Выбрать главу

«La telecamera era nascosta.» Morelli adocchiò la mia ciambella. «La mangi?»

Spezzai la ciambella in due e gliene diedi un pezzo. Addentai la mia metà. «È stato usato qualche agente infiammabile?»

«Una piccola quantità di combustibile per accendini.»

«Pensi che sia stato Ranger?»

«Difficile dirlo, trattandosi di lui.»

«Connie dice che a Ramos hanno anche sparato.»

«Un proiettile da nove millimetri.»

«Perciò tu pensi’che Ranger stia sfuggendo alla polizia.»

«È Allen Barnes che si occupa delle indagini sull’omicidio. Tutto quello che ha raccolto finora conduce a Ranger e, se lo avesse portato dentro per interrogarlo, probabilmente avrebbe potuto trattenerlo qualche tempo per via dei precedenti, come l’accusa di porto d’armi abusivo. Comunque tu la voglia vedere, stare rinchiuso in cella non è certo ciò che Ranger vuole, ora. E come Barnes ha individuato in Ranger il principale sospettato, così ci sono ottime probabilità che Alexander Ramos sia giunto alla stessa conclusione. Se Ramos crede che Ranger abbia fatto fuori Homer, non aspetterà che sia il tribunale a fare giustizia.»

La ciambella era diventata un malloppo che mi si era bloccato in gola. «O forse Ramos è già arrivato a Ranger…»

«Anche questa è una possibilità.»

Merda. Ranger è un mercenario il cui rigoroso codice morale non necessariamente corrisponde sempre a quello dell’opinione comune. Aveva fatto la sua entrata in scena in veste di mio mentore quando avevo cominciato a lavorare per Vinnie, e il nostro rapporto era cresciuto fino a diventare un’amicizia, almeno per quanto lo consentissero il suo stile di vita da lupo solitario e il mio personale desiderio di rimanere viva. E, per la verità, c’era stata una crescente attrazione sessuale tra noi due, che mi spaventava a morte. Perciò i miei sentimenti per Ranger erano già complicati in partenza, e ora all’elenco delle emozioni indesiderate si aggiungeva un assai brutto presentimento.

Il cercapersone di Morelli squillò. Lui guardò il messaggio sul display e sospirò. «Devo andare. Se ti capita di incrociare Ranger, riferiscigli quello che ti ho detto. Devo proprio parlare con lui.»

«Dovrai pagare un prezzo, per questo.»

«Cena?»

«Pollo fritto» dissi. «Il più unto possibile.»

Lo guardai scendere dall’auto e attraversare la strada. Mi godetti quell’immagine finché non fu fuori dal mio campo visivo e poi rivolsi di nuovo l’attenzione agli incartamenti. Conoscevo Dunphy, «l’uomo della Luna». Eravamo andati a scuola insieme. Nessun problema, in quel caso: dovevo solo andare a scollarlo dal suo televisore.

Lenny Dale viveva in un condominio sulla Grand Avenue e risultava avere ottantadue anni. Mugugnai al pensiero. Non è mai piacevole catturare un vecchio di ottantadue anni. Comunque vadano le cose, si fa sempre la figura del verme, e ci si sente tale.

Restava da leggere l’incartamento di Morris Munson, ma non avevo voglia di andarci. Meglio rimandare e sperare che Ranger si facesse vivo.

Decisi di occuparmi di Dale, come prima cosa. Stava a meno di mezzo chilometro dall’ufficio di Vinnie e dovevo fare un’inversione di marcia sulla Hamilton, ma l’auto non ne volle sapere: andava dritta verso il centro e verso l’edificio incendiato.

Va bene, sono curiosa. Volevo vedere la scena del delitto. E magari speravo di avere una percezione extrasensoriale: stare davanti all’edificio e avere una folgorazione sul conto di Ranger.

Oltrepassai i binari della ferrovia e avanzai lentamente nel traffico mattutino. L’edificio si trovava all’angolo tra la Adams e la Terza. Era un palazzo di mattoni alto quattro piani, probabilmente di una cinquantina d’anni. Parcheggiai sul lato opposto della strada, scesi dall’auto e osservai le finestre annerite dal fumo, alcune delle quali inchiodate con assi di legno. Il nastro giallo per delimitare la scena del delitto si estendeva per tutta la larghezza dell’edificio, teso fra transenne posizionate in modo strategico sul marciapiede per impedire ai ficcanaso come me di avvicinarsi troppo. Ma io non sono il tipo a cui un dettaglio come un sigillo della polizia può impedire di dare una sbirciatina.

Attraversai la strada e mi infilai sotto il nastro. Provai a entrare dalla doppia porta a vetri ma la trovai chiusa. All’interno, l’atrio appariva relativamente indenne. Un bel po’ di acqua lurida e muri anneriti dal fumo, ma nessun danno visibile dovuto al fuoco.

Mi voltai e osservai gli edifici circostanti. Palazzi di uffici, negozi e, all’angolo, un ristorante che effettuava consegne a domicilio.

Ehi, Ranger, sei qui da qualche parte?

Niente. Nessuna percezione extrasensoriale.

Tornai rapidamente all’automobile, mi chiusi dentro e presi il telefono cellulare. Composi il numero di Ranger e attesi due squilli prima che la sua segreteria telefonica rispondesse. Il messaggio che lasciai fu molto breve: «Stai bene?».

Chiusi la comunicazione e rimasi lì seduta qualche minuto, col fiato corto e un buco nello stomaco. Non volevo che Ranger fosse morto. E non volevo che avesse ucciso Homer Ramos. Non che mi importasse un accidenti di Ramos, ma chiunque lo avesse ucciso avrebbe pagato per questo, in un modo o nell’altro.

Alla fine misi in moto l’auto e me ne andai. Mezz’ora dopo stavo davanti alla porta di Lenny Dale, e a quanto pareva i Dale erano in casa perché si sentiva un gran urlare dentro l’appartamento. Rimasi lì nel corridoio del terzo piano, spostando il mio peso da un piede all’altro, ad aspettare un momento di calma in tutto quel chiasso. Quando arrivò, bussai. Questo provocò un’altra esplosione di urla per decidere chi dovesse venire ad aprirmi.

Bussai di nuovo. La porta si spalancò e un vecchio mise fuori la testa. «Sì?»

«Lenny Dale?»

«Ce l’hai davanti, sorella.»

Era tutto naso. Il resto della faccia si era ritirato attorno a quel becco d’aquila, il cranio pelato era chiazzato di macchie color fegato, le orecchie parevano sproporzionate su quella testa mummificata. La donna alle sue spalle era canuta e grassa, con le gambe grosse come tronchi d’albero e i piedi ficcati in un paio di pantofole di peluche a forma di Garfield il Gatto.

«Che cosa vuole, quella?» strillò la donna. «Che cosa vuole?»

«Se chiudi il becco lo scoprirò!» strillò lui di rimando. «Cianciare, cianciare, cianciare. Non sai far altro.»

«Te lo do io il cianciare e cianciare» disse lei. E gli rifilò una botta sulla testa calva e lucida.

Dale si girò su se stesso e la colpì dritto su un lato della faccia.

«Ehi!» dissi. «Piantatela!»

«Ne vuoi uno anche tu?» disse Dale balzandomi contro con il pugno alzato.

Tesi la mano per ammonirlo e per un momento lui rimase immobile come una statua, paralizzato in quel gesto di levare il pugno. Aprì la bocca, strabuzzò gli occhi e cadde, rigido come un pezzo di legno, rovinando al suolo.

Mi inginocchiai accanto a lui. «Signor Dale?»

La moglie lo toccò con un piede, dentro la pantofola di Garfield. «Mmm» disse. «Mi sa che è un altro di quei suoi attacchi di cuore.»

Gli misi una mano sul collo ma non riuscii a trovare le pulsazioni.

«Oh, Cristo» dissi.

«È morto?»

«Be’, io non ne capisco molto…»

«A me pare morto.»

«Chiami il pronto intervento, io provo con la rianimazione cardiopolmonare.» In realtà non sapevo come si praticasse, ma lo avevo visto fare in televisione e volevo provarci.

«Tesoro» disse la signora Dale «riporta quell’uomo in vita e ti meno con il batticarne finché la tua testa non sembrerà una polpetta di vitello.» Si chinò sul marito. «E comunque guardalo lì: è morto stecchito. Non potrebbe essere più morto di così.»

Temevo proprio che avesse ragione. Il signor Dale non aveva un bell’aspetto.

Una donna ancora più anziana venne alla porta. «Che cosa è successo? Un altro degli attacchi di cuore di Lenny?» Si voltò e strillò in direzione del corridoio. «Roger, chiama il pronto intervento. Lenny ha avuto un altro attacco.»