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Prendendola sottobraccio, io da una parte e Valerie dall’altra, aiutammo la mamma a rialzarsi.

«Ecco fatto» disse Valerie, tutta contenta. «Va meglio?»

«Meglio?» fece mia madre. «Meglio?»

«Be’, ora noi andiamo» disse Valerie, indietreggiando verso l’ingresso. «Non aspettatemi alzati. Ho la chiave.»

Mia madre si scusò, andò in cucina e spaccò un altro piatto.

«Non sapevo che spaccasse i piatti così» dissi alla nonna.

«Stasera metto sotto chiave tutti i coltelli, non si sa mai» rispose lei.

Seguii mia madre in cucina e la aiutai a raccogliere i pezzi.

«Mi è scivolato di mano» disse.

«Proprio come pensavo.»

A casa dei miei sembra che non cambi mai niente. La cucina sembra la stessa di quando ero piccola. Le pareti sono state riverniciate e ci sono delle tende nuove. Lo scorso anno è stato rinnovato il linoleum. Gli elettrodomestici vengono sostituiti con degli altri man mano che si rompono e non si possono più riparare. Ma le novità finiscono qui. Mia madre cuoce le patate nella stessa casseruola da trentacinque anni. Anche gli odori sono gli stessi. Cavolo, salsa di mele, budino al cioccolato, arrosto di agnello. E anche le abitudini sono le stesse. Come quella di sedersi al tavolo piccolo in cucina per pranzo.

Io e Valerie facevamo i compiti al tavolo della cucina sotto l’occhio vigile di mia madre. Sembra che il tempo si sia fermato. Entro in cucina e mi viene voglia di sandwich tagliati a triangolo proprio come quando ero bambina.

«Non ti stanchi mai della tua vita?» chiesi a mia madre. «Non c’è mai un momento in cui ti andrebbe di fare qualcosa di diverso?»

«Come per esempio saltare in macchina e continuare a guidare finché non arrivo all’Oceano Pacifico? Radere al suolo la cucina? Divorziare da tuo padre e sposare Tom Jones? No, non penso mai a queste cose.» Tolse il coperchio dal piatto del dolce e guardò i suoi pasticcini. Metà al cioccolato con glassa bianca e metà alla vaniglia con glassa al cioccolato. Zuccherini di tutti i colori sulla glassa bianca. Bisbigliò qualcosa che al mio orecchio arrivò come pasticcini del cazzo.

«Come?» chiesi. «Non ho sentito.»

«Non ho detto niente. Vai a sederti.»

«Speravo che potessi accompagnarmi alle pompe funebri questa sera» mi disse la nonna. «C’è la veglia per Rusty Kuharchek da Stiva. Sono andata a scuola con Rusty. Sarà una bella serata.»

Non avevo nient’altro da fare. «Certo, ma dovrai metterti dei pantaloni comodi. Ho la Harley.»

«Una Harley? Da quando hai una Harley?» domandò la nonna.

«Ho avuto un problema con la macchina così Vinnie mi ha prestato una moto.»

«Ti proibisco di portare tua nonna su una motocicletta» disse mia madre. «Cadrà e si ammazzerà.»

Molto saggiamente mio padre non parlò.

«Non le succederà niente» garantii. «Ho un casco in più.»

«È sotto la tua responsabilità» disse mia madre. «Se le succede qualcosa, ci vai tu a farle visita alla casa di riposo.»

«Forse potrei comprarmi una moto» rifletté la nonna. «Quando ti ritirano la patente della macchina, il divieto di guidare vale anche per le moto?»

«Sì!» urlammo tutti all’unisono. Nessuno voleva che nonna Mazur tornasse a girare in strada.

Mary Alice aveva cenato per tutto il tempo con la faccia nel piatto perché i cavalli non hanno mani. Quando alzò il viso, era una maschera di purè di patate e salsa. «Cos’è una lesbica?» chiese.

Rimanemmo tutti paralizzati.

«È quando una ragazza esce con le femmine anziché con i maschi» disse la nonna.

Angie si allungò per prendere il latte. «Si pensa che l’omosessualità sia causata da un cromosoma anormale.»

«Giusto quello che stavo per dire» disse la nonna.

«E i cavalli?» chiese Mary Alice. «Ci sono lesbiche anche tra i cavalli?»

Ci scambiammo delle occhiate. Eravamo imbarazzati.

Mi alzai dal mio posto. «Chi vuole un pasticcino?»

Capitolo 15

Per andare alle veglie serali, la nonna di solito si veste in modo elegante. Le piace indossare scarpe décolleté di vernice nera e gonne a ruota, nel caso ci sia qualche bell’uomo da conquistare. In onore della motocicletta, quella sera si era messa pantaloni sportivi e scarpe da tennis.

«Mi servono dei vestiti da biker» disse. «Ho appena riscosso l’assegno della pensione e come prima cosa domattina vado a fare shopping, ora che so che hai questa Harley.»

Montai in sella alla moto. Mio padre aiutò la nonna a salire dietro di me. Girai la chiave dell’accensione, mandai su di giri il motore e le vibrazioni si trasmisero attraverso le marmitte.

«Pronta?» urlai alla nonna.

«Pronta» mi urlò in risposta.

Percorsi Roosevelt Street fino a Hamilton Avenue e in due minuti avevamo già parcheggiato la moto davanti alle pompe funebri di Stiva.

Aiutai la nonna a scendere e le tolsi il casco. Si allontanò dalla moto e si sistemò i vestiti. «Capisco perché alla gente piacciono le Harley» disse. «Ti danno una bella svegliata alle parti basse, vero?»

Rusty Kuharchek era nella sala numero tre e la scelta di quella collocazione indicava che la famiglia di Rusty era andata al risparmio. Le morti violente e quelli che acquistavano le bare di lusso in mogano, intagliate a mano e piombate erano degne di una veglia nella sala numero uno.

Lasciai la nonna con Rusty e le dissi che sarei ritornata di lì a un’ora. L’appuntamento era davanti al tavolo dei biscotti.

Era una bella serata e avevo voglia di camminare. Passeggiai lungo la Hamilton e tagliai dentro il Burg. Non era del tutto buio. In un altro mese la gente si sarebbe seduta in veranda a quell’ora della sera. Mi dissi che stavo passeggiando per rilassarmi, magari per pensare. Ma dopo poco mi ritrovai davanti a casa di Eddie DeChooch, per giunta senza essere minimamente rilassata. Il fatto di non essere riuscita a effettuare la cattura mi infastidiva.

La metà casa di DeChooch sembrava completamente abbandonata. Nella metà della famiglia Margucci guardavano un quiz in TV con il volume al massimo. Mi diressi verso la porta di casa della signora Margucci e bussai.

«Che bella sorpresa» disse quando mi vide. «Mi domandavo come stessero andando le cose tra te e DeChooch.»

«È ancora in libertà» dissi.

Angela commentò con un verso. «Quello è un furbo.»

«L’ha visto? Ha sentito rumori a casa sua?»

«È come se fosse scomparso dalla faccia della terra. Non sento neanche mai squillare il telefono.»

«Magari do un’occhiatina in giro.»

Percorsi il perimetro della casa, guardai in garage, mi fermai davanti al capanno degli attrezzi. Avevo con me la chiave di casa di DeChooch e così entrai. Non c’era nulla che indicasse che lui fosse passato di lì. Il tavolo della cucina era coperto da un mucchio di posta inevasa.

Bussai di nuovo alla porta di Angela. «È lei che ritira la posta di DeChooch?»

«Sì. Gliela lascio in casa tutti i giorni e controllo che sia tutto a posto. Non so cos’altro fare. Pensavo che Ronald sarebbe passato per ritirarla, ma non l’ho visto.»

Quando tornai alle pompe funebri, la nonna era al tavolo dei biscotti che parlava con il Luna e Dougie.

«Piccola» disse il Luna.

«Siete qui per incontrare qualcuno?» gli chiesi.

«Negativo. Siamo qui per i biscotti.»

«Quest’ora è volata in un lampo» disse la nonna. «C’è ancora un sacco di gente con cui non ho scambiato neanche una parola. Hai fretta di tornare a casa?» mi chiese.

«Potremmo accompagnarla a casa noi» disse Dougie alla nonna. «Non ce ne andiamo mai prima delle nove perché quella è l’ora in cui Stiva tira fuori i biscotti ripieni al cioccolato.»