Выбрать главу

Lasciai cadere il giornale sul tavolo e rimasi immobile, senza far nulla, richiamando pigramente alla mente la conferenza stampa da Franklin. Ma riuscivo a focalizzare solo la mosca che passeggiava sulla testa di Bennett.

Poi emerse qualcosa.

Gunderson mi aveva chiesto se avessi qualche idea che potesse guidarci a scoprire chi era Bennett.

Avevo risposto di no, ma avevo fatto male, perché qualcosa c’era. Non una traccia, per essere esatti, ma qualcosa di stranamente particolare: il profumo di Bennett. Un dopobarba, avevo pensato appena mi era arrivato alle narici. Si trattava di una lozione che non avevo mai sentito, anzi di un genere che nessun uomo sopporterebbe di mettersi addosso. Non che fosse troppo forte, dato che me n’era arrivato solo un lieve sentore. Ma era un tipo di odore che uno non assocerebbe mai a un essere umano.

Cercai di classificare quell’odore paragonandolo ad altri noti. Senza riuscirci, perché in vita mia non ne avevo mai annusato uno simile, ma ero matematicamente certo che l’avrei riconosciuto al volo, se avessi avuto l’occasione di sentirlo di nuovo.

Mi alzai per andare da Joy. Vedendomi, smise di battere sulla tastiera. Alzò la testa per guardarmi, e notai che aveva gli occhi un po’ troppo lucidi.

— Che ti prende? — le chiesi.

— Quella povera gente… — disse. — Mi fa così pena!

— Ma di chi… — cominciai, poi intuii di che si trattava. — Come mai sono venuti da te? — chiesi.

— Dow non c’era — rispose. — E gli altri erano tutti occupati. Così Gavin li ha mandati da me.

— Avrei dovuto riceverli io — le dissi. — Dow me ne aveva parlato, e gli avevo promesso di farlo. Ma con la conferenza da Franklin ho dimenticato tutto. Però mi aveva detto che si trattava di una persona sola, mentre tu usi il plurale.

— Ha portato anche moglie e figli, e si sono messi a sedere, guardandomi con degli occhioni tristi. Mi hanno raccontato che hanno venduto la casa perché non ci entravano più, con la famiglia che cresceva, e che ne cercavano una più grande. Dovranno andarsene tra un paio di giorni, e non sanno che fare delle loro ossa. Stavano lì seduti, guardandomi pieni di speranza come se fossi Babbo Natale o la Fata dai capelli turchini. Erano sicuri che io avrei potuto risolvere il loro problema. La gente si fa strane idee sui giornali e sui giornalisti, Parker. Pensano che siamo una specie di maghi. Sperano che, se riescono a far scrivere qualcosa sui giornali, certamente ne uscirà qualcosa di buono. Ritengono che noi possiamo fare i miracoli. E tu stai lì a guardarli, e sai che invece non puoi fare niente.

— Lo so — le dissi — ma non te la prendere. Ci devi fare il callo.

— Parker — disse — ti prego, va’ via. Lasciami finire. Gavin sta aspettando questa storia da dieci minuti, e non fa altro che strillare.

Non stava scherzando. Voleva che me ne andassi per continuare a piangere senza farsi vedere.

— Ok — dissi. — A stasera.

Tornato al mio tavolo, misi da parte gli articoli che avevo scritto quella mattina. Presi cappello e cappotto e uscii a bere qualcosa.

7

Eddy era solo nel locale, appoggiato con i gomiti sul bancone del bar, con il volto tra le mani. Non aveva una bella cera.

Mi sedetti sullo sgabello e gli porsi cinque dollari.

— Uno in fretta, Eddy — dissi. — Ne ho bisogno maledetto.

— Tìenti i soldi — brontolò. — Offro io.

Poco mancò che non cadessi dallo sgabello. Una cosa simile non era mai accaduta.

— Ti senti bene, Eddy? — gli chiesi.

— Mai stato meglio — rispose, prendendo il mio scotch preferito. — Me ne vado, e voglio che i clienti più affezionati bevano alla mia salute.

— Guarda guarda, hai fatto fortuna! — commentai incautamente, sapendo che all’amico piaceva scherzare.

— No. Mi hanno dato la disdetta del contratto di affitto — spiegò.

Gli diedi una pacca su una spalla. — Mi spiace — mormorai. — Ma ci sono decine di negozi che potresti rilevare in questi paraggi.

Eddy scosse la testa, addolorato. — No. Non ce ne sono. Ho cercato dappertutto — disse. — Se posso dirla tutta, sono sicuro che qualcuno non sta facendo le cose pulite. Qualcuno avrà bisogno della mia licenza, e avrà certamente tentato di corrompere un paio di consiglieri.

Mi versò da bere e se ne versò anche per lui, contrariamente alla tradizione dei gestori di bar. Era brutto vedere che Eddy non aveva neanche più la voglia di prendersela.

— Ventotto anni — riprese, addolorato — da quando sto qui. E il mio locale ha una buona reputazione. Tu Parker, che sei un cliente affezionato, lo sai che qui non entra certa gente, e neppure certe… donne. I poliziotti vengono, si siedono, e gli offro da bere.

Gli diedi ragione, era la verità sacrosanta. — E come faremo noi del giornale a tirare avanti, se tu chiudi? Dove andranno i ragazzi a bere un goccetto? — dissi. — Non c’è un altro locale nel giro di otto isolati dall’ufficio.

— E io, che farò? — disse. — Sono ancora troppo giovane per andare in pensione, e non ho messo da parte abbastanza quattrini. Devo guadagnarmi da vivere. Potrei lavorare per conto terzi, certo, e quasi tutti in città si darebbero da fare per darmi una mano. Ma ho sempre gestito un locale, mi ci vorrebbe molto tempo per adeguarmi a un cambiamento così. Ti confesso che prevedo brutti giorni.

— È uno schifo — dissi.

— Com’è strano il mondo — proseguì Eddy. — Il mio locale e i Magazzini Franklin, chiusi contemporaneamente. Ho letto il tuo articolo di oggi. Senza Franklin, questa non sarà più la stessa città.

Dissi che anche senza il suo locale la città sarebbe stata diversa.

Versò un altro bicchierino, ma solo a me questa volta.

Parlammo ancora dei Franklin che chiudevano, del suo contratto saltato e del fatto che non si capiva in che accidenti di mondo ci saremmo ritrovati a vivere. Mi versò ancora un paio di bicchierini e ne prese uno per sé. Bevemmo ancora, ma lo convinsi a lasciarmi pagare di tasca mia, perché, se andava verso un periodo critico, non era giusto che desse via gratis le consumazioni. Rispose che con me negli ultimi sei o sette anni aveva guadagnato abbastanza da permettersi una giornata di bevute gratis.

Arrivarono altri clienti, Eddy si allontanò per servirli. Poiché erano estranei, o comunque clienti saltuari, lasciò che pagassero. Batté l’importo, diede loro il resto, poi tornò da me. Riprendemmo ancora una volta il discorso sulla situazione, ripetendoci a vicenda quanto già detto senza aggiungere niente di nuovo.

Uscii che erano le due.

Promisi a Eddy che avrei fatto volentieri un’altra chiacchierata con lui prima della chiusura del locale.

Mi sentivo molto depresso. Avrei dovuto essere un po’ ubriaco da quanto avevo bevuto, invece ero solo depresso.

Stavo per tornare in ufficio, quando a metà strada decisi che non ne valeva la pena. Avevo ancora un’ora o poco più per terminare la mia giornata, ma era già pomeriggio, l’edizione serale era già in macchina, e io non avevo altro da fare. Eccetto forse scrivere un articolo, ma non me la sentivo di scrivere. Così decisi di andarmene a casa. Avrei lavorato nel weekend per recuperare.

Mi diressi al parcheggio, salii in macchina e mi avviai verso casa, procedendo a velocità moderata e con molta attenzione, per non incorrere nelle ire di qualche poliziotto.

8

Sistemai la macchina nel parcheggio dietro casa, stavolta nel posto riservato.

C’era tanta pace in quel luogo, e rimasi a godermela un po’, prima di scendere dalla vettura. La temperatura era piacevolmente tiepida. Nel cortile, risultante dalle tre ali dell’edificio, non c’era un soffio di vento. Il sole splendeva a picco su un pioppo che cresceva in un angolo, facendo risplendere i magnifici colori autunnali delle sue foglie, come l’albero di una Terra promessa. In quell’atmosfera sonnolenta, udii lo zampettare ritmico di un cane nel vialetto. Non appena mi vide, la bestia si accucciò e rimase a fissarmi con le orecchie dritte. Era grosso la metà di un cavallo, e con un pelo così arruffato che sembrava non avesse nessuna forma definita. Con una poderosa zampa posteriore si grattò via aristocraticamente una pulce.