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«Questo non glielo posso insegnare. Non so farlo. Non sono stato io a costruire questa nave».

La sua mente fu spazzata da impetuose ondate di pensieri turbati, ma la tensione si acquietò in lui. Il primo timore che aveva provato davanti a una vita totalmente aliena lasciò la sua mente, e Jim provò una strana affinità con quella creatura. Era ferita e malata, questo l’aveva capito, ma non riusciva a credere che non sapesse com’era costruita la nave.

«Coloro che hanno costruito questa nave vengono spesso a commerciare sul mio pianeta», spiegò Quilcon. «Ma noi non possediamo navi come questa. La maggior parte di noi non desidera altro che passar la propria vita tra le caverne umide e le spiagge soleggiate del nostro mondo, ma io ardevo dal desiderio di vedere gli altri mondi, quelli da cui queste navi venivano.

«Quando questa nave atterrò vicino alla mia caverna, vi strisciai dentro e mi nascosi. Poi la nave decollò, e viaggiò per un tempo lunghissimo. Finché un giorno un guasto al motore uccise tutti e tre gli operatori della nave ed io rimasi solo.

«Anch’io rimasi ferito, ma non ucciso. Morì soltanto l’altro di me».

Jim non comprese quest’ultima, strana frase, ma non interruppe la storia di Quilcon.

«Fui in grado di elaborare dei mezzi per controllare il volo della nave», questi proseguì, «e di atterrare sul vostro pianeta senza distruggerla. Ma non potevo ripararla a causa della natura del mio corpo».

Allora Jim capì che la storia della creatura doveva esser vera. Era ovvio che quella nave era stata costruita per essere impiegata da creature del tutto diverse da Quilcon.

«Esplorai la vostra città più vicina e appresi il vostro modo di vivere e i vostri costumi. Mi serviva l’aiuto di uno di voi per riparare la nave. Avrei potuto indurre con la forza uno di voi a svolgere i compiti più semplici, ma non certo le operazioni più complesse che la riparazione richiede.

«Poi, scoprii quel curioso modo d’imparare in uso tra voi. Costrinsi l’uomo Herald a preparare il materiale e a spedirlo a lei. E m’impadronivo delle lettere di risposta prima che quella persona all’ufficio postale potesse vederle. Mi ero procurato il suo nome dai giornali, insieme a quello di molti altri che risultarono insoddisfacenti.

«Dovevo insegnarle a capire a fondo il coordinatore d’energia, giacché soltanto usando volontariamente le sue più alte facoltà mentali, lei sarebbe staio in grado di afferrare ogni singolo particolare della sua struttura ed eseguire le riparazioni. Io posso assisterla, ma non costringerla a farlo».

La creatura ricominciò a pregarlo: «E adesso, vuole affrettarsi a riparare il motore?… Sto morendo, ma vivrò più a lungo di lei… è un lungo viaggio fino al mio pianeta natio, ma devo arrivarci e ho bisogno d’ogni istante che ancora mi rimane».

Jim colse per un attimo una visione… quasi un sogno… Il mondo natio della creatura. Un mondo di sicurezza e di pace… secondo il punto di vista di Quilcon. Ma neppure l’estraneità di quel mondo riuscì a cancellare del tutto la sensazione di tranquilla bellezza che la mente di Quilcon trasmetteva a quella di Jim. Essi, Quilcon e la sua gente, erano una specie molto intelligente. Avevano sviluppato a livelli eccezionali le leggi della matematica e le teorìe della logica, ma l’esiguità del loro sviluppo corporeo aveva loro impedito d’indagare in altri campi della scienza la cui esistenza era stata dimostrata alle loro menti proprio dalla logica e dalla matematica che avevano elaborato. I più ricchi d’intelligenza fra loro erano creature frustrate la cui esistenza era resa tollerabile soltanto da un’infinita capacità di stoico adattamento.

Ma di tutti loro, Quilcon era fra i più inquieti, ribelli e ambiziosi. Nessuno di loro aveva mai osato intraprendere un viaggio come il suo. Un’ondata di pietà e di comprensione s’irradiò da Jim Ward.

«Farò un patto con lei», esclamò Jim, fremente e affannato. «Riparerò il motore se lei mi insegnerà i principi del suo funzionamento. Se lei non li possiede, adesso, se li potrà procurare senza grandi difficoltà. La mia gente deve avere una nave come questa».

Cercò di visualizzare nella propria mente cosa avrebbe significato per la Terra possedere il volo spaziale un secolo… o addirittura cinque secoli prima che il lento avanzare della scienza e della tecnica umane lo rendesse possibile.

La creatura continuò a tacere.

Poi infine parlò. «Farò un patto con lei», disse Quilcon. «Lasci che io sia l’altro di lei, e le darò ciò che vuole».

«L’altro di me? Di che cosa sta parlando?»

«Per lei è difficile capire. Si tratta d’un unione… come quella che facciamo nel nostro mondo. Quando due o più di noi vogliono essere insieme, noi andiamo insieme nello stesso cervello, lo stesso corpo. Adesso io sono solo, ed è un’esistenza insopportabile poiché ho conosciuto cosa voglia dire avere un altro di me».

«Lasci che entri stabilmente nel suo cervello, nella sua mente, e che viva lì con lei. Insegneremo al suo e al mio popolo. Porteremo questa nave in tutti gli universi che le creature viventi possono sognare. O così, o moriremo insieme entrambi, poiché è passato troppo tempo perché io possa tornare al mio mondo. Questo mio corpo sta morendo».

Stupefatto dall’ultimatum di Quilcon, Jim Ward fissò quella brutta lumaca là sulla parete. Il suo corpo bruno pulsava, scosso da violente pulsazioni di dolore, e Jim sentì emanare da esso una sensazione di delirio e terrore crescenti.

«Presto! Lasci che venga lì da lei!» implorò la creatura.

Jim avverti una sensazione… come se delle dita gli stessero sondando il cranio, cercando, implorando di poter entrare. Si sentì raggelare. S’immaginò gli anni futuri, e pensò a un’esistenza con questa mente aliena dentro la sua. Le due menti avrebbero forse lottato per la conquista definitiva del suo corpo, e lui sarebbe forse finito schiavo nel proprio cadavere vivente…

Cercò di sondare i pensieri di Quilcon, ma non riuscì a trovare nessuna sensazione, nessun intento di conquista. C’erano invece gradevolezze quasi umane intrecciate a un nuovo mondo di scienza e pensiero.

Seppe che Quilcon avrebbe mantenuto la promessa di consegnare agli uomini della Terra i segreti di quella nave. Già questo, da solo, sarebbe valso il prezzo del suo sacrificio… sempre che di sacrificio si trattasse.

«Vieni!» Fu un invito pacato.

Fu come se un torrente di luce liquida fluisse nel suo cervèllo. Fu accecante, straziante nella sua intensità. Gli parve di sentire, più che vedere, l’involucro bruno di Quilcon che tremolava dentro l’emisfero trasparente, per poi raggrinzirsi fino a sembrare una piccola noce marrone.

Ma nella sua mente c’era adesso l’unione, e Jim si soffermò ad assaporare, tremando all’improvvisa, indicibile realtà, la nuova conoscenza. Seppe cos’era Quilcon, e la gioia zampillò dentro di lui ancor più avida di quella luce abbagliante. Un pensiero fiorì nel suo cervello: il sesso sta forse soltanto nella diversità delle funzioni corporee, nella grana della pelle e nel tono della voce?

Riandò col ricordo a un altro giorno… quando il cielo e la terra sottostante erano pieni di morte, e anche un piccolo ospedale da campo. Una figura pallida, distesa su una branda, aveva mormorato: «Starai bene, Jim. Io vado… avanti, credo, ma tu starai bene. Lo so. Non sentire troppo la mia mancanza».

Si era convinto che per lui non ci sarebbe stata più pace, ma adesso c’era di nuovo pace in lui, e la voce di Quilcon era come quella voce, di tanto tempo prima, poiché man mano la creatura sondava i suoi pensieri, la sua innata capacità accordò sentimenti e pensieri alieni con quelli d’un terrestre, e infine disse: «Ora, tutto è a posto, Jim Ward?»

«Sì… sì, è proprio così». L’intensità dei sentimenti che erompevano in lui quasi l’accecò. «Ed io voglio chiamarti Ruth, come un’altra Ruth…»