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La slitta proseguì verso la Cascata di Ghiaccio.

Ed eccola lì: bianco-azzurra, rilucente nella luce di Saturno, sospesa su un vuoto enorme. I presenti emisero i debiti sospiri e le opportune esclamazioni di ammirazione. Non uscirono dalla slitta, poiché, lì, soffiavano venti selvaggi e non ci si poteva interamente fidare della protezione offerta dagli scafandri contro quella atmosfera corrosiva.

Fecero un giro intorno alla cascata, in modo che poterono ammirare il suo arco scintillante da tre lati diversi. Poi il cicerone diede cattive notizie: — C’è una burrasca in arrivo. Si torna indietro.

La burrasca sopraggiunse assai prima che avessero raggiunto l’accogliente riparo della cupola. Cominciò con la pioggia, una precipitazione di ammoniaca simile a nevischio che tamburellava sul tetto della slitta, e poi nuvole di neve cristallina di ammoniaca, spinte dal vento. La slitta avanzava con difficoltà. Burris non aveva mai visto cadere la neve in un modo così pesante e veloce. Il vento mulinava e la sollevava dal suolo, ammonticchiandola a formare cattedrali e foreste. Sforzando un poco, la motoslitta evitava nuove dune e aggirava a tentoni delle improvvise barriere. I passeggeri, per la maggior parte, sembravano imperturbabili. Emettevano esclamazioni di ammirazione per la bellezza della burrasca. Burris, che ben sapeva quanto fosse vicina la possibilità di rimanere tutti seppelliti, taceva con viso fosco. Forse la morte gli avrebbe recato finalmente la pace; ma finire sepolto vivo non era il tipo di morte che preferiva. Già gli pareva di sentire l’odore acre e inquinato dell’aria che cominciava a mancare, mentre i motori sottoposti a un vano sforzo rimandavano i fumi di scappamento nello scompartimento passeggeri. Immaginazione e niente altro. Cercò di godersi la bellezza della burrasca.

Il fatto di rientrare nel calore e nella sicurezza della cupola fu, comunque, un grande sollievo.

Subito dopo il ritorno, lui e Lona litigarono nuovamente. L’alterco, questa volta, aveva ancor meno fondamento delle precedenti; ma in breve raggiunse un livello di autentico malanimo.

— Minner, non mi hai nemmeno degnata di uno sguardo durante tutta la gita!

— Guardavo il paesaggio. Siamo qui per questo.

— Potevi prendermi la mano. Potevi sorridere.

— Io…

— Sono così noiosa…

Egli era stufo di tirarsi indietro. — Per essere esatti, sì, lo sei! Sei una ragazzina stupida, monotona e ignorante! Con te, tutto è sprecato: tutto! Sei incapace di apprezzare cibi, abiti, sesso, viaggi…

— E tu che cosa sei? Un orribile mostro.

— Siamo in due.

— Io, un mostro — strillò lei. — Da me, non si vede. Se non altro, io, sono un essere umano. Tu, che cosa sei?

E qui Burris l’aggredì.

Le sue dita levigate si chiusero sulla gola di Lona. Lei si difendeva con una gragnuola di pugni e di calci, gli artigliava le guance con le unghie. Ma non riuscendo a graffiargli la pelle si infuriò più che mai. Burris la teneva saldamente, la scrollava, facendole rotolare la testa qua e là, ma lei continuava a colpirlo con le mani e con i piedi. Tutti i sottoprodotti della collera gli fecero irruzione nelle arterie.

Pensò: potrei ucciderla con tutta facilità.

Ma il solo fatto di essersi fermato quel tanto da formulare un pensiero coerente lo calmò. La lasciò andare. Guardò le proprie mani, poi lei. Aveva sul collo dei segni quasi simili alle chiazze riapparse sul viso di Burris. Con un singhiozzo soffocato, lei indietreggiò lontana da lui, senza dir nulla, ma puntando contro di lui la mano tremante.

Burris sentì come una legnata di stanchezza alle ginocchia.

Tutta la sua forza era svanita di colpo. Le sue articolazioni cedettero, ed egli scivolò, quasi dissolvendosi, incapace di sostenersi nemmeno con le mani. Rimase bocconi, chiamandola. Non si era mai sentito così debole, neanche durante la convalescenza dopo ciò che gli avevano fatto su Manipol.

Accade così quando si è dissanguati, pensò. Le sanguisughe mi hanno svuotato! Dio mio! Sarò mai capace di rimettermi in piedi? “Aiuto!” gridò senza emettere alcun suono. “Lona! Dove sei?”

Quando ebbe forza sufficiente ad alzare la testa, scoprì che se ne era andata. Non sapeva quanto tempo fosse trascorso. Debolmente, centimetro per centimetro, si tirò su, a sedere sull’orlo del letto, fino a quando il peggio dello sfinimento non passò. Era una punizione del cielo per avere picchiato Lona? Questa fiacchezza si impadroniva di lui a ogni loro alterco.

Lona…

Uscì nel corridoio, tenendosi vicino alla parete. Probabilmente delle signore eleganti che gli passarono accanto lo credettero ubriaco. Sorrisero. Egli cercò di contraccambiare il sorriso.

Non la trovò.

Varie ore dopo si imbatté in Aoudad. Il piccolo uomo sembrava sulle spine.

— L’ha vista? — gracchiò, Burris.

— È a metà strada per Ganimede, a quest’ora. È partita col volo serale.

— Partita?

Aoudad annuì. — Nick l’ha accompagnata. Tornano sulla Terra. Che cosa le ha fatto? L’ha un po’ presa a schiaffi?

— Lei l’ha lasciata partire? — mormorò Burris. — Le ha permesso di uscire di scena? Che cosa ne dirà Chalk?

— Chalk è informato. Lei può credere che non avrei prima chiesto la sua approvazione? Lui ha detto sì, se vuol tornare a casa lasciate che torni. Mettetela sulla prima nave in partenza. E così abbiamo fatto. Ehi, Burris! Sembra pallido! Non credevo che la sua pelle potesse impallidire.

— Quando parte la prima nave dopo la sua?

— Domani sera. Ma non avrà mica l’intenzione di correrle dietro, vero?

— Che cos’altro, se no?

Sorridendo. Aoudad disse: — Non combinerà un bel niente, in quel modo. La lasci andare. Questo albergo è pieno di donne che sarebbero felici di prendere il suo posto. Rimarrebbe stupito, di quante sono! Alcune sanno che io sono con lei, e vengono da me, a chiedermi di combinare. Colpa del suo volto, Minner. Il suo volto le affascina.

Burris si girò per lasciarlo.

Aoudad disse: — Lei è scosso. Senta, andiamo a bere qualcosa.

Senza voltarsi, Burris rispose: — Sono stanco. Voglio riposare.

— Devo mandare una di quelle donne da lei, dopo un po’?

— Sarebbe il miglior modo di riposare, secondo lei?

— Be’, in realtà sì. — Rise amabilmente. — Non avrei nulla in contrario a occuparmene io; ma è lei che vogliono. Lei.

— Posso telefonare a Ganimede? Forse le potrei parlare mentre la sua nave fa rifornimento.

Aoudad lo raggiunse. — È andata via, Burris. Deve dimenticarla. Che cosa le procurava, se non delle difficoltà? Una ragazzina tutta pelle e ossa! Non andavate neanche d’accordo. Lo so. Ho visto. Non facevate che prendervi a male parole. Che bisogno ha di lei? Su, lasci che le dica di,…

— Ha con sé dei tranquillanti?

— Sa che non le fanno nulla.

Burris tese comunque la mano. Aoudad alzò le spalle e vi depose un tranquillante, Burris premette il tubetto sulla pelle. L’illusione della calma poteva valere ora, quasi quanto la calma autentica. Ringraziò Aoudad e si diresse deciso verso la propria camera, da solo.

Nell’andarci, incrociò una donna con i capelli che erano vetro filato rosa e con gli occhi che erano d’ametista. Indossava un abito castamente impudico. La sua voce, lieve come una piuma, gli accarezzò le guance senza orecchie. Egli passò oltre in fretta, tremante, ed entrò in camera.