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«Ne abbiamo parlato e Bob ha detto che mi farà da testimone» disse Morelli.

«Ci sarà un matrimonio, allora?»

«Credevo che ti fossi comprata un abito.»

Presi un po’ di gamberetti. «È in sospeso.»

«Qual è il problema?»

«Non voglio un matrimonio in grande. Mi sembra una stupidata. Ma mia madre e mia nonna non mollano e senza quasi accorgermene mi ritrovo addosso un abito da sposa. E hanno anche prenotato una sala. È come se qualcuno mi avesse aspirato il cervello dalla testa.»

«Forse dovremmo sposarci e basta.»

«Quando?»

«Non questa sera. Giocano i Rangers. Domani? Mercoledì?»

«Dici sul serio?»

«Certo. Lo mangi tu l’ultimo involtino?»

Il cuore mi smise di battere. Quando riprese mi sembrò che perdesse dei colpi. Sposata. Merda! Dovevo essere eccitata, no? Ecco perché mi sentivo sul punto di vomitare. Era per l’eccitazione. «Non dobbiamo fare analisi del sangue, chiedere permessi, o roba del genere?»

L’attenzione di Morelli fu catturata dalla mia T-shirt. «Carina.»

«La maglietta?»

Seguì con il dito il bordo di pizzo del mio reggiseno. «Anche questo è carino.» Fece scivolare le mani sotto la maglietta di cotone e improvvisamente me la ritrovai oltre la testa e poi per terra. «Forse dovresti farmi vedere cos’hai da offrire» disse. «Per convincermi che vale la pena sposarti.»

Sollevai un sopracciglio. «Forse sei tu che devi convincermi.»

Morelli mi fece scorrere lo zip dei jeans. «Dolcezza, prima che la serata sia finita mi supplicherai di sposarti.»

Sapevo per esperienza che era vero. Joe sapeva come far risvegliare una ragazza con un bel sorriso stampato sul viso. L’indomani, camminare sarebbe stato forse difficile, ma sorridere sarebbe stato facilissimo.

Capitolo 9

Il cercapersone di Morelli suonò alle cinque e mezzo di mattina. Joe guardò il display e tirò un sospiro. «Un informatore.»

Strizzai gli occhi nel buio mentre lui si muoveva nella stanza. «Devi proprio andare?»

«No, devo solo fare una telefonata.»

Andò in soggiorno. Ci fu un momento di silenzio. Poi riapparve sulla soglia della camera da letto. «Ti sei alzata stanotte per mettere via il cibo?»

«No.»

«Non c’è più niente sul tavolinetto.»

Bob.

Scesi a fatica dal letto, infilai la vestaglia e mi trascinai in soggiorno per vedere la carneficina.

«Ho trovato un paio di pezzi di fil di ferro» disse Morelli. «A quanto pare Bob si è mangiato sia il cibo che i contenitori.»

Bob faceva avanti e indietro sulla porta di casa. Aveva lo stomaco teso e sbavava.

Perfetto. «Tu fai la tua telefonata e io porto fuori Bob» dissi a Morelli.

Corsi in camera da letto, mi infilai jeans, felpa e gli stivali. Agganciai Bob al guinzaglio e presi le chiavi della macchina.

«Le chiavi della macchina?» chiese Morelli.

«Nel caso mi venisse voglia di una ciambella.»

Ciambella un corno. Bob stava per fare un’enorme cacca da cibo cinese. E l’avrebbe fatta nel giardino di Joyce. Forse sarei anche riuscita ad aizzarglielo contro.

Prendemmo l’ascensore perché non volevo che Bob si muovesse più del necessario. Salimmo di corsa in macchina e rombammo via dal parcheggio.

Bob aveva il muso appiccicato al finestrino. Ansimava e ruttava. Aveva lo stomaco così gonfio che era sul punto di scoppiare.

Schiacciai il pedale dell’acceleratore a tavoletta. «Tieni duro, bel cagnone» dissi. «Ci siamo quasi. Non manca molto.»

Mi fermai con uno stridore di freni davanti a casa di Joyce. Scesi dalla macchina e corsi sul lato passeggero, aprii lo sportello e Bob si catapultò fuori. Entrò come un razzo nel giardino di Joyce, si accucciò e fece una cacca che a occhio e croce poteva pesare due volte lui. Si fermò un secondo e poi vomitò una miscela di cartone e gamberetti in agrodolce.

«E bravo il nostro cagnone!» bisbigliai.

Bob si scrollò un po’ e poi si fiondò di nuovo in macchina. Chiusi bene lo sportello, saltai al posto di guida e ce ne andammo prima che il puzzo potesse arrivare ai nostri nasi. Un altro bel colpo messo a segno.

Morelli era alla macchina per il caffè quando entrai. «Niente ciambelle?» chiese.

«Mi sono dimenticata.»

«Non ti facevo il tipo che si dimentica delle ciambelle.»

«Avevo altro per la testa.»

«Tipo il matrimonio?»

«Sì, anche quello.»

Joe riempì due tazze di caffè e me ne porse una. «Ti sei mai accorta che il matrimonio sembra molto più importante la sera che il mattino?»

«Intendi dire che non ti vuoi più sposare?»

Morelli si appoggiò al piano della cucina e sorseggiò il caffè. «Non ti preoccupare, non ti libererai di me così facilmente.»

«Ci sono molte cose di cui non abbiamo mai parlato.»

«Tipo?»

«I bambini. Supponiamo che abbiamo dei bambini e poi scopriamo che non ci piacciono?»

«Se riusciamo a farci piacere Bob, allora ci può piacere tutto» disse Morelli.

Bob era nel soggiorno a leccare il laniccio della moquette.

Eddie DeChooch chiamò dieci minuti dopo che Morelli e Bob erano usciti per andare al lavoro.

«Come la mettiamo?» chiese. «Vuoi fare un accordo?»

«Voglio il Luna.»

«Quante volte devo dirti che non ce l’ho? E non so neanche dove sia. E non ce l’ha nessuno di quelli che conosco. Forse si è spaventato e se ne è andato.»

Non sapevo cosa dire perché anche quella era una possibilità.

«Lo stai tenendo al fresco, vero?» disse DeChooch. «Deve mantenersi bene. Sennò ci vado di mezzo io.»

«Tranquillo. È al fresco. Non immagini quanto si sia mantenuto bene. Trovami il Luna e lo vedrai coi tuoi occhi.» E riagganciai.

Di che accidenti parlava?

Telefonai a Connie ma non era ancora arrivata in ufficio. Le lasciai un messaggio chiedendole di richiamarmi e poi feci una doccia. Mentre ero sotto il getto d’acqua feci un breve resoconto della mia vita. Stavo dando la caccia a un anziano depresso che mi stava facendo passare per tonta. Due dei miei amici erano scomparsi senza lasciare tracce. A giudicare dalla mia faccia, dovevo essere reduce da un incontro con George Foreman. Avevo un abito da sposa che non intendevo indossare e una sala che non intendevo usare. Morelli voleva sposarmi. E Ranger voleva… Al diavolo, non volevo pensare a cosa Ranger aveva voglia di farmi. Oh sì, c’era anche Melvin Baylor, che per quel che ne sapevo era ancora sul divano dei miei.

Uscii dalla doccia, mi vestii, mi concentrai il minimo indispensabile sui capelli e Connie chiamò.

«Hai più sentito tua zia Flo o tuo zio Bingo?» le chiesi. «Devo sapere cosa è successo a Richmond. Devo capire cosa stanno cercando tutti quanti. È qualcosa che deve essere tenuto al fresco. Medicinali, forse.»

«Come sai che deve stare al fresco?»

«DeChooch.»

«Gli hai parlato?»

«Mi ha chiamato lui.» Certe volte la mia stessa vita mi sembra incredibile. Ho un MC che mi telefona. È o non è strano?

«Vedrò cosa posso scoprire» disse Connie.

Poi chiamai la nonna.

«Mi servono delle informazioni su Eddie DeChooch» dissi. «Magari potresti chiedere un po’ in giro.»

«Che cosa vuoi sapere?»

«Ha avuto un guaio a Richmond e adesso sta cercando qualcosa. Voglio sapere cos’è questo qualcosa.»

«Ci penso io!»

«Melvin Baylor è ancora là?»

«No. È tornato a casa.»

Salutai la nonna e qualcuno bussò alla porta. La socchiusi appena e guardai fuori. Era Valerie. Indossava una giacca nera di sartoria e dei pantaloni sportivi con una camicia bianca inamidata e una cravatta da uomo a righe rosse e nere. Le ciocche spettinate alla Meg Ryan erano tirate dietro le orecchie.