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«Wow» le dissi «stai mangiando un pasticcino tutto intero.»

«Me lo merito» rispose mia madre.

«Scommetto che hai guardato un’altra volta Oprah Winfrey in TV» le disse la nonna. «Mi accorgo sempre se hai guardato Oprah in TV.»

Mia madre si mise a giocherellare con la carta. «Non è solo questo…»

Smettemmo tutte di mangiare e la fissammo.

«Ricomincio a studiare» disse. «Ho fatto domanda al Comune e ho appena saputo di essere stata accettata. Studierò part time. Hanno dei corsi serali.»

Feci un sospiro di sollievo. Temevo volesse annunciare che stava per farsi un piercing sulla lingua o magari un tatuaggio. O addirittura che voleva andarsene di casa e seguire un circo. «È eccezionale» dissi. «A che corso ti sei iscritta?»

«Per il momento si tratta di un corso generico» disse mia madre. «Ma un giorno mi piacerebbe diventare infermiera. Ho sempre pensato di essere portata per fare l’infermiera.»

Era quasi mezzanotte quando tornai al mio appartamento. La scarica di adrenalina era ormai passata e ora mi sentivo esausta. Avevo fatto il pieno di pasticcini e latte ed ero pronta a scivolare sotto le coperte e dormire per una settimana. Presi l’ascensore e quando le porte si aprirono sul mio piano uscii e rimasi immobile come una statua. Non credevo ai miei occhi. In fondo al corridoio, davanti alla porta di casa mia, era seduto Eddie DeChooch.

DeChooch si tamponava la testa con un grosso asciugamano fissato con la cintura dei pantaloni, con la fibbia ben allacciata all’altezza della tempia. Alzò gli occhi quando mi avvicinai a lui, ma non si alzò in piedi né mi sorrise, non mi sparò e neanche mi salutò. Rimase lì seduto con lo sguardo fisso.

«Devi avere un mal di testa coi fiocchi» dissi.

«Non mi farebbe schifo un’aspirina.»

«Perché non sei entrato da solo? Lo fanno tutti.»

«Non ho gli attrezzi. Ci vogliono gli attrezzi giusti.»

Lo aiutai a mettersi in piedi e lo feci entrare in casa. Lo misi a sedere sulla sedia comoda del soggiorno e tirai fuori la bottiglia mezza vuota di liquore che la nonna aveva lasciato nascosta nel mio armadio quando era rimasta da me per un paio di giorni.

DeChooch ne buttò giù tre dita e riacquistò un po’ di colore.

«Cristo, credevo che volessi aprirmi come un’oca per il pranzo della domenica» disse.

«Ci è mancato poco. Quando sei rinvenuto?»

«Quando parlavate di segarmi le costole. Gesù. Se ci ripenso mi formicolano le palle.» Fece un altro sorso dalla bottiglia. «Me ne sono andato appena voi due avete cominciato a scendere le scale.»

Era proprio da ridere. Avevo attraversato la cucina così velocemente che non mi ero neanche accorta che DeChooch non c’era più. «Che succede adesso?»

Si lasciò nuovamente andare sulla sedia. «Ho girato per un po’ con la macchina. Volevo andarmene, ma mi fa male la testa. Mi ha portato via mezzo orecchio. Sono stanco. Accidenti quanto sono stanco. Ma sai una cosa? Non sono poi tanto depresso. E così ho pensato, che diamine, vediamo cosa riesce a fare per me il mio avvocato.»

«Vuoi che ti consegni alla polizia?»

DeChooch sgranò gli occhi. «Che diavolo, no! Voglio che sia Ranger a consegnarmi. È solo che non so come contattarlo.»

«Dopo tutto quello che abbiamo passato, mi merito almeno di portare a buon fine l’arresto.»

«Ehi, e a me chi ci pensa? Ho solo metà orecchio!»

Feci un sospiro profondo e chiamai Ranger.

«Mi serve aiuto» dissi. «Ma è una cosa un po’ strana.»

«Come sempre.»

«Sono qui con Eddie DeChooch che non vuole essere portato alla polizia da una donna.»

Sentii Ranger ridacchiare all’altro capo del telefono.

«Non c’è niente da ridere» dissi.

«È perfetto.»

«Mi aiuti o no, allora?»

«Dove sei?»

«A casa mia.»

Non era il genere di aiuto a cui avevo pensato e non mi sembrava che tra noi il patto fosse ancora in piedi. A ogni modo, con Ranger non si poteva mai dire. A dire il vero, non ero del tutto sicura che fosse serio quando aveva parlato del prezzo da pagare se mi avesse aiutato.

Venti minuti più tardi Ranger era alla porta. Era vestito in pantaloni militari neri con tanto di cintura multiuso completa di tutto. Dio solo sa da cosa l’avevo distolto. Mi guardò e fece una smorfia. «Bionda?»

«Una decisione impulsiva.»

«Altre sorprese?»

«Niente di cui abbia voglia di parlare adesso.»

Entrò in casa e alzò un sopracciglio nel vedere DeChooch.

«Non sono stata io.»

«È grave?»

«Sopravviverò» disse DeChooch «ma fa un male cane.»

«È spuntata Sophia e gli ha fatto saltare un orecchio» spiegai a Ranger.

«E adesso dov’è?»

«La polizia l’ha arrestata.»

Ranger prese DeChooch sotto braccio e lo aiutò ad alzarsi. «Di sotto c’è Tank che ci aspetta nel SUV. Portiamo Chooch al pronto soccorso e lo facciamo tenere in osservazione per questa notte. Starà meglio lì che in galera. Possono tenerlo sotto chiave in ospedale.»

DeChooch era stato furbo a insistere per avere Ranger. Ranger riusciva a fare l’impossibile.

Dopo che se ne furono andati chiusi la porta a chiave. Accesi la TV e passai in rassegna i canali uno dopo l’altro. Niente wrestling né hockey. Niente film interessanti. La bellezza di cinquantotto canali e niente da guardare.

Avevo un sacco di cose per la testa ma non mi andava di ragionare su nessuna. Vagai per casa, infastidita e allo stesso tempo sollevata dal fatto che Morelli non avesse chiamato.

Non avevo niente da fare. Avevo trovato tutti. Non avevo casi in sospeso. Lunedì avrei riscosso quello che mi spettava da Vinnie e avrei potuto pagare un altro mese di bollette. La mia CR-V era dal meccanico. Ancora non avevo ricevuto il preventivo. Con un po’ di fortuna avrebbe pagato l’assicurazione.

Feci una bella doccia calda e quando uscii mi chiesi chi fosse la bionda allo specchio. Non io, pensai. Probabilmente la settimana seguente sarei andata dal parrucchiere per farmi tingere di nuovo i capelli del loro colore originale. È sufficiente una bionda in famiglia.

L’aria che entrava dalla finestra aperta della camera da letto aveva il sapore dell’estate, così decisi di mettermi a letto in mutandine e T-shirt. Niente più camicie di flanella fino al prossimo novembre. Mi infilai una maglietta bianca e via sotto il piumone. Spensi la luce e rimasi distesa al buio per un po’, con un senso di solitudine.

Ho due uomini nella mia vita e non so cosa pensare di nessuno dei due. Strano come vanno a finire le cose. Morelli entra ed esce dalla mia vita da quando ho sei anni. È come una cometa che ogni dieci anni viene risucchiata dalla mia corrente gravitazionale, gira vorticosamente nella mia orbita e poi riparte a razzo per tornare nello spazio. I nostri bisogni non sembrano mai essere completamente allineati.

Ranger è una novità nella mia vita. Ha un valore ignoto, è partito come mentore e sta diventando… cosa? Difficile stabilire esattamente cosa Ranger voglia da me. O cosa io voglia da lui. Appagamento sessuale. Oltre a quello non so. Rabbrividii mio malgrado al pensiero di un incontro sessuale con Ranger. So così poco di lui che in un certo senso è come fare l’amore bendati… puro istinto e fisicità. E fiducia. C’è qualcosa in Ranger che infonde fiducia.

I numeri blu dell’orologio digitale fluttuavano nel buio della stanza. Era l’una. Non riuscivo a dormire. Mi balenò in mente l’immagine di Sophia. Chiusi forte gli occhi per allontanarla. Passarono altri minuti insonni. I numeri blu indicavano l’1:30.

Fu allora, nel silenzio della casa, che sentii lo scatto di una serratura che si apriva. Poi l’impercettibile rumore della catenella di sicurezza rotta che penzolava dalla porta di legno. Mi si fermò il cuore. Quando riprese, mi batteva così forte contro il petto che mi si appannò la vista. C’era qualcuno nel mio appartamento.