«Certo» dissi. «Comunque non si sa mai.»
Lula aprì un occhio. «Oh-oh, stai dicendo di nuovo le bugie?»
«Faccio da esca» spiegai.
«Ma davvero.»
«Cosa sta cercando Chooch?» domandò Connie.
«Non lo so» ammisi. «Fa parte del problema.»
Solitamente la gente lascia il Burg quando divorzia. Melvin rappresentava un’eccezione. Penso che all’epoca del divorzio fosse semplicemente troppo sfinito e sopraffatto per poter minimamente cercare un posto dove andare.
Parcheggiai davanti a casa di Selig e girai intorno fino al garage. Era un garage sgangherato a due posti con sopra un alloggio decrepito di una sola stanza per un uomo solo. Salii le scale e bussai. Rimasi in ascolto alla porta. Niente. Bussai di nuovo, accostai l’orecchio al legno graffiato della porta e rimasi nuovamente in ascolto. Dentro qualcuno si muoveva.
«Ehi, Melvin» gridai. «Apri.»
«Vattene» disse lui da dietro la porta. «Non mi sento bene. Vattene.»
«Sono Stephanie Plum. Devo parlarti.»
La porta si aprì e Melvin mise fuori la testa. Era spettinato e aveva gli occhi iniettati di sangue.
«Questa mattina saresti dovuto andare in tribunale» gli ricordai.
«Non ce l’ho fatta. Sto male.»
«Avresti dovuto avvertire Vinnie.»
«Oops. Non ci ho pensato.»
Gli annusai il fiato. «Hai bevuto?»
Dondolò all’indietro sui tacchi e sul viso gli si allargò un sorriso da pazzoide. «Certo che no.»
«Hai un alito che sa di sciroppo per la tosse.»
«Grappa alla ciliegia. Me l’ha regalata qualcuno per Natale.»
Oh, cavolo. Non potevo prelevarlo in quello stato. «Melvin, dobbiamo farti passare la sbornia.»
«Sto bene. Tranne che non mi sento i piedi.» Abbassò lo sguardo. «Fino a un minuto fa li sentivo.»
Lo feci uscire di casa, chiusi la porta a chiave e scesi i gradini malandati rimanendo davanti a lui per evitare che si rompesse il collo. Lo caricai sulla mia CR-V e gli feci allacciare la cintura. Rimase appeso alla fettuccia della cintura, a bocca aperta e con gli occhi stralunati. Lo portai fino a casa dei miei e quasi dovetti trascinarlo dentro.
«Che bellezza, abbiamo visite» esclamò nonna Mazur aiutandomi a portare Melvin in cucina.
Mia madre stava stirando e canticchiava qualcosa.
«Non l’ho mai sentita cantare così» dissi alla nonna.
«È tutto il giorno che lo fa» rispose lei. «Sto cominciando a preoccuparmi. Ed è da un’ora che stira la stessa camicia.»
Feci sedere Melvin al tavolo e gli offrii un caffè e un panino al prosciutto.
«Mamma?» dissi. «Stai bene?»
«Sì, certo. Sto solo stirando, cara.»
Melvin girò gli occhi in direzione della nonna. «Lo sa cosa ho fatto? Ho uriiiiinato sulla torta di matrimonio della mia ex moglie. Ho pissssciato sulla glassa. Davanti a tutti.»
«Poteva andare peggio» rispose la nonna. «Pensa se avessi fatto la cacca sulla pista da ballo.»
«Lo sa cosa succede quando si piscia sulla glassa? Si rooovina. Si scioglie tutta.»
«E che mi dici degli sposini in cima alla torta?» chiese la nonna. «Hai pisciato anche su quelli?»
Melvin scosse la testa. «Non ci sono arrivato. Ho beccato solo il primo piano della torta.» Appoggiò la testa sul tavolo. «Non posso credere di aver fatto una cosa del genere.»
«Forse con un po’ di pratica, la prossima volta potresti arrivare fino all’ultimo piano della torta» commentò la nonna.
«Non andrò mai più a un matrimonio» disse Melvin. «Vorrei morire. Forse dovrei semplicemente uccidermi.»
Valerie entrò in cucina con il cesto della biancheria. «Che cosa succede?»
«Ho pisciato sulla torta» disse Melvin. «Ero ubriaco fradicio.» E poi svenne sul panino.
«Non posso portarlo in tribunale in questo stato» dissi.
«Può fare un pisolino sul divano» propose mia madre, riponendo il ferro da stiro. «Prendiamolo ognuno da una parte e trasciniamolo in soggiorno.»
Ziggy e Benny mi aspettavano nel parcheggio quando arrivai a casa.
«Abbiamo sentito che vuoi fare un accordo» esordì Ziggy.
«Esatto. Avete il Luna?»
«Non proprio.»
«Allora niente accordo.»
«Abbiamo passato in rassegna tutto il tuo appartamento e non abbiamo trovato niente» disse Ziggy.
«Infatti è da un’altra parte.»
«Dove?»
«Non dico niente se prima non mi fate vedere il Luna.»
«Potremmo farti molto male» minacciò Ziggy. «Potremmo costringerti a parlare.»
«La nonna del mio futuro marito non ne sarebbe affatto contenta.»
«Sai cosa penso?» disse Ziggy. «Penso che tu non abbia niente. Che tu stia raccontando balle.»
Alzai le spalle e mi voltai per entrare nel palazzo. «Quando trovate il Luna, chiamatemi e faremo l’accordo.»
Da quando sono diventata cacciatrice di taglie, diverse persone hanno fatto irruzione in casa mia. Compro le migliori serrature in commercio, ma non serve a niente. Entrano tutti. La cosa che mi fa più paura, è che mi ci sto abituando.
Ziggy e Benny non solo avevano lasciato tutto come avevano trovato… avevano persino sistemato. Mi avevano lavato i piatti e pulito il piano di lavoro. La cucina era linda e ordinata.
Squillò il telefono: era Eddie DeChooch.
«So che ce l’hai tu.»
«Esatto.»
«È a posto?»
«Sì.»
«Mando qualcuno a prenderlo.»
«Aspetta un minuto. E il Luna? L’accordo è che sono disposta a barattarlo con il Luna.»
DeChooch fece un verso di scherno. «Il Luna. Non capisco perché ti importi tanto di quel fallito. Il Luna non rientra nell’accordo. Ti darò dei soldi.»
«Non voglio soldi.»
«Tutti vogliono soldi. Okay, senti qua: che ne dici se ti rapisco e ti torturo fino a che non ti arrendi e me lo consegni?»
«La nonna del mio futuro marito ti farebbe certamente il malocchio.»
«Quella vecchia è matta da legare. Non credo a quelle stupidaggini.»
DeChooch riattaccò.
L’idea di fare da esca aveva smosso le acque, ma in quanto a recuperare il Luna non avevo fatto alcun progresso. Avevo un groppo in gola. Ero spaventata. Sembrava che nessuno avesse il Luna da barattare. Non volevo che Dougie o il Luna fossero morti. Peggio ancora, non volevo finire come Valerie, seduta al tavolo a piagnucolare a bocca aperta.
«Maledizione!» urlai. «Maledizione, maledizione, maledizione!»
Rex uscì dalla lattina di zuppa e mi guardò, fregandosi i baffi. Staccai un pezzo di merendina dall’angolo e glielo allungai. Rex ci si riempì le guance e poi ritornò alla sua lattina. Un criceto di poche pretese.
Chiamai Morelli e lo invitai per cena. «Però devi portarti la cena» dissi.
«Pollo fritto? Mega-sandwich con polpette? Cinese?» chiese.
«Vada per il cinese.»
Corsi in bagno, feci la doccia, mi depilai le gambe per evitare che quella stupida vocina che avevo in testa rovinasse tutto un’altra volta, e mi lavai i capelli con lo shampoo alle erbe. Frugai nel cassetto della biancheria finché non trovai il tanga di pizzo nero e reggiseno coordinato. Indossai la solita T-shirt e i jeans e diedi una ripassata di mascara e rossetto. Se anche mi avessero rapita e torturata, almeno prima mi sarei divertita un po’.
Bob e Morelli arrivarono proprio mentre mi stavo infilando i calzini.
«Ho preso involtini primavera, contorni, gamberetti, maiale, riso e della roba che credo fosse per qualcun altro ma è finita nella mia busta» disse Morelli. «E ho anche della birra.»
Posammo tutto sul tavolino basso in soggiorno e accendemmo la TV. Joe lanciò a Bob un involtino primavera. Il cane lo prese al volo e se lo mangiò in un solo boccone.
«Ne abbiamo parlato e Bob ha detto che mi farà da testimone» disse Morelli.
«Ci sarà un matrimonio, allora?»
«Credevo che ti fossi comprata un abito.»
Presi un po’ di gamberetti. «È in sospeso.»
«Qual è il problema?»
«Non voglio un matrimonio in grande. Mi sembra una stupidata. Ma mia madre e mia nonna non mollano e senza quasi accorgermene mi ritrovo addosso un abito da sposa. E hanno anche prenotato una sala. È come se qualcuno mi avesse aspirato il cervello dalla testa.»
«Forse dovremmo sposarci e basta.»
«Quando?»
«Non questa sera. Giocano i Rangers. Domani? Mercoledì?»
«Dici sul serio?»
«Certo. Lo mangi tu l’ultimo involtino?»
Il cuore mi smise di battere. Quando riprese mi sembrò che perdesse dei colpi. Sposata. Merda! Dovevo essere eccitata, no? Ecco perché mi sentivo sul punto di vomitare. Era per l’eccitazione. «Non dobbiamo fare analisi del sangue, chiedere permessi, o roba del genere?»
L’attenzione di Morelli fu catturata dalla mia T-shirt. «Carina.»
«La maglietta?»
Seguì con il dito il bordo di pizzo del mio reggiseno. «Anche questo è carino.» Fece scivolare le mani sotto la maglietta di cotone e improvvisamente me la ritrovai oltre la testa e poi per terra. «Forse dovresti farmi vedere cos’hai da offrire» disse. «Per convincermi che vale la pena sposarti.»
Sollevai un sopracciglio. «Forse sei tu che devi convincermi.»
Morelli mi fece scorrere lo zip dei jeans. «Dolcezza, prima che la serata sia finita mi supplicherai di sposarti.»
Sapevo per esperienza che era vero. Joe sapeva come far risvegliare una ragazza con un bel sorriso stampato sul viso. L’indomani, camminare sarebbe stato forse difficile, ma sorridere sarebbe stato facilissimo.