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— Sì.

— Il suo vero nome è Charley Munz, ma tutti lo chiamano Eolo. Segua la statale 12, poi…

Presi nota di tutto. Ringraziai Higgins e riattaccai, promettendogli che ci saremmo messi d’accordo per la caccia al procione.

Poi chiamai Joy al giornale.

— Hai fatto la spesa, Parker? — mi chiese.

Le dissi di sì, e che adesso sarei di nuovo dovuto uscire. — Lascio la roba in frigo — le dissi. — Hai fatto caso se funzionava?

— Mi pare di sì — rispose, poi chiese: — Dove vai? Sembri preoccupato. Che succede?

— Vado a vedere un uomo che si occupa di puzzole.

Joy pensò che la volessi prendere in giro per il suo articolo. La cosa non la divertì.

— Niente affatto — la rassicurai — parlo sul serio. C’è un certo Munz, che abita verso il fiume, che pare sia l’unico uomo al mondo che riesce ad addomesticare le puzzole allo stato naturale.

— Stai scherzando?

— No. Me l’ha detto un taxista che ho conosciuto, un certo Larry Higgins.

— Parker, tu stai seguendo qualche pista. Sei stato di nuovo a casa Belmont. Che ti è successo?

— Niente di che… Mi hanno fatto un’offerta, su cui mi riservo di decidere.

— Di che si tratta? — domandò Joy.

— Vogliono che mi occupi del loro ufficio stampa, per così dire.

— E hai accettato?

— Non lo so ancora — risposi.

— Ho paura, Parker, molto più di ieri sera — mi confessò Joy. — Ho tentato di parlarne a Gavin e a Dow, ma alla fine non ho trovato il coraggio. Che senso ha? Tanto non mi crederebbero.

— Già, come nessuno al mondo.

— Tornerò a casa presto. Non m’importa se lascio qualcosa da fare per Gavin. Me ne vado. Non starai fuori tanto, vero?

— Farò presto — le promisi. — Tu intanto prepara la cena.

Ci salutammo, tornai in macchina.

Portai la spesa dentro casa, misi il latte e il burro in frigo, lasciando il resto sulla tavola. Presi il resto del denaro dal nascondiglio e me ne riempii le tasche.

Quindi partii alla ricerca del vecchio delle puzzole.

35

Fermai la macchina sul margine del cortile, come mi aveva detto Higgins, al lato del cancello che portava verso i granai, in modo da non ostruire l’entrata. Il luogo era deserto, eccetto per un cane di razza incerta che mi si avvicinò scodinzolando, per darmi ufficiosamente il benvenuto.

Gli diedi qualche colpetto affettuoso sulla testa, e con lui accanto passai il cancello e attraversai il cortile. Poi però, all’altezza del buco nella recinzione che immetteva in un campo di trifoglio, gli ordinai di andarsene, perché non volevo che mi seguisse fin dal vecchio, e magari irritasse le sue bestiole. Sembrava che il cane non volesse saperne di lasciarmi, quasi assicurando che si sarebbe comportato bene, ma non cambiai parere, e glielo dimostrai con una serie di pacche sul groppone, finché non si convinse ad allontanarsi (ma girandosi ancora qualche volta indietro per accertarsi che non avessi cambiato idea).

Finalmente solo, attraversai il campo lungo un solco tracciato nel trifoglio. Di tanto in tanto, qualche cavalletta tardiva saltava su e scappava, disturbata dal mio passaggio.

Al termine del campo c’era un altro buco in un’altra recinzione, sempre dietro al solco, che stavolta era impresso in mezzo a una fitta vegetazione. Il sole al tramonto creava lunghe ombre. Tutt’intorno si udivano gli squittii degli scoiattoli che allestivano un carosello tra le foglie morte e precipitandosi giù dai tronchi degli alberi.

Attraversai un valloncello, e sull’altro lato, annidata sotto un grande masso che emergeva dai fianchi della collina, scorsi la baracca dell’uomo che cercavo.

Lo trovai seduto all’esterno, su una vecchia sedia a dondolo che scricchiolava al punto da far temere che sarebbe caduta a pezzi da un momento all’altro. Il pavimento interno era formato da lastre di roccia che il vecchio probabilmente aveva portato con le sue mani dal greto del torrente in secca che si snodava in fondo al valloncello. Sulla spalliera della sedia a dondolo era distesa una pelle di pecora, le cui zampe anteriori oscillavano libere, insieme alla sedia.

— Buonasera, straniero — mi disse il vecchio, senza scomporsi, come se fosse abituato a ricevere ospiti inattesi. Pensai che probabilmente si era accorto da tempo del mio arrivo, perché avevo camminato per parecchio allo scoperto.

Io viceversa non lo avevo notato, perché solo adesso mi rendevo conto di quanto la capanna si armonizzasse bene con la collina e il grande masso che la sovrastava, come un pezzo naturale di paesaggio. Era bassa, non molto grande, fatta di tronchi che, col passare del tempo, avevano assunto un colore neutro. Presso la porta c’era una pompa dell’acqua, con sotto una catinella. Un secchio, da cui spuntava un mestolo, era posato sul tavolo. Ammucchiata in un angolo c’era la legna per il fuoco, vicino a un ceppo in cui era infissa un’ascia a doppio taglio.

— Charley Munz? — chiesi.

— Precisamente. Come ha fatto a trovarmi? — disse.

— Larry Higgins mi ha parlato di lei.

— Ah, sì. Larry è un buon amico. Se l’ha mandata lui, niente da ridire.

A suo tempo doveva essere stato un omaccione. Ora, con l’età, si era in parte rattrappito. La camicia pendeva flaccida da due spalle ancora poderose, i pantaloni davano l’impressione di essere mezzi vuoti, come capita osservando i vecchi. Non portava il cappello, in compenso i suoi capelli grigio ferro davano l’idea che avesse un berretto. La barbetta era corta ed incolta, ma non seppi decidere se fosse trascurata, o intenzionalmente così.

Mi presentai dicendogli il mio nome, e che mi interessavo di puzzole, e sapevo del suo libro.

— A quanto pare — mi disse — desidera sedersi a scambiare quattro chiacchiere con me.

— Se non disturbo.

Si alzò, come per entrare in casa.

— Si metta pure comodo — disse. — Si fermerà un pochino, no?

Mi guardai intorno in cerca di una sedia, in modo abbastanza scortese, temo.

— Usi la mia — disse lui — l’ho riscaldata per lei. Io prenderò un ceppo, e sarà tutta salute, perché me ne sono già stato in panciolle tutto il pomeriggio.

Mentre mi abbandonavo sulla sedia a dondolo, il vecchio entrò nella baracca. Pensai che si sarebbe offeso se non avessi accettato queDa sedia che, peraltro, era abbastanza comoda. Ammirai il paesaggio. Il terreno era cosparso di foglie, che non avevano ancora perduto i loro bei colori. Alcuni alberi le conservavano ancora quasi tutte. Uno scoiattolo si fermò nei pressi di un tronco caduto, ondeggiando la coda mentre mi fissava imperterrito.

In quel luogo provavo una sensazione di calma, di pace meravigliosa, come non conoscevo da anni. Capii perché il vecchio Eolo si fosse crogiolato lì per l’intero pomeriggio. Dappertutto l’occhio scopriva qualcosa di rilassante. Non trasalii nemmeno quando una puzzola arrivò saltellando da dietro l’angolo della capanna.

L’animale si fermò un attimo a guardarmi, alzando un zampetta come per salutare, quindi si allontanò placidamente verso il prato. Non era un esemplare molto grande, ma a me lo sembrò, e mi immobilizzai più che potevo, senza muovere un muscolo.

Riemerse il vecchio, tenendo in mano una bottiglia. Vide la puzzola e scoppiò a ridere: — L’ha spaventata, scommetto, eh?

— Solo per un momento — risposi. — Ma sono rimasto fermo, e non se l’è presa.

— Le presento Luna — mi disse — una gran seccatrice. Me la ritrovo sempre tra i piedi.

Tolse un ciocco dalla pila della legna da ardere, e vi si mise a sedere pesantemente. Stappò la bottiglia, me la porse.

— A parlare, vien sete — disse. — È quasi un mese che non viene un’anima viva a bere un goccetto con me. Spero che mi terrà compagnia, signor Graves.