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— Ebbene? — disse pungente l’altra madre. — Loro dove sono?

Coraline si appoggiò a una poltrona, sistemò il gatto con la mano sinistra, mise in tasca la mano destra ed estrasse le tre biglie di vetro. Erano di un grigio opaco e le tintinnavano nel palmo della mano. L’altra madre tese le lunghe dita verso di esse, ma Coraline se le fece ricadere in tasca. A quel punto, capì che era vero. L’altra madre non aveva nessuna intenzione di lasciarla andare, né di mantenere la promessa fatta. Per lei si era trattato di un semplice passatempo, niente di più. — Aspetta — disse. — Non abbiamo ancora finito, vero?

L’altra madre la guardò con occhi di fuoco, ma le sorrise dolcemente. — No — disse. — Immagino di no. Del resto, devi ancora trovare i tuoi genitori, vero?

— Sì — rispose Coraline. Non devo guardare la mensola del caminetto, pensò. Non devo nemmeno pensarci.

— Ebbene? — disse l’altra madre. — Tirali fuori. Vuoi dare un’altra occhiata giù in cantina? Sai, là sotto ci tengo nascoste altre cose interessanti.

— No — disse Coraline. — Lo so già dove sono i miei genitori. — Il gatto cominciava a pesarle fra le braccia. Fece un passo avanti, liberando la spalla dagli artigli dell’animale.

— Dove?

— È evidente — disse Coraline. — Ho guardato in tutti i posti possibili. Loro non sono in casa.

L’altra madre rimase immobile, senza lasciar trapelare nulla, con le labbra strette. Avrebbe potuto essere una statua di cera. Persino i suoi capelli avevano smesso di fluttuare.

— Allora — proseguì Coraline, con entrambe le mani saldamente allacciate intorno al gatto. — So dove li tieni. Li hai nascosti nella porta che collega le case, vero? Sono dietro quella porta. — E con la testa indicò la porta nell’angolo.

L’altra madre rimase immobile come una statua, ma un mezzo sorriso le affiorò sulle labbra.

— Oh, ma davvero?

— Perché non la apri? — disse Coraline. — Saranno sicuramente lì.

Era l’unica strada per arrivare a casa, ne era certa. Ma tutto dipendeva da quanto l’altra madre avesse bisogno di gongolare, non solo di vincere ma di esibire la propria vittoria.

L’altra madre infilò lentamente la mano nella tasca del grembiule da cucina e ne estrasse la chiave di ferro nera. Il gatto si agitava perché stava scomodo tra le braccia di Coraline, e voleva scendere a terra. Resta così ancora per qualche minuto, gli disse con il pensiero, domandandosi se lui potesse sentirla. Torneremo a casa insieme. Ho detto che l’avremmo fatto. L’ho promesso. Sentì il gatto rilassarsi fra le sue braccia. L’altra madre andò verso la porta e infilò la chiave nella serratura.

La girò.

Coraline sentì il meccanismo della serratura sferragliare sonoramente.

E cominciò, il più silenziosamente possibile, a piccoli passi, a muoversi verso la mensola del caminetto.

L’altra madre abbassò la maniglia e aprì la porta, rivelando il corridoio che c’era dietro, buio e vuoto. — Ecco — disse indicando il corridoio. L’espressione di delizia sul suo volto era davvero orrenda a vedersi. — Hai torto! Tu non sai dove sono i tuoi genitori, vero? Lì non ci sono. — Si voltò a guardare in faccia Coraline. — E adesso — disse — rimarrai qui per sempre.

— No — disse Coraline. — E no. — E con tutta la forza che aveva, scaraventò il gatto nero contro l’altra madre. Il gatto miagolò e le atterrò sulla testa, lavorando di artigli, mostrando i denti, furioso e feroce. Con il pelo dritto, sembrava di nuovo il doppio della sua stazza.

Senza aspettare di vedere cosa sarebbe successo, Coraline si protese verso la mensola del caminetto, afferrò il globo con la neve e se lo cacciò con forza nella tasca della vestaglia.

Il gatto emise un profondo miagolio, a mo’ di ululato, e affondò i denti nella guancia dell’altra madre. Lei cercò di sbarazzarsene agitando le mani. Il sangue le usciva dai tagli sul candido viso, ma non era sangue rosso, piuttosto una sostanza nera e catramosa. Coraline corse verso la porta.

Tirò fuori la chiave dalla serratura.

— Mollala! Avanti! — gridò Coraline. Il gatto sibilò e con slancio selvaggio piantò gli artigli affilati come scalpelli nel viso dell’altra madre, mentre una melma nera le usciva a fiotti dai numerosi squarci sul naso. Poi si precipitò da Coraline, e insieme varcarono la soglia del nero corridoio.

Nel corridoio faceva freddo; era come scendere in cantina in una giornata calda. Il gatto esitò un istante, accorgendosi che l’altra madre stava andando verso di loro, poi corse da Coraline e si fermò vicino alle sue gambe.

Coraline cercava di chiudere la porta.

Era più pesante di quanto avesse immaginato, e le sembrava di dover lottare con un vento fortissimo che le soffiava contro. Poi sentì qualcosa che cominciava a tirare insieme a lei.

Chiuditi! pensò. E poi, ad alta voce, disse: — Su, per favore. — E sentì che la porta cominciava a muoversi, a chiudersi, a cedere a quel vento spettrale.

All’improvviso, si rese conto che lì nel corridoio c’erano altre persone. Non poteva girare la testa per guardarle, ma sapeva chi erano anche senza vedere. — Aiutatemi, per favore — disse. — Tutti voi.

Le altre persone nel corridoio — tre bambini e due adulti — erano in un certo senso troppo inconsistenti per toccare la porta. Ma le loro mani si chiusero sulla sua, mentre lei cercava di tirare a sé quella grossa maniglia di ferro, e di colpo Coraline ritrovò la forza.

— Non mollare, signorina! Tieni duro! Tieni duro! — sussurrò una voce dentro la sua mente.

— Tira, ragazzina, tira — sussurrò un’altra voce.

E poi una voce che assomigliava a quella di sua madre, la sua vera, meravigliosa, esasperante, irritante, splendida madre, disse: — Bravissima, Coraline. — E bastò quello.

La porta cominciò a chiudersi con estrema facilità.

— No! — gridò una voce che veniva da dietro la porta e che non somigliava più, nemmeno lontanamente, a una voce umana.

Qualcosa ghermì Coraline, attraverso lo spiraglio ancora aperto fra la porta e lo stipite. Lei tirò indietro la testa di scatto, ma la porta cominciò ad aprirsi.

— Noi torneremo a casa — disse Coraline. — È vero. Aiutatemi. — E schivò quelle dita avide.

Esse si muovevano su di lei, e poi le mani fantasma le diedero in prestito l’energia che non aveva più. Ci fu un ultimo attimo di resistenza, come se qualcosa fosse rimasto incastrato fra la porta e lo stipite, e poi la porta di legno si chiuse con un colpo secco.

Qualcosa cadde a terra, dall’altezza della testa di Coraline. E atterrò con una sorta di tonfo.

— Avanti! — disse il gatto. — Questo non è un posto in cui restare. Alla svelta!

Coraline diede la schiena alla porta e cominciò a correre, a tutta velocità, attraverso il corridoio buio, sfiorando il muro con una mano per essere sicura di non andare a sbattere contro qualcosa o di tornare indietro senza accorgersene.

Era una corsa in salita, e le sembrò infinita, una distanza più lunga di qualsiasi distanza reale. Il muro che toccava era caldo e cedevole, e si rese conto che sembrava coperto di una bella pelliccia lanuginosa. E il muro si mosse, come per riprendere fiato. Coraline tolse immediatamente la mano.