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— Sì. Sono secoli che non mangio cose così buone — disse la ragazzina seduta alla destra di Coraline. Era una bambina molto pallida, vestita con una sorta di ragnatela e un cerchietto d’argento che le brillava fra i capelli biondi. Coraline ci avrebbe messo la mano sul fuoco: quella ragazzina doveva avere un paio d’ali opache e argentate come quelle di una farfalla che le spuntavano dalla schiena. Sul piatto della bambina bionda torreggiava una montagna di fiori. Lei sorrise a Coraline, come se non sorridesse da un’infinità di tempo e non sapesse quasi più come si fa. Coraline provò subito una grande simpatia nei suoi confronti.

E poi, come succede nei sogni, il picnic era finito e loro stavano giocando sul prato; correvano, gridavano, si lanciavano una palla sfavillante. A quel punto Coraline capì che era un sogno, perche nessuno di loro si stancava mai, né si affannava o restava a corto di fiato. Lei non sudava nemmeno. Ma ridevano e correvano, giocando a un gioco a metà tra l’acchiapparella, la palla prigioniera e una gran confusione.

Tre di loro correvano tutt’intorno, mentre la ragazzina pallida svolazzava di poco sopra le loro teste, scendendo in picchiata con le sue ali di farfalla per acchiappare la palla, e oscillando di nuovo verso l’alto prima di rilanciarla a uno degli altri bambini.

E poi, senza che nessuno lo avesse deciso, il gioco terminò e tutti e quattro tornarono alla tovaglia del picnic, sgombra ormai del pranzo, ma con quattro ciotole pronte per loro, tre con il gelato, una piena di caprifoglio.

Mangiarono tutti con gusto.

— Grazie per essere venuti alla mia festa — disse Coraline. — Ammesso che sia la mia.

— Il piacere è tutto nostro, Coraline Jones — disse la ragazzina con le ali, mordicchiando un altro bocciolo di caprifoglio. — Se ci fosse qualcosa che possiamo fare per te, per ringraziarti e ricompensarti.

— Sì — disse il ragazzino con i pantaloni di velluto rosso e il muso sporco. Tese la mano e prese quella di Coraline nella sua. Adesso era calda.

— È stato molto bello quello che hai fatto per noi, signorina — disse la ragazzina alta. Aveva uno sbaffo di gelato al cioccolato sulle labbra.

— Sono felice che sia tutto finito — disse Coraline.

Se lo era immaginato, o un’ombra aveva offuscato il viso degli altri bambini al picnic?

La ragazzina con le ali e il cerchietto nei capelli che brillava come una stella, posò per un istante le dita sul dorso della mano di Coraline. — È tutto finito, per noi - disse. — Per quel che ci riguarda questa è solo una sosta. Da qui, noi tre partiremo per terre sconosciute, e quello che succederà dopo nessuna persona vivente può dirlo… — Smise di parlare.

— C’è un ma, vero? — disse Coraline. — Me lo sento. Come una nube di pioggia.

Il ragazzino alla sua sinistra si fece coraggio e cercò di sorridere, ma il labbro inferiore cominciò a tremargli e lui se lo morse con gli incisivi superiori, senza dire nulla. La ragazzina con la cuffietta marrone spostava il peso da un piede all’altro, chiaramente a disagio. Poi disse: — Sì, signorina.

— Però sono riuscita a portarvi tutti e tre indietro — disse Coraline. — Ho riportato indietro mamma e papà. Ho chiuso la porta. L’ho chiusa a chiave. Che altro ancora dovevo fare?

Il ragazzino le strinse la mano nella sua. E Coraline si ricordò di quando era toccato a lei rassicurarlo, quando lui era poco più di un freddo ricordo nel buio.

— Be’, non potete darmi un indizio? — domandò Coraline. — Non c’è qualcosa che possiate dirmi?

— La megera ha giurato sulla sua mano destra — disse la ragazzina alta — ma ha mentito.

— La m-mia governante — disse il ragazzino — diceva che nessuno dovrebbe accollarsi un peso superiore a quello che può sopportare. — Nel dirlo si strinse nelle spalle, come se ancora non avesse deciso se fosse vero oppure no.

— Ti auguriamo buona fortuna — disse la ragazzina con le ali. — Buona fortuna, saggezza e coraggio, anche se già hai dimostrato di possedere tutte e tre queste benedizioni, e in abbondanza.

— Lei ti odia — sbottò il ragazzino. — È tantissimo tempo che non perde. Sii saggia. Sii coraggiosa. Sii astuta.

— Ma non è giusto - disse Coraline arrabbiata in sogno. — Non è per niente giusto. Dovrebbe essere tutto finito.

Il bambino con la faccia sporca si alzò in piedi e la abbracciò forte. — Consolati con questo — sussurrò. — Tu sei viva. Tu vivi.

E, continuando a sognare, Coraline vide che il sole era tramontato e le stelle brillavano nel cielo scuro.

Ferma in mezzo al prato, osservò i tre bambini (due camminavano, una volava) allontanarsi da lei sull’erba inargentata, sotto la luce della grande luna.

I tre giunsero a un piccolo ponte di legno che attraversava un ruscello. Lì si fermarono, si voltarono e salutarono con la mano, e Coraline rispose al loro saluto.

E dopo fu buio.

Coraline si svegliò alle prime ore del mattino, convinta di aver sentito qualcosa muoversi, ma incerta su cosa fosse.

Attese.

Sentì un fruscio davanti alla porta della sua stanza. Si domandò se fosse un ratto. Poi la porta scricchiolò. Coraline scese dal letto.

— Vattene — disse bruscamente. — Vattene o te ne pentirai.

Seguì una pausa, poi la cosa se la filò in fondo al corridoio. I suoi passi avevano un che di strano e irregolare, sempre che di passi si trattasse. Coraline si domandò se non potesse trattarsi di un topo con una zampa in più…

— Non è finita, vero? — disse fra sé e sé.

Poi aprì la porta della sua stanza. La grigia luce che precedeva l’alba le rivelò per intero il corridoio, completamente deserto.

Andò verso la porta d’ingresso, gettando un frettoloso sguardo allo specchio appeso sulla parete all’estremità opposta del corridoio, dove vide soltanto il proprio pallido viso, serio e assonnato, che le restituiva lo sguardo. Dalla stanza dei suoi genitori proveniva un lieve e rassicurante russare, ma la porta era chiusa. Tutte le porte del corridoio erano chiuse. Qualunque cosa fosse stata a muoversi, doveva per forza essere lì da qualche parte.

Coraline aprì la porta di casa e guardò il cielo grigio. Si domandò fra quanto sarebbe spuntato il sole e se il suo sogno fosse stato reale, sapendo in cuor suo che lo era. Qualcosa che aveva preso per l’ombra sotto il divanetto dell’ingresso uscì allo scoperto e attaccò una corsa sfrenata e folle sulle lunghe zampe bianche, in direzione della porta di casa.

Per lo spavento, Coraline rimase a bocca spalancata e si fece da parte, mentre la cosa le passava rumorosamente accanto e usciva fuori, correndo come un granchio sui troppi piedini rumorosi e scalpitanti.

Coraline sapeva cos’era. Negli ultimi giorni l’aveva vista fin troppe volte, mentre si protendeva, afferrava e infilava obbediente gli scarafaggi nella bocca dell’altra madre. Cinque piedi, unghie rosse, pallore d’osso.

Era la mano destra dell’altra madre.

Che rivoleva indietro la chiave nera.

XIII

Sembrava che i genitori di Coraline non ricordassero assolutamente nulla del tempo trascorso nel globo di neve. O, quanto meno, non ne facevano mai parola, e Coraline dal canto suo evitava di parlarne.

Certe volte, però, si domandava se si fossero mai resi conto di aver perso due giorni nel mondo reale, e alla fine decise di no. Ma del resto ci sono persone che tengono il conto preciso di ogni giorno e di ogni ora che passa, e ce ne sono altre che non lo fanno, e indubbiamente i genitori di Coraline appartenevano alla seconda categoria.

Coraline aveva messo le biglie sotto il cuscino prima di addormentarsi, in quella prima notte trascorsa di nuovo nella sua vera stanza. Dopo aver visto la mano dell’altra madre tornò a letto, anche se non c’era più tanto tempo per dormire, e appoggiò di nuovo la testa sul cuscino.