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Non potei fare a meno di inumidirmi le labbra. Non avevo bevuto tutto il giorno, né avevo avuto il tempo per pensarci. Adesso bruciavo per la sete.

— Reggo bene, signor Munz — risposi — le farò compagnia volentieri.

Alzai la bottiglia e tracannai un discreto sorso. Non era certo whisky di marca, ma il sapore era buono. Pulii con la manica l’imboccatura della bottiglia e gliela passai. Il vecchio bevve anche lui, e mi restituì la bottiglia.

In quel mentre Luna, la puzzola, gli andò vicino e gli poggiò le zampe sulle ginocchia. Lui allungò una mano e se la mise accucciata in grembo.

Rimasi incantato a guardare quella perfetta intesa, tanto che scolai un altro paio di sorsi dalla bottiglia, dimenticando il padrone di casa.

Restituii la bottiglia al vecchio, che la trattenne in una mano, grattando con l’altra l’animale sotto il mento.

— Sono contento che sia venuto — mi disse — fosse anche soltanto per scambiare quattro chiacchiere. Non sono un selvaggio, qui si è sempre i benvenuti. Ma mi accorgo che qualcosa le rode dentro. C’è una ragione precisa per cui è venuto, vero? Bene, sputi il rospo, liberamente.

L’osservai per un attimo e presi la grande decisione. Andava contro ogni logica, e anche contro il piano che avevo elaborato. Forse a indurmi a farlo fu quella grande pace, la serenità di quell’uomo semplice, e il relax della sedia a dondolo, e chissà quali altre mille ragioni nascoste. Se avessi indugiato, avrei cambiato idea. Ma qualcosa dentro di me, quel pomeriggio, mi convinse.

— Ho mentito a Higgins per farmi dire dove potevo trovarla — gli confessai. — Gli ho detto che volevo aiutarla a terminare il libro che sta scrivendo. Ma basta con le bugie, a lei non mentirò. Le dirò le cose come stanno.

Il vecchio apparve imbarazzato: — Il libro? Quello sulle puzzole?

— Proprio quello — gli dissi. — Rimane inteso che la aiuterò, una volta portata a termine questa dannata faccenda, se vuole.

— Penso che sarebbe un eufemismo dire che avrei bisogno di qualche piccolo aiuto. Ma non è questo il motivo per cui lei è qui, se ho capito bene.

— No, infatti.

Scolò una profonda sorsata e mi passò la bottiglia. Bevvi di nuovo anch’io.

— D’accordo, amico — disse alla fine. — Sono tutt’orecchi.

— La prego di non interrompermi per nessun motivo. Mi lasci prima dire tutto quello che ho dentro, poi, se vorrà fare delle domande, risponderò.

— Sono un buon ascoltatore — rispose, mentre con una mano accarezzava la bottiglia che gli avevo restituito, e con l’altra la puzzola.

— Quello che sto per raccontarle potrà essere difficile da credere.

— È affar mio — rispose. — Parli e poi vedremo.

Gli raccontai tutto, dal principio alla fine. Cercai di dare il meglio, in ogni caso fu un resoconto onesto. La verità, nient’altro che la verità. Tutto ciò che era accaduto, tutto quello che sapevo, e che supponevo. Gli dissi che nessuno voleva credermi, e non potevo biasimarli. Gli raccontai di Joy, di Stirling, del direttore e del senatore, e dell’agente di assicurazioni che non trovava casa. Cercai di non tralasciare il minimo dettaglio.

Poi smisi di narrare, e scese il silenzio. Mentre parlavo, il sole era scomparso dietro l’orizzonte, e la foschia aveva ammantato i boschi. Si era anche levato un venticello gelido, che portava l’odore delle foglie morte.

Restando seduto, pensai a quanto ero stato imbecille. Vuotando il sacco in quel modo, mi ero tagliato le gambe da solo, perché avrei potuto convincerlo in altri infiniti modi a fare quello che desideravo da lui. Ma no, dovevo proprio prendere la strada più difficile!

Aspettavo le sue reazioni. Le avrei ascoltate, poi mi sarei alzato e me ne sarei andato. L’avrei ringraziato per il whisky e la cortesia, poi avrei riattraversato i campi e i boschi, al buio, fino alla macchina. Sarei tornato al motel per cena… anzi, in ritardo per la cena, facendo innervosire Joy. E il mondo sarebbe crollato senza opporre resistenza.

— Se è venuto a chiedere il mio aiuto — mi disse il vecchio, parlando al buio — mi dica che cosa posso fare per aiutarla.

— L… lei mi crede? — balbettai.

— Straniero — rispose — quello che penso io non conta. Di certo non sarebbe venuto a seccare me, se quello che ha raccontato non fosse vero. Inoltre, credo che alla mia età si riesca a distinguere quando un uomo sta mentendo.

Tentai di parlare senza riuscirci. Le parole mi si accavallavano in gola, mi veniva da piangere come non mi accadeva da decenni. Dentro di me sentivo crescere un sentimento di gratitudine e di speranza.

C’era un uomo che credeva alle mie parole, senza ritenermi pazzo, restituendomi tutta la dignità che temevo di essere sul punto di perdere irrimediabilmente.

— Quante puzzole potrebbe mettere insieme? — gli chiesi.

— Una dozzina, forse una ventina. Ce ne sono molte tra queste pietre. E vengono tutte le sere a trovarmi, a prendere un boccone dalle mie mani.

— Potrebbe raccoglierle in modo da poterle trasportare?

— Trasportarle? — mi chiese.

— In città — risposi.

— C’è Tom, il proprietario della fattoria dove ha parcheggiato. Lui potrebbe prestarmi il suo pick-up.

— Senza far domande?

— Oh, farà un sacco di domande! Ma troverò qualche buona scusa.

— Bene, allora — dissi. — Ora le dico cosa desidero che faccia. Il modo in cui potrà dare il suo contributo al piano.

Rapidamente gli diedi delle istruzioni.

— Ma… le mie puzzole! — esclamò, addolorato.

— Pensiamo prima agli uomini — osservai. — Ricorda cosa le ho detto?

— E se mi ferma la polizia…

— Niente paura, c’è una soluzione anche per questo. Ecco… — Tirai fuori di tasca una manciata di dollari e glieli porsi. — Con questi potrà pagare qualsiasi multa, e ne avanza.

Guardando il denaro, il vecchio osservò: — È la roba che le hanno dato a casa Belmont!

— Una parte — precisai. — Anche lei, non lo porti tutto addosso. Potrebbe scomparire dalle tasche, trasformandosi in ciò che era prima. Meglio lasciarne un po’ qui.

Facendo scendere Luna da in grembo, mise il denaro in tasca. Poi si alzò e mi passò la bottiglia.

— Quando si comincia? — chiese.

— Posso telefonare a questo Tom?

— Certo. Ma facciamo così. Fra poco andrò ad avvisarlo che aspetto una telefonata. Quando lei chiamerà, Tom mi verrà ad avvisare con il camioncino, e allora gli chiederò il favore di prestarmelo. Senza dirgli tutta la verità, naturalmente, benché di Tom ci si possa fidare.

— La ringrazio di cuore.

— Ancora un goccio — disse, porgendomi la bottiglia. — Poi me la ridia, che ne ho bisogno anch’io.

Bevvi, gli allungai il whisky, e lui tracannò. Quindi disse: — Mi metterò subito al lavoro. Tra un paio d’ore avrò radunato un bel po’ di puzzole.

— Io intanto vado a controllare che sia tutto a posto — gli dissi. — Poi chiamerò Tom… come fa di cognome?

— Anderson — disse il vecchio. — Nel frattempo, io gli avrò già parlato.

— Grazie ancora, vecchio mio. E a presto.

— Un altro goccetto? — offrì.

Scossi la testa. — Devo lavorare — dissi.

Me ne andai, attraversando la campagna a passi pesanti, nella incerta luce del crepuscolo.

La fattoria presso cui avevo fermato la macchina aveva qualche finestra accesa, ma sull’aia non c’era nessuno.

Mentre mi avvicinavo alla macchina, udii ringhiare nel buio. Quel suono minaccioso mi fece drizzare i capelli in testa. Mi colpì come una martellata, lasciandomi paralizzato e inebetito, per tutta la paura e l’odio che trasudava, insieme a un rumore di zanne.