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Pensai di sfuggita a Jo. Certo, non sarebbe apparsa in un documentario che era strettamente una registrazione per il pubblico di un’esperienza a contatto con la natura; e io stesso ero curioso di vedere cosa ero effettivamente riuscito a fare, e non pensavo che una rivisitazione in un sogno elettronico mi avrebbe procurato dolore, anche se era passato così poco tempo.

Mi sbagliavo.

Quello che faceva più male era la qualità scadente. Oh, sì, una riproduzione decente di una primula che si agita nella brezza, un falco che plana, il candore spumeggiante e il rombo di terremoto di una valanga lontana, foglie cadute e cotte dal sole, il loro odore e il loro scricchiolìo, la risata di un soffio di vento che giocava tra i miei capelli, l’innata agilità di un serpente o di un puma, la spettacolarità del tramonto e la delicatezza dell’alba… un discreto risultato. Eppure non era reale, non era ciò che io avevo desiderato.

Nell’oscurità in cui eravamo seduti, Marie disse lentamente, — Hai fatto di meglio, prima. Kruger, Mato Grosso, Beikal, i tuoi primi soggiorni in questa regione… mi sembrava quasi di essere al tuo fianco. Non eri un inviato, eri un artista, un grande artista. Perché è cosi diverso?

— Non lo so — borbottai. — La mia presentazione è un po’ meccanica, io ammetto. Forse ero stanco.

— In quel caso… — Sedeva con il busto eretto, a mezzo metro da me, le dita intrecciate… — non dovevi rimanere. Saresti potuto tornare a casa da me molto prima.

Ma io non ero stanco, la testa mi scoppiava. No, ora mi sento davvero esausto; là, allora, la vita scorreva dentro di me.

Quella genziana che Jo voleva vedere… cresce dove la terra sprofonda all’improvviso. Quei fiori crescono proprio sul ciglio del dirupo, così azzurri, azzurri tra il verde dell’erba e il bianco delle margherite e il grigio scuro della pietre; più in là scorre un ruscelletto, che si getta in basso, freddo, squillante, che sa di ghiaccio, di rocce e di terra, e l’aria che soffia tutt’intorno a me, intorno alle cime laggiù, alte e maestose…

— Piantala! — urlai. Il mio pugno colpì il bracciolo della poltrona. Il telaio scricchiolò. Leggermente più calmo, dissi, — Va bene, forse mi sono lasciato coinvolgere troppo dalla realtà ed ho perso il necessario distacco. — Non è vero, Marie, sono uno sporco mentitore. La mia mente non era mai stata così occupata, a programmare come usare Jo e abbandonare te. — Cara, i reperti sensitivi… non mi rimarrà altro per il resto della mia vita. — E niente più genziane. Ero troppo occupato col mio piano per badare a qualcosa di piccolo, azzurro e delicato. — Non è una punizione sufficiente?

— No. Tu avevi la realtà. E non l’hai riportata indietro con te. — La sua voce era come il vento sulle montagne innevate d’inverno.