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Il cane Bob era sul divano accanto a Morelli. Bob è un incrocio tra un Golden Retriever e Chewbacca di Guerre Stellari. All’inizio era venuto a vivere con me ma poi ha deciso che la casa di Morelli gli piace di più. Cose di uomini, suppongo. E così Bob adesso vive perlopiù con lui. A me sta bene, considerato che Bob mangia tutto. Se lo lasci solo, Bob è capace di ridurre un’intera casa a nient’altro che una manciata di chiodi e qualche piastrella. E siccome Bob spesso butta dentro grosse quantità di robaccia tipo mobili, scarpe e piante d’appartamento, altrettanto spesso butta fuori montagne di popò di cane.

Bob mi sorrise scodinzolando, poi tornò a guardare la televisione.

«Immagino che tu conosca il tizio che si è spogliato fuori nel corridoio» disse Morelli.

«Il Luna. Voleva farmi vedere cosa aveva sotto.»

«Mi sembra logico.»

«Dice che Dougie è scomparso. Che è uscito ieri mattina e non è più tornato.»

Morelli si distolse suo malgrado dalla boxe. «Dougie non ha un’udienza imminente?»

«Sì, ma il Luna non pensa che Dougie se la sia svignata. Il Luna pensa che ci sia qualcosa che non va.»

«Il cervello del Luna probabilmente è molto simile a un uovo fritto. Se fossi in te non darei molto peso a quello che pensa.»

Passai il telefono a Morelli. «Forse potresti fare qualche telefonata. Sì, insomma, potresti chiamare gli ospedali.» E l’obitorio. In qualità di sbirro, Morelli aveva accesso più facilmente di me.

Quindici minuti dopo Joe aveva esaurito la lista. Nessuno che corrispondesse alla descrizione di Dougie era stato ricoverato al St. Francis, all’Helen Fuld, né era arrivato all’obitorio. Chiamai il Luna e gli riferii quello che avevamo scoperto.

«Ehi» fece il Luna «qui la cosa si fa seria. Non è solo Dougie. Ora sono scomparsi anche i miei vestiti.»

«Non ti preoccupare per i vestiti. Ce li ho io.»

«Cavolo, tu sì che sei brava» disse il Luna. «Sei davvero brava.»

Mentalmente alzai gli occhi al cielo e riagganciai.

Morelli mi fece segno di sedermi accanto a lui. «Vieni qui e parliamo di Eddie DeChooch.»

«Cosa mi vuoi dire di DeChooch?»

«Non è una brava persona.»

Dalle labbra mi lasciai sfuggire un sospiro.

Morelli finse di non averlo sentito. «Costanza mi ha detto che sei riuscita a parlare con DeChooch prima che prendesse il volo.»

«DeChooch è depresso.»

«Immagino che non ti abbia parlato di Loretta Ricci?»

«No, neanche una parola. Ho trovato Loretta per conto mio.»

«Tom Bell ha in consegna il caso. L’ho incontrato dopo il lavoro e mi ha detto che la Ricci era già morta quando le hanno sparato.»

«Cosa?»

«Non può accertare la causa della morte finché non viene fatta l’autopsia.»

«Perché uno dovrebbe sparare a un cadavere?»

Morelli alzò le mani in segno di resa.

Magnifico. «Hai altro da offrirmi?»

Morelli mi guardò e fece un gran sorriso.

«A parte quello» dissi.

Stavo dormendo e nel sonno ebbi la sensazione di soffocare. Avevo un peso incredibile sul petto che non mi faceva respirare. Di solito non faccio sogni in cui soffoco. Sogno ascensori che saltano via dai tetti dei palazzi con me intrappolata dentro. Sogno tori che mi rincorrono infuriati per strada. E faccio anche sogni in cui mi dimentico di vestirmi e vado al centro commerciale completamente nuda. Ma non avevo mai fatto sogni in cui soffoco. Fino ad allora. Mi svegliai a fatica e aprii gli occhi. Bob mi dormiva accanto, col suo testone da cane e le zampe anteriori appoggiate sul mio petto. L’altra metà del letto era vuota. Morelli se ne era andato. Era uscito in punta di piedi alle prime luci dell’alba e mi aveva lasciato Bob.

«Okay, ragazzone» dissi «se ti togli di dosso ti do da mangiare.»

Bob forse non capirà tutte le parole, ma coglie quasi sempre il senso di quello che dico quando si tratta di cibo. Drizzò le orecchie, gli si illuminarono gli occhi e saltò via dal letto in un istante, scodinzolandomi intorno tutto felice.

Gli versai una quantità industriale di biscotti per cani e cercai invano del cibo per umani. Niente merendine, niente ciambelle, niente fiocchi d’avena ai frutti di bosco. Mia madre mi rispedisce sempre a casa con una busta di avanzi, ma quando ero uscita da casa dei miei avevo la mente occupata da Loretta Ricci e avevo dimenticato la busta degli avanzi sul tavolo della cucina.

«Guardami» dissi a Bob. «Sono un fallimento di casalinga.»

Bob ricambiò con un’occhiata che sembrava dire: Ehi bambola, mi hai dato da mangiare, non puoi essere così male!

Infilai un paio di Levi’s e gli stivali, indossai una giacca di denim sopra la maglia del pigiama e agganciai Bob al guinzaglio. Poi trascinai il cane giù per le scale e quindi in macchina: l’avrei portato a fare la cacca a casa della mia acerrima nemica Joyce Barnhardt. In questo modo non avrei dovuto portarmi dietro sacchetto e palettina e poi la cosa mi dava una certa soddisfazione. Anni addietro avevo sorpreso Joyce mentre scopava con mio marito (ora il mio ex marito) sul tavolo della sala da pranzo, e di tanto in tanto mi piace ripagarla di tanta gentilezza.

Joyce abita solo a qualche centinaio di metri da casa mia, eppure è tutto un altro mondo. Joyce ha ottenuto delle gran belle liquidazioni dai suoi ex mariti. Anzi, il marito numero tre era così impaziente di togliersela di torno che le ha ceduto la casa dove abitavano senza battere ciglio. È una grande casa costruita su un piccolo lotto in un quartiere di professionisti perennemente in carriera. È di mattoni rossi, con raffinate colonnine bianche a sostenere il tettuccio che ripara la porta principale. Un incrocio tra il Partenone e la casetta di Gimmi dei tre porcellini. Il vicinato si è dotato di regole piuttosto severe in materia di cacca di cane e relativa pulizia, quindi io e Bob facciamo visita a Joyce solo col favore dell’oscurità. Oppure, come in questo caso, la mattina presto prima che la strada si risvegli.

Parcheggiai a mezzo isolato dall’abitazione di Joyce. Bob e io ci dirigemmo in tutta tranquillità verso il giardino sul davanti, Bob fece quello che doveva fare, rientrammo altrettanto tranquillamente in macchina e via al McDonald’s. Non c’è buona azione che non meriti una ricompensa. Presi un uovo McMuffin e un caffè per me, e un uovo McMuffin e un frappè alla vaniglia per Bob.

Eravamo esausti dopo tutto questo gran daffare, così tornammo nel mio appartamento e mentre Bob schiacciava un sonnellino io feci la doccia. Mi passai un po’ di gel sui capelli e li stropicciai per arricciarli. Poi diedi una passata di mascara e di eye-liner e per finire un velo di lucidalabbra. Forse non avrei risolto nessun problema quel giorno, ma non ero niente male.

Mezz’ora dopo Bob e io partimmo diretti all’ufficio di Vinnie, pronti per un’altra giornata di lavoro.

«Oh-oh» fece Lula «c’è anche il nostro Bob.» Si chinò per dargli una grattatina sulla testa. «Ehi Bob, come va?»

«Stiamo ancora cercando Eddie DeChooch» dissi. «Qualcuno sa dove vive suo nipote Ronald?»

Connie scrisse un paio di indirizzi su un foglio di carta e me lo consegnò. «Ronald ha una casa su Cherry Street, ma hai più probabilità di trovarlo al lavoro a quest’ora. Ha una ditta di pavimentazioni stradali, la Ace Pavers, a Front Street, lungo il fiume.»

Infilai in tasca gli indirizzi, mi avvicinai a Connie e abbassai la voce. «Si dice niente in giro a proposito di Dougie Kruper?»

«Tipo cosa?» domandò Connie.

«Tipo che è scomparso.»

La porta dell’ufficio di Vinnie si spalancò improvvisamente e Vinnie mise fuori la testa. «Cosa significa che è scomparso?»