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«L’aria pullulava di vespe gialle. Forse camminando avevamo calpestato un nido in un tronco marcio. Mentre correvo su per la salita, mio padre si era fermato per darmi il tempo di scappare, e l’avevano punto. E correndo gli erano caduti gli occhiali.

«Io ci avevo rimediato una sola puntura sul braccio. Lui, ben trentanove punture su tutto il corpo. Le contammo dopo, facendo il bagno.»

Il gatto nero cominciò a lavarsi muso e baffi con crescente impazienza. Coraline allungò il braccio verso di lui e gli accarezzò la schiena, la testa e il collo. Il gatto si rialzò, fece qualche passo finché si trovò fuori portata, quindi si rimise a sedere e alzò di nuovo lo sguardo su di lei.

— Così — disse Coraline — più tardi, sempre quel pomeriggio, mio padre tornò là per riprendersi gli occhiali. Disse che se avesse rimandato di un altro giorno, poi non si sarebbe più ricordato il punto esatto in cui gli erano caduti.

«E poco dopo tornò a casa con gli occhiali sul naso. Disse che non aveva avuto paura, mentre era fermo lì con le vespe che lo pungevano e gli facevano male, mentre mi guardava correre via. Perché sapeva che doveva darmi il tempo di scappare, altrimenti le vespe avrebbero inseguito tutti e due.»

Coraline girò la chiave nella toppa, che scattò con un sonoro clangore.

La porta si spalancò.

Dall’altra parte non c’era nessun muro di mattoni: solo il buio. Dal corridoio soffiava un gelido vento.

Coraline rimase ferma dov’era.

— E mi disse che non era stato coraggioso, restando lì fermo a farsi pungere — disse Coraline al gatto. — Non era stato coraggioso perché non aveva avuto paura: quella era l’unica cosa che potesse fare. Ma quando era tornato a riprendersi gli occhiali, sapendo che lì c’erano le vespe, aveva veramente paura. Quello era stato vero coraggio.

Mosse il primo passo lungo il corridoio.

Sentiva odore di chiuso, di polvere e di umidità.

Il gatto avanzava lentamente accanto a lei.

— E perché mai? — le domandò il gatto, con un tono che rivelava scarso interesse.

— Perché — disse Coraline — quando hai paura di qualcosa, ma la fai comunque, quello è coraggio.

La candela gettava enormi, bizzarre ombre tremolanti lungo la parete. Coraline sentì che qualcosa si muoveva nel buio accanto a lei, di lato, non ne era sicura. Qualunque cosa fosse, sembrava che accordasse il passo con il suo.

— Ed è per questo motivo che stai tornando nel mondo di lei, allora? — disse il gatto. — Perché una volta tuo padre ti ha salvata dalle vespe?

— Non dire sciocchezze — replicò Coraline. — Torno a prenderli perché sono i miei genitori. Perché se fossi stata io a scomparire, loro avrebbero fatto esattamente la stessa cosa. Ti sei accorto che stai di nuovo parlando?

— Ma quanto sono fortunato — disse il gatto — ad avere una compagna di viaggio dotata di tanta saggezza e intelligenza. — Il suo tono era sarcastico, ma i peli gli si erano drizzati, e quella spazzola di coda svettava rigida in aria.

Coraline stava per dire qualcosa, del tipo scusa o il tragitto non era più breve l’altra volta? quando la candela si spense all’improvviso, come se fosse stata smorzata dalla mano di qualcuno.

Ci fu un raspare e un picchiettare, e Coraline sentì che il cuore le batteva forte contro le costole. Tese una mano… e una cosa filiforme, come una ragnatela, le sfiorò il viso e le mani.

In fondo al corridoio si accese la luce, accecante dopo tutto quel buio. Un po’ più avanti, in controluce, c’era una donna.

— Coraline? Tesoro? — disse.

— Mamma! — disse lei raggiungendola di corsa, impaziente e sollevata.

— Tesoro — disse la donna. — Perché sei scappata via da me?

Coraline era ormai troppo vicina per fermarsi, e sentì le gelide braccia dell’altra madre stringerla in un abbraccio. Rimase ferma e tremante mentre l’altra madre la teneva stretta.

— Dove sono i miei genitori? — domandò Coraline.

— Siamo qui — rispose l’altra madre, con una voce così uguale a quella della sua vera madre che Coraline fece fatica a distinguerle. — Siamo qui. Siamo pronti a volerti bene, a giocare con te, a darti da mangiare e a renderti la vita interessante.

Coraline si ritrasse e l’altra madre la lasciò andare, con riluttanza.

L’altro padre, che era rimasto seduto su una poltrona nel corridoio, si alzò in piedi e sorrise. — Vieni in cucina — le disse. — Preparerò uno spuntino di mezzanotte per tutti noi. Sicuramente ti andrà qualcosa da bere… magari una cioccolata calda?

Coraline attraversò il corridoio e raggiunse lo specchio in fondo, dove non si rifletteva altro che una ragazzina in vestaglia e pantofole, che rivelava i segni di un pianto recente, i cui occhi erano veri e non erano stati sostituiti da bottoni neri, e che stringeva saldamente in mano un candeliere con la candela spenta.

Guardò la ragazzina riflessa nello specchio e lei le restituì lo sguardo.

Sarò coraggiosa, pensò Coraline. Anzi, io sono coraggiosa.

Posò la candela sul pavimento e si voltò. L’altra madre e l’altro padre la guardavano con occhi famelici.

— Non mi serve nessuno spuntino — disse Coraline. — Mi sono portata una mela. Vedete? — E tirò fuori una mela dalla tasca della vestaglia, quindi le diede un morso con un gusto e un entusiasmo che in realtà non provava.

L’altro padre fece la faccia delusa. L’altra madre sorrise, mettendo in mostra una fila di denti, e ogni dente era leggermente troppo lungo. Le luci del corridoio facevano brillare i neri occhi-bottone.

— Non mi mettete mica paura — disse Coraline, benché la spaventassero, e pure tanto. — Rivoglio indietro i miei genitori.

Sembrava che il mondo brillasse debolmente ai margini del buio.

— Che posso averci mai fatto con i tuoi vecchi genitori? Se ti hanno abbandonata, Coraline, sarà perché gli eri venuta a noia, o li avevi stancati. A me, però, non verrai mai a noia, e non ti abbandonerò mai. Qui con me starai sempre al sicuro. — I neri capelli dell’altra madre, che parevano bagnati, fluttuavano da tutte le parti come i tentacoli di una creatura degli abissi.

— Non gli ero affatto venuta a noia — disse Coraline. — Stai mentendo. Li hai rubati tu!

— Sciocca, sciocca Coraline. Loro stanno bene dove sono.

Coraline si limitò a guardare in cagnesco l’altra madre.

— E te lo dimostrerò — disse l’altra madre, passando le sue lunghe e bianche dita sulla superficie dello specchio. Lo specchio si appannò, come se un drago ci avesse alitato sopra, e poi si schiarì di nuovo.

Nello specchio si era già fatto giorno. Coraline stava guardando il corridoio che correva dalla porta d’ingresso. La porta si aprì dall’esterno ed entrarono la madre e il padre di Coraline, con le valigie in mano.

— È stata proprio una bella vacanza — disse il padre di Coraline.

— Che bello esserci liberati di Coraline — disse sua madre con un sorriso di felicità. — Adesso potremo fare tutto quello che abbiamo sempre desiderato, come andare all’estero, ma che non abbiamo mai potuto fare perché avevamo una figlia piccola.

— E — aggiunse suo padre — mi consola moltissimo sapere che la sua altra madre si prenderà cura di lei, meglio di quanto avremmo mai potuto fare noi.

Lo specchio si appannò di nuovo, quindi si schiarì e rifletté un’altra volta la notte.

— Capito? — disse l’altra madre.

— No — disse Coraline. — Non capisco niente. E nemmeno ci credo.

Sperava che quanto aveva appena visto non fosse vero, ma il suo tono sicuro non corrispondeva affatto a ciò che provava. In lei si era insinuato un piccolo dubbio, come un verme dentro una mela. Quindi alzò gli occhi e vide l’espressione sul volto dell’altra madre: un lampo di autentica ira, che le attraversò il viso come il lampo di un temporale estivo, e in cuor suo Coraline ebbe la certezza che la scena nello specchio era solo un’illusione.