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Okay, stavo per muovermi in un territorio per niente promettente. Avevo eliminato amici, parenti e rendiconti finanziali. Il che esauriva più o meno le mie munizioni. E quel che era peggio, avevo una sensazione di vuoto e di schifo allo stomaco. Era quella che provavo quando qualcosa andava storto. Non volevo davvero che Dougie fosse morto, ma non riuscivo a trovare prove che mi confermassero che era vivo.

Be’, è da stupidi, dissi tra me e me. Dougie è un babbeo. Dio solo sa cosa sta combinando in questo momento. Potrebbe essere in pellegrinaggio verso Graceland. Oppure giocare a blackjack ad Atlantic City. O magari sta perdendo la verginità con la cassiera del turno di notte del 7-Eleven del quartiere.

E forse quella sensazione di vuoto e di schifo che ho nello stomaco è solo fame. Ma certo! Per fortuna avevo fatto un po’ di spesa da Giovichinni. Pescai dalla borsa le merendine e ne diedi a Bob una farcita al cocco. Io mangiai il pacchetto di biscotti al burro.

«Che te ne pare?» chiesi a Bob. «Va meglio adesso?»

Io mi sentivo meglio. I dolci mi fanno sempre sentire meglio. In realtà mi sentivo così bene che decisi di uscire e mettermi di nuovo a cercare Eddie DeChooch. Questa volta avrei scelto un’altra zona. Quella dove abitava Ronald. Sapere che Ronald non era in casa rappresentava un valido incentivo.

Bob e io attraversammo la città diretti a Cherry Street. Cherry Street fa parte di una zona residenziale nel quadrante nord-est di Trenton. È una zona perlopiù di villette bifamiliari costruite su piccoli lotti edificabili e assomiglia un po’ al Burg. Era il tardo pomeriggio. La scuola era finita. Nei soggiorni e nelle cucine erano accese le TV. Le pentole erano sul fuoco.

Oltrepassai l’abitazione di Ronald senza dare troppo nell’occhio, cercando la Cadillac bianca ed Eddie DeChooch. La casa di Ronald era una unifamiliare con una facciata in mattoni rossi. Non pretenziosa quanto quella di Joyce con le sue colonnine, ma nemmeno troppo raffinata. La porta del garage era chiusa. Nel vialetto era parcheggiato un furgoncino. Il giardinetto sul davanti era ben tenuto, con tanto di aiuole attorno a una statua bianca e blu, alta circa un metro, della Vergine Maria. Aveva un’espressione composta e serena nel suo involucro di gesso. Sicuramente più di me nell’involucro in fibra di vetro della mia Honda.

Io e Bob avanzammo lentamente lungo la strada, sbirciando nei vialetti, allungando il collo per vedere le ombre che si muovevano dietro le tendine trasparenti. Percorremmo Cherry Street due volte e poi cominciammo a cercare nel resto del vicinato, andando per settori. C’erano molte vecchie auto di grossa cilindrata, ma nessuna Cadillac bianca. E nessun Eddie DeChooch.

«Non lasciamo nulla di intentato» dissi a Bob, cercando di giustificare quello spreco di tempo.

Bob mi diede un’occhiata che diceva sarà come dici tu. Teneva la testa fuori dal finestrino, in cerca di barboncine carine.

Presi la Olden Avenue e mi diressi verso casa. Stavo per attraversare la Greenwood quando Eddie DeChooch mi sfrecciò accanto a bordo della Cadillac bianca, procedendo in direzione opposta alla mia.

Feci un’inversione a U nel bel mezzo di un incrocio. Si stava avvicinando l’ora di punta e c’era un discreto traffico. Almeno una dozzina di persone si attaccarono al clacson e mi fecero gestacci con le mani. Mi reinserii nel flusso del traffico e cercai di non perdere di vista Eddie. Tra me e lui c’erano una decina di auto. Vidi che aveva preso State Street, diretto al centro. Quando finalmente riuscii a girare l’avevo già perso.

Entrai in casa dieci minuti prima che Joe arrivasse.

«Cosa sono quei fiori fuori dalla porta?» mi domandò.

«Li ha mandati Ronald DeChooch. E non mi va di parlarne.»

Morelli mi fissò per un istante. «Devo sparargli?»

«Si illude che tra noi sia nata un’attrazione.»

«Molte persone si fanno questo genere di illusioni.»

Bob galoppò incontro a Morelli e gli si buttò addosso per richiamare la sua attenzione. Joe gli diede un abbraccio e una bella strapazzata. Che cane fortunato.

«Oggi ho visto Eddie DeChooch» dissi.

«E allora?»

«L’ho perso un’altra volta.»

Morelli sorrise. «Famosa cacciatrice di taglie perde anziano… due volte.» A dire il vero erano tre volte!

Morelli si avvicinò e fece scivolare le braccia intorno a me. «Vuoi essere consolata?»

«Cosa avevi in mente?»

«Quanto tempo abbiamo?»

Sospirai. «Non abbastanza.» Guai se avessi ritardato cinque minuti per cena. Gli spaghetti si sarebbero scotti. L’arrosto si sarebbe asciugato. E sarebbe stata tutta colpa mia. Avrei rovinato la cena. Un’altra volta. E, cosa ancora peggiore, la mia sorella perfetta Valerie non ha mai rovinato una cena. Mia sorella ha avuto il buon senso di trasferirsi a migliaia di chilometri di distanza. Questo vi dà la misura di quanto è perfetta.

Mia madre venne ad aprire la porta a me e a Joe. Bob balzò in casa, con le orecchie svolazzanti e gli occhi lucidi.

«Quant’è carino» disse la nonna. «È una cannonata.»

«Sposta la torta sopra il frigorifero» disse mia madre. «E dov’è l’arrosto? Non farlo avvicinare all’arrosto.»

Mio padre era già a tavola a tenere d’occhio l’arrosto e a sorvegliare la fetta finale di manzo.

«A che punto siamo con il matrimonio?» chiese la nonna quando eravamo tutti a tavola a divorare la cena. «Al salone di bellezza le ragazze mi hanno chiesto quando sarà. E volevano anche sapere se avevamo affittato una sala. Marilyn Biaggi ha cercato di farsi dare il deposito dei vigili del fuoco per il ricevimento della figlia Carolyn, ma era già prenotata per tutto l’anno.»

Mia madre lanciò un’occhiata al mio anulare. Niente anelli al dito. Proprio come il giorno prima. Serrò le labbra e tagliuzzò la carne in tanti piccoli pezzettini.

«Stiamo pensando a una data» dissi «ma non abbiamo ancora deciso nulla.» Mamma mia, mamma mia, come è brutta la bugia! Non abbiamo mai parlato di una data. Abbiamo evitato di parlare di date come la peste.

Morelli mi cinse le spalle con un braccio. «Steph ha proposto di lasciar perdere il matrimonio e cominciare a convivere, ma non so se è una buona idea.» Joe se la cavava egregiamente quando si trattava di dire bugie, e qualche volta aveva un fastidioso senso dell’umorismo.

Mia madre prese fiato e infilò il coltello nella carne con tanta forza che la forchetta andò a stridere rumorosamente contro il piatto.

«A quanto pare è così che si usa al giorno d’oggi» disse la nonna. «Io non ci vedo niente di male. Se volessi vivere insieme a un uomo, lo farei senza troppi problemi. Cosa mai può voler dire uno stupido pezzo di carta? A dire il vero sarei andata a vivere con Eddie DeChooch, ma il pene non gli funziona.»

«Cristo santo» disse mio padre.

«Non che di un uomo mi interessi solo il pene» aggiunse la nonna. «È che tra me ed Eddie c’era solo un’attrazione fisica. Quando si trattava di parlare non avevamo granché da dirci.»

Mia madre stava facendo dei movimenti che assomigliavano molto a un tentativo di pugnalarsi il petto. «Perché non mi ammazzate» disse. «Sarebbe tutto più facile.»

«È la menopausa» bisbigliò la nonna rivolta a Joe e a me.

«Non è la menopausa» strillò mia madre. «Sei tu! Mi mandi al manicomio!» Puntò il dito contro mio padre. «Tu mi mandi al manicomio! E anche tu» disse, fulminandomi con lo sguardo. «Mi mandate tutti al manicomio. Per una volta mi piacerebbe cenare senza dover parlare di parti intime, alieni e sparatorie. E voglio dei nipoti intorno a questa tavola. Li voglio qui l’anno prossimo, e che siano legittimi. Pensate che durerò in eterno? Presto sarò nella tomba e allora vi dispiacerà.»