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Presi in mano il coltello, soppesandolo. Se fosse stato un film, in una mossa fulminea avrei affondato il coltello nel corpo di Sophia. Invece era la vita reale e non avevo idea di come usare un coltello né di come muovermi abbastanza in fretta da schivare un proiettile.

Avvicinai il coltello alla maglietta bianca. Ero andata completamente nel pallone. Mi tremavano le mani e sentivo il sudore sotto le ascelle e sulla testa. Diedi il primo colpo e poi feci scorrere il coltello per tutta la lunghezza della maglia, denudando il petto bitorzoluto di DeChooch. Mi sentivo come se avessi dentro un fuoco acceso e avvertivo un doloroso senso di oppressione.

«Ora tiragli fuori il cuore» disse Sophia con voce calma e ferma.

Alzai lo sguardo su di lei e vidi che aveva un’espressione serena… a eccezione del terrore che i suoi occhi incutevano. Era convinta di fare la cosa giusta. Probabilmente aveva in testa delle voci che la rassicuravano mentre mi abbassavo su DeChooch.

Una goccia colò sul petto di DeChooch. Poteva essere uscita dalla mia bocca o dal naso. Ero troppo spaventata per indovinare. «Non so come si fa» dissi. «Non so come arrivare al cuore.»

«Ce la farai.»

«Non posso.»

«Fallo e basta!»

Scossi la testa.

«Vuoi dire una preghiera prima di morire?» mi chiese.

«Quella stanza nella cantina… l’ha rinchiusa spesso laggiù? Pregava quando era lì?»

La tranquillità sembrò abbandonarla. «Diceva che ero pazza, ma il pazzo era lui. Non aveva fede. Dio non parlava con lui.»

«Non avrebbe dovuto rinchiuderla in quella stanza» dissi, provando un forte senso di rabbia per quell’uomo che aveva rinchiuso la moglie schizofrenica in una cella di cemento invece di farla curare da uno specialista.

«È arrivata l’ora» disse Sophia puntandomi addosso la pistola.

Guardai verso DeChooch, chiedendomi se potessi ucciderlo per salvarmi la pelle. Quanto era forte il mio istinto di sopravvivenza? Spostai lo sguardo sulla porta della cantina. «Ho un’idea» dissi. «DeChooch ha degli utensili elettrici in cantina. Potrei tagliargli la cassa toracica se avessi una motosega.»

«È ridicolo.»

Saltai in piedi. «No, è proprio quello che mi serve. L’ho visto fare in TV, in uno di quei programmi di medicina. Torno subito.»

«Fermati!»

Ero arrivata alla porta della cantina. «Ci vorrà soltanto un minuto.» Aprii la porta, accesi la luce e feci il primo gradino.

Mi seguiva a una certa distanza con la pistola. «Non andare così veloce» disse. «Scendo insieme a te.»

Facemmo i gradini insieme, lentamente, per evitare di inciampare. Attraversai la cantina e presi la motosega portatile che si trovava sul banco da lavoro di DeChooch. Le donne vogliono bambini. Gli uomini vogliono attrezzi da lavoro.

«Torniamo di sopra» disse, in agitazione per il fatto di trovarsi in una cantina e ansiosa di andarsene.

Risalii lentamente i gradini, trascinando i piedi, sentendola agitarsi alle mie spalle. Avevo la pistola puntata dietro la schiena. Era troppo vicina. Stava rischiando, ma voleva andarsene dalla cantina. Arrivai in cima alla scala e mi girai di scatto, colpendola in mezzo al petto con la motosega.

Pronunciò una breve esclamazione, sparò alla cieca e ruzzolò giù per le scale. Non rimasi a vedere quello che era successo. Saltai oltre la porta, la sbattei con forza e la chiusi a chiave. Poi lasciai la casa di corsa. Attraversai la porta principale che avevo malauguratamente lasciato aperta quando avevo seguito DeChooch in cucina.

Bussai forte a casa di Angela Margucci, urlandole di venire ad aprire. Angela venne alla porta e quasi la buttai a terra tanta era la foga con cui entrai. «Chiuda a chiave» dissi. «Chiuda tutte le porte e vada a prendermi il fucile di sua madre.» Poi corsi al telefono a chiamare la polizia.

La polizia arrivò prima che potessi riacquistare il controllo e tornare nella casa. Non aveva senso tornare se le mani mi tremavano così tanto da non riuscire a tenere fermo il fucile.

Due agenti entrarono nella metà casa di DeChooch e qualche minuto dopo autorizzarono il personale medico a entrare. Sophia era ancora nella cantina. Si era rotta un’anca e probabilmente aveva qualche costola incrinata. Pensai che quella delle costole incrinate fosse una bella ironia della sorte.

Seguii il personale dell’ambulanza e rimasi interdetta quando arrivai in cucina. DeChooch non era sul pavimento.

L’agente Billy Kwiatkowski era stato il primo a entrare. «Dov’è DeChooch?» gli chiesi. «L’ho lasciato sul pavimento accanto al tavolo.»

«Non c’era nessuno in cucina quando sono entrato» disse.

Guardammo entrambi la scia di sangue che portava alla porta sul retro. Kwiatkowski accese la torcia e andò verso il cortile. Tornò dopo qualche minuto.

«Difficile seguire la scia nell’erba con questo buio, ma c’è dell’altro sangue nel vicoletto dietro al garage. È probabile che abbia lasciato la macchina là dietro e che se ne sia andato.»

Incredibile. Stramaledettamente incredibile. Quell’uomo era come uno scarafaggio… bastava accendere la luce e lui spariva.

Rilasciai la mia deposizione e me ne andai. Ero preoccupata per la nonna. Volevo accertarmi che fosse al sicuro. E volevo sedermi nella cucina di mia madre. E soprattutto, volevo un pasticcino.

La casa dei miei ardeva di luci quando accostai per parcheggiare. Erano tutti nella stanza sul davanti a guardare il notiziario in TV. E conoscendo la mia famiglia, erano tutti alzati ad aspettare Valerie.

La nonna saltò su dal divano quando mi vide entrare. «L’hai preso? Hai preso DeChooch?»

Feci no con la testa. «È scappato.» Non mi andava di scendere nei dettagli.

«È straordinario» disse la nonna, sprofondando nuovamente sul divano.

Andai in cucina a prendere un pasticcino. Sentii aprire e chiudere la porta di casa e Valerie entrò in cucina e si abbandonò a sedere al tavolo. Aveva i capelli lisciati dietro le orecchie e cotonati sulla parte alta. Versione lesbica e bionda di Elvis.

Spostai davanti a lei il piatto dei pasticcini e mi sedetti. «Allora? Come è andato l’appuntamento?»

«Un disastro. Non è il mio tipo.»

«Qual è il tuo tipo?»

«Non le donne, a quanto pare.» Scartò uno dei pasticcini al cioccolato. «Janeane mi ha baciato ma non è successo niente. Poi mi ha baciato di nuovo, un bacio quasi… appassionato.»

«Quanto appassionato?»

Valerie diventò rosso fuoco. «Mi ha dato un bacio con la lingua!»

«E allora?»

«Strano. È stato molto strano.»

«Allora non sei lesbica?»

«Direi di no.»

«Ehi, ci hai provato. Chi non risica, non rosica» dissi.

«Pensavo che potesse essere qualcosa a cui ci si abitua col tempo. Ti ricordi per esempio quando eravamo piccole e mi facevano schifo gli asparagi? Be’, adesso li adoro.»

«Forse devi darti un po’ più di tempo. Del resto ti ci sono voluti vent’anni per farti piacere gli asparagi.»

Valerie ci rifletté su mentre mangiava il pasticcino.

Entrò la nonna. «Che succede qui? Mi sto perdendo qualcosa?»

«Mangiamo i pasticcini» dissi.

La nonna ne prese uno e si sedette. «Hai provato la moto di Stephanie?» chiese a Valerie. «Ci sono montata sopra questa sera e mi ha fatto formicolare le parti intime.»

Valerie per poco non si strozzò con il pasticcino.

«Forse ti conviene smettere di essere lesbica e comprarti una Harley» dissi a Valerie.

Entrò in cucina mia madre. Guardò il piatto dei pasticcini e tirò un sospiro. «Li avevo fatti per le ragazze.»

«Siamo ragazze anche noi» disse la nonna.

Mia madre si sedette e prese un pasticcino. Ne scelse uno alla vaniglia con gli zuccherini colorati. Rimanemmo tutte a bocca aperta. Mia madre non mangiava quasi mai un pasticcino tutto intero. Di solito mangiava quelli che si erano rotti a metà o che avevano la glassa rovinata. Mangiava i biscotti sbriciolati e le frittelle bruciate da un lato.