un sorriso, forse il primo che da molti giorni deformasse i suoi muscoli facciali. Ma non era un sorriso diretto a lei. Alla vista dell’apparecchio deposto su un tavolo aveva avuto un lampo di trionfo nello sguardo. — Ce l’ha fatta!

— Almeno spero, capitano. — Cordelia gli indicò il pannello dei comandi. — Prego Dio che non sia troppo tardi. Le luci sono ancora verdi, ma stanotte l’avvisatore o quel che è aveva cominciato a suonare. L’ho spento, prima che mi facesse impazzire.

Lui controllò il simulatore e studiò le cifre sul display. — Sì, va bene. Il fluido nutritivo è quasi finito, ma non importa. I filtri funzionano ancora; l’acido urico è troppo alto, però questo non è un problema. Mi sembra che sia a posto… vivo, cioè. In quanto alle conseguenze dell’interruzione del trattamento coi calcificanti ossei, occorrerà del tempo per determinarle. Abbiamo a disposizione un locale, nell’infermeria. Entro un’ora i sogni del piccolo Miles torneranno a dipingersi di rosa.