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«Un nuovo look» dissi. «Qualche motivo particolare?»

«Oggi è il mio primo giorno da lesbica.»

«Sì, certo.»

«Dico sul serio. Mi sono detta, perché aspettare? Voglio ricominciare tutto da capo. Ho deciso di non perdere tempo. Voglio trovarmi un lavoro. E voglio trovarmi una ragazza. Non c’è motivo di rimanere a casa a piagnucolare per una relazione andata male.»

«Non credevo che dicessi sul serio l’altra sera. Hai mai avuto qualche… ehm, esperienza omosessuale?»

«No, ma quanto mai sarà difficile?»

«Non so se questa cosa mi piace» dissi. «Sono abituata a essere la pecora nera della famiglia. Questa faccenda potrebbe cambiare la mia posizione.»

«Non essere sciocca» ribatté Valerie. «Non importerà a nessuno se divento lesbica.»

Valerie era stata in California davvero troppo.

«A ogni modo» continuò «ho un colloquio di lavoro. Vado bene così? Voglio essere sincera riguardo al mio nuovo orientamento sessuale, ma non voglio neanche sembrare troppo mascolina.»

«Non vuoi un look esageratamente lesbico.»

«Esatto. Voglio un look lesbico ma chic al tempo stesso.»

Visti i miei limitati orizzonti alla voce relazioni lesbiche, non ero sicura di come fosse un look lesbico-chic. Le lesbiche che conoscevo le avevo viste perlopiù in televisione.

«Non mi convincono le scarpe» proseguì. «Le scarpe sono sempre così difficili.»

Portava dei graziosi sandali di vernice nera a tacco basso. Sulle unghie aveva uno smalto rosso vivo.

«Dipende da che tipo di scarpe decidi di mettere: da uomo o da donna» dissi. «Sei una lesbica donna o una lesbica uomo?»

«Ci sono due tipi di lesbiche?»

«Non lo so. Non ti sei informata in proposito?»

«No. Pensavo semplicemente che le lesbiche fossero unisex.»

Se aveva già dei problemi a essere lesbica quando aveva ancora addosso i vestiti, non osavo immaginare cosa sarebbe successo una volta che se li fosse tolti.

«Ho un colloquio per un lavoro al centro commerciale» disse Valerie. «E poi ne ho un altro in centro. Mi chiedevo se non potessimo fare cambio di macchina. Voglio fare buona impressione.»

«Che auto hai adesso?»

«La Buick del ’53 di zio Sandor.»

«Una macchina truccata» commentai. «Fa molto lesbica. Molto più della mia CR-V.»

«Non ci avevo mai pensato.»

Mi sentivo un po’ in colpa perché a dire il vero non sapevo se una Buick del ’53 fosse il genere di auto preferito dalle lesbiche. Era solo che non mi andava per niente di fare cambio. Odio quella Buick del ’53.

La salutai e le feci gli auguri mentre se ne andava ancheggiando. Rex era uscito dalla sua lattina e mi guardava. Le cose erano due: o pensava che fossi molto intelligente oppure che fossi uno schifo di sorella. Difficile dirlo con i criceti. È per questo che sono gli animali domestici ideali.

Presi la mia borsa nera di cuoio a tracolla, afferrai la giacca in denim e chiusi la porta a chiave. Era ora di tornare da Melvin Baylor. Mi sentivo un tantino nervosa. Eddie DeChooch era inquietante. Non mi piaceva la scioltezza con cui sparava alle persone da un momento all’altro. E ora che ero tra i minacciati mi piaceva ancora meno.

Scesi guardinga le scale e attraversai in fretta l’ingresso. Guardai oltre le porte a vetri, verso il parcheggio. Di DeChooch nemmeno l’ombra.

Dall’ascensore uscì il signor Morganstern.

«Salve, bellezza» disse. «Wow. A quanto pare sei finita contro una porta.»

«Fa parte del mio lavoro» gli risposi.

Il signor Morganstern era molto anziano. Probabilmente andava per i duecento.

«Ieri ho visto andar via il tuo amichetto. Sarà un po’ strambo, ma ha stile. Non si può non ammirare uno che ha stile» disse.

«Quale amichetto?»

«Quel Luna. L’unico che si veste da Superman e ha i capelli castani e lunghi.»

Il mio cuore perse un colpo. Non mi era venuto in mente che qualcuno dei miei vicini potesse sapere qualcosa del Luna. «Quando l’ha visto? A che ora?»

«Era mattina presto. Il forno qui vicino apre alle sei e ho fatto in tempo ad andare e tornare, quindi direi che erano le sette quando ho visto il tuo amico. Usciva proprio mentre io entravo. Era con una signora e sono saliti tutti e due su una grossa limousine nera. Non sono mai salito su una limousine. Dev’essere una bella esperienza.»

«Le ha detto qualcosa?»

«Mi ha detto: “Amico”…»

«Che aspetto aveva? Stava bene, sembrava preoccupato?»

«No. Aveva la faccia di sempre. Quella da scimunito, per capirci.»

«E com’era la donna?»

«Una bella donna. Non tanto alta, capelli castani. Giovane.»

«Quanto giovane?»

«Sulla sessantina, forse.»

«Per caso la limousine aveva qualche scritta? Il nome della ditta che le noleggia, per esempio.»

«Non mi pare. Era una semplice limousine nera.»

Feci dietrofront, risalii di sopra e cominciai a chiamare le varie ditte di noleggio limousine. Mi ci volle mezz’ora per telefonare a tutti i numeri in elenco. Solo due avevano noleggiato delle auto il mattino precedente. Si trattava di due Town, entrambe dirette all’aeroporto. Nessuna delle due era stata prenotata o prelevata da una donna.

Un altro buco nell’acqua.

Andai a casa di Melvin e bussai alla porta.

Melvin venne ad aprire con una busta di mais congelato in testa. «Sto morendo» disse, «Mi sta per esplodere la testa. Ho gli occhi in fiamme.»

Aveva una bruttissima cera. Peggio di quella del giorno prima, che era già pessima. «Ripasso più tardi» gli dissi. «Non bere più, d’accordo?»

Cinque minuti dopo ero in ufficio. «Ehi» fece Lula. «Guardate un po’. Oggi hai gli occhi tra il nero e il verde. Buon segno.»

«Joyce si è fatta vedere?»

«È arrivata un quarto d’ora fa» rispose Connie. «Era furiosa, farneticava di gamberetti in agrodolce.»

«Era impazzita» disse Lula. «Non si capiva niente. Non l’ho mai vista così fuori di sé. Immagino che tu non ne sappia niente di gamberetti in agrodolce…»

«No. Io no.»

«Come sta Bob? Lui ne sa qualcosa di gamberetti in agrodolce?»

«Bob sta bene. Ha avuto un problemino di digestione stamattina, ma ora è tutto risolto.»

Connie e Lula si scambiarono un cinque.

«Lo sapevo!» esclamò Lula.

«Sto facendo un giro per controllare delle case» dissi. «C’è qualcuno che vuole venire con me?»

«Oh-oh» fece Lula. «Quando cerchi compagnia è perché sei preoccupata che qualcuno ti stia dando la caccia.»

«Può darsi che Eddie DeChooch mi stia cercando.» Probabilmente mi stavano cercando anche altre persone, ma Eddie DeChooch sembrava il più pazzo e quello che avrebbe potuto spararmi con più probabilità. Anche se l’anziana con gli occhi spaventosi cominciava a fargli una discreta concorrenza.

«Dovremmo essere in grado di gestire Eddie DeChooch» disse Lula mentre tirava fuori la borsa dall’ultimo cassetto dell’archivio. «Dopo tutto è solo un povero vecchio pazzo e un po’ depresso.»

Che va in giro con una pistola.

Io e Lula ci fermammo come prima cosa dai coinquilini del Luna.

«Il Luna è qui?» domandai.

«No. Non si è visto. Forse è da Dougie. Ci va spesso.»

La tappa successiva fu a casa di Dougie. Avevo preso le chiavi di Dougie quando avevano sparato al Luna e non gliele avevo più restituite. Aprii la porta principale e insieme a Lula ci intrufolammo in casa. Sembrava tutto nella norma. Tornai in cucina e guardai dentro il frigorifero e il freezer.

«Che stai facendo?» chiese Lula.

«Niente, solo una controllatina.»

Uscite da casa di Dougie ci dirigemmo verso quella di Eddie DeChooch. Il nastro della polizia che delimitava la scena del delitto non c’era più e la metà casa di DeChooch era buia e sembrava disabitata.